eastpak6L’1 dicembre è la Giornata Mondiale contro l’AIDS. 56 artisti si sono preparati per partecipare, in collaborazione con Eastpak Artist Studio.

Il progetto ha previsto lo stravolgimento del celebre zainetto, trasformato in opera d’arte dalle mani e dal genio di creativi provenienti da tutto il mondo. L’Italia ha partecipato con le creazioni di Enrico Robusti, Maicol & Mirco, Simone Legno – Tokidoki, The Bloody Beetroots, No Curves (i primi 5 in galleria), che hanno trasformato un oggetto comune in scultura, tela, disegno, fumetto.

Le opere saranno acquistabili dal 2 dicembre e tutti i proventi andranno all’organizzazione no-profit Designers Against Aids.

Per vedere le opere di tutti gli artisti è possibile visionare il sito ufficiale del progetto.

Il pubblico del museo non è uno solo. Se pensiamo alle diverse tipologie di persone che lo visitano e alle loro caratteristiche e necessità ci rendiamo conto che non sempre tutti hanno i giusti strumenti a disposizione per fruirne pienamente. Molto spesso i musei non riescono a soddisfare quelle fasce di visitatori con particolari esigenze, che si ritrovano così penalizzate. Ma non è questo il caso.
La tecnologia, e qui parliamo di quella futuristica e di avanguardia che fino a qualche anno fa abitava solo le nostre fantasie, viene in soccorso per abbattere gli ostacoli che separano 60mila italiani non udenti da una fruizione completa e soddisfacente dell’esperienza museale.

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Il progetto Google Glass4LIS, realizzato da Rokivo Inc., Vidiemme Consulting in stretta collaborazione con l’Ente Nazionale Sordi (ENS) è stato presentato al Museo Egizio di Torino l’11 novembre 2013. Si tratta della prima applicazione completamente italiana sviluppata per i Google Glass (dispositivo indossabile dotato di realtà aumentata) basata sui risultati delle ricerche condotti dal Progetto ATLAS al quale hanno partecipato il Politecnico di Torino, l’Università degli Studi di Torino e contribuito il dottor Carlo Geraci, ricercatore presso l’Institut Jean-Nicod di Parigi.

Ma come funziona questa applicazione?
È molto semplice e al tempo stesso sorprendente. Il visitatore indossa i Google Glass e inquadra un’opera: attraverso l’attivazione vocale o tattile (è presente un sensore sulla stanghetta degli occhiali) compare sullo schermo un avatar che traduce i contenuti correlati nel linguaggio dei segni (la Lingua Italiana dei Segni, o appunto LIS). In pratica è come fornire a ciascun visitatore una guida personalizzata che lo segue durante l’intero percorso nel museo, facendogli avere facilmente accesso a informazioni che arricchiscono la sua esperienza di visita.
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Il connubio tra tecnologia e antico Egitto è indubbiamente curioso, ma non è un caso che la sperimentazione sia partita proprio dal Museo Egizio di Torino. Dal 2011 è in corso, infatti, un’opera di rinnovamento che terminerà nel 2015 e che sta arricchendo l’offerta museale, soprattutto nell’ambito dell’accessibilità e dei servizi a diverse fasce di pubblico. Il progetto Google Glass4LIS si inserisce in questa tendenza, facendo compiere un ulteriore passo avanti verso l’idea di museo aperto a tutti.

Inoltre i Google Glass sono un device in piena sperimentazione e in divenire, un’autentica tela bianca che rappresenta una sfida continua e del quale ancora non si conoscono a fondo le potenzialità. Chissà quali innovazioni ci riserverà il futuro; la speranza è che possano continuare verso la direzione tracciata da questo progetto ambizioso.

 

Il 20 novembre 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sottoscriveva la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che compie oggi 24 anni. Questa data è perciò celebrata in tutto il mondo per ricordare l’importanza di tutelare i più piccoli e i loro diritti fondamentali.

bambinimondo

 

 

L’invito lanciato dall’UNICEF quest’anno è in particolare quello di cancellare la violenza sui bambini, per cui ha istituito anche un sito web e lanciato un apposito hashtag: #ENDviolence against children. La società civile mondiale è così chiamata a non chiudere più gli occhi dinnanzi a questi orribili abusi, ma a denunciare tali crimini, che passano troppo spesso inosservati e impuniti.

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L’Italia ha ratificato la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nel 1991 e oggi il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricordato questa particolare ricorrenza affermando che: “Poter essere accolto e crescere all’interno di un ambiente familiare sereno rappresenta un fondamentale diritto del minore, un bene sociale irrinunciabile”. Il Presidente del Senato Pietro Grasso ha invece menzionato il dato secondo cui oltre il 10% dei ragazzi italiani non è iscritto a scuola, denotando “un impoverimento etico, in cui valori quali giustizia, uguaglianza, merito, tutela dei diritti fondamentali, sembrano non trovare più cittadinanza”.

Nel Rapporto UNICEF 2013 relativo al benessere dei Bambini nei Paesi ricchi, il nostro Paese figura al 22° posto su 29 nazioni esaminate.
In particolare:

– Benessere materiale: 23° posto su 29
– Salute e sicurezza: 17° posto
– Istruzione: 25° posto
– Comportamenti e rischi: 10° posto
– Condizioni abitative e ambientali: 21° posto

Questi dati devono farci riflettere per comprendere che molto c’è ancora da fare. La giornata del 20 novembre deve perciò rappresentare un monito importante per ricordare quanti e quali diritti devono essere garantiti a ciascun bambino.

UNICEF Italia ha lanciato per l’occasione la campagna “IO come TU – Mai nemici per la pelle”, volta ad eguagliare tutti i bambini, senza distinzione alcuna, attraverso una lunga catena umana contro le discriminazione dei minori di origine straniera presenti nel Paese. Il programma prevede inoltre più di 100 eventi pubblici come seminari, incontri, marce, laboratori, volti in particolare a garantire il diritto di cittadinanza ad ogni bambino.

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Il Telefono Azzurro, associazione da anni impegnata nell’aiuto dei minori, coglie a sua volta l’occasione per lanciare un appello alle istituzioni nazionali e raccoglie in 14 punti le misure di intervento necessarie per garantire una adeguata tutela dei bambini.

1 – Che vengano incrementate le risorse attualmente assegnate al Fondo per le politiche sociali, al Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, nonché al Fondo nazionale per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, anche attraverso l’utilizzo di una copertura finanziaria ipotizzata in un primo momento dal Governo che avrebbe portato ad un aumento dell’aliquota al 22 sulle rendite finanziarie, con introiti conseguenti che superano di gran lunga i 100 milioni di euro l’anno;

2 – Che vengano aumentate le risorse da destinare a livello nazionale e regionale per la piena attuazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti che vivono in Italia partendo da un congruo rifinanziamento del “Fondo asili nido”, istituito durante la XV Legislatura, prevedendo un ripianamento del taglio di risorse perpetrato dall’attuale Legge di Stabilità al Fondo per il contrasto alla pedopornografia, e prevedendo adeguate risorse economiche per il prossimo bando di affidamento del Servizio 114 Emergenza Infanzia;

3 – Che vengano previsti interventi per il sostegno delle famiglie in condizione di povertà estrema, in aggiunta a quanto già previsto in modo ancora non adeguato dalla legislazione vigente, promuovendo politiche attive e misure efficaci di sostegno alla famiglia. Ciò dovrebbe avvenire anche attraverso lo stanziamento di apposite risorse destinate non solo all’incremento delle strutture e dei servizi socio educativi per l’infanzia, ma soprattutto al potenziamento dei servizi di prevenzione e cura offerti dal sistema sanitario, e più in particolare dalle professioni pediatriche, garantendo l’attuazione e l’uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale;

4 – Che venga previsto un accentramento e una razionalizzazione delle competenze istituzionali sull’infanzia e l’adolescenza, attualmente eccessivamente frammentate, al fine di consentire un’azione realmente efficace delle politiche in materia, istituendo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Dipartimento responsabile delle scelte strategiche e politiche che incidono sulla vita dei bambini e degli adolescenti nel nostro Paese che operi in pieno coordinamento con la Commissione Bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza recentemente costituita;

5 – Che sia colmata la carenza di un adeguato sistema di raccolta dati sulla condizione dei bambini e degli adolescenti, non solo promuovendo maggiormente l’azione degli organismi attualmente deputati a questa funzione, ma anche stanziando adeguate risorse per l’istituzione di un “Osservatorio permanente”, composto da bambini e adolescenti, capace di offrire dati puntuali e aggiornati sulla loro condizione, favorendone l’ascolto e la partecipazione attiva anche attraverso le nuove tecnologie.

6 – Che siano assicurate adeguate risorse per contrastare la prostituzione minorile e il gioco d’azzardo, fenomeni che attualmente coinvolgono sempre più la vita dei minori, partendo innanzitutto dal ripristino delle risorse tagliate dalla Legge di Bilancio per il 2014 ai programmi relativi al contrasto al crimine, la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché attraverso l’istituzione di un fondo specifico per la prevenzione e la cura delle dipendenze patologiche da gioco rivolto anche ai minori;

7 – Che sino incrementate le risorse attualmente previste dalla Legge di Stabilità per il 2014 finalizzate a finanziare il Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere che all’articolo 7, comma 8 della Legge di Stabilità stessa autorizza una spesa pari a 10 milioni di euro, destinando adeguate risorse per il contrasto alla violenza perpetrata in ambito familiare e fra i giovani adolescenti, nonché per strutture specializzate nella cura delle conseguenze fisiche e psichiche degli abusi sessuali e dei traumi vissuti nell’infanzia e nell’adolescenza;

8 – Che, rispetto al fenomeno del bullismo siano attivate misure di prevenzione e contrasto realmente efficaci, prevedendo anche in Italia l’istituzione di una giornata nazionale sul bullismo, nonché lo stanziamento di risorse per la formazione degli insegnanti e delle altre figure educative (ad esempio, quelle presenti nei contesti sportivi), superando l’attuale dispersione di risorse in progetti di diversa natura ed incerto impatto risolutivo;

9 – Che siano adottate adeguate iniziative volte a concedere la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati nati in Italia, perché solo l’applicazione del principio dello jus soli consentirà di sostenere il processo di integrazione socio-culturale verso un’effettiva convivenza tra persone di origine diversa;

10 – Che venga attivato anche in Italia, come in altri Paesi Europei, il sistema di allerta in caso di scomparsa dei minori e che il Comitato Media e Minori, recentemente costituito, si attivi quanto prima ad adottare provvedimenti tesi a proibire la spettacolarizzazione dei casi di cronaca relativi ai minori da parte dei media, come raccomandato dalle Guidelines del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 17 novembre 2010;

11- Che siano varate al più presto le disposizioni attuative della legge n. 62 del 2011 sulle detenute madri, in moto tale da evitare che i figli trascorrano i primi anni della loro vita (0-3 anni) in ambiente carcerario;

12 – Che sia data piena attuazione, anche attraverso lo stanziamento di apposite risorse finanziarie, al decreto legislativo 12 luglio 2013 n.14 in materia di equiparazione di figli naturali e figli legittimi;

13 – Che venga aperto in sede Parlamentare un confronto trasversale sulle problematiche inerenti i provvedimenti di affido dei minori e sulle questioni concernenti le adozioni nazionali e internazionali;

14 – Che siano destinate adeguate risorse per la cura dei disturbi mentali di bambini e adolescenti, impedendo il ricorso al ricovero in strutture psichiatriche per adulti, pratica ancora in uso in alcune parti del nostro Paese.

 

La Onlus Save the Children ha invece scelto di coinvolgere le Regioni italiane che, secondo quanto prevede la distribuzioni di competenze, sono responsabili in determinati settori di rilevanza sociale. A loro è stato rivolto l’invito affinché istituiscano la figura del Garante regionale dell’Infanzia e la Conferenza dei Presidenti dei Consigli Regionali ha supportato l’iniziativa facilitando l’adozione di una risoluzione in tal senso. Save the Children ha inoltre colto l’occasione per rilanciare la campagna già avviata lo scorso maggio dal titolo “Allarme Infanzia”con l’obiettivo principale di combattere la povertà infantile nel Paese.

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artisti30Anche l’arte si mobilita per i 30 attivisti di Greenpeace detenuti in Russia da oltre 60 giorni. Per ognuno di loro, un artista, illustratore o fumettista ha realizzato un’opera volta a ricordare i motivi che hanno mosso l’azione di questi ambientalisti, scesi in campo per difendere l’Artico e combattere lo scioglimento dei ghiacci.

Ciascuno di voi è dunque invitato a visitare il sito del progetto A30XA30, per visionare ciascuna immagine, selezionare quella che preferite e poi condividerla sui social network, al fine di diffondere il messaggio per il rispetto di questa grande risorsa. Ma soprattutto speriamo vogliate firmare l’appello per la liberazione degli Artic30.

 

Consulta il sito

C’è chi da bambino sogna di fare l’astronauta, il dottore, il calciatore, chi di ricevere una bici nuova, di andare alle giostre, di avere un cucciolo. Anche Miles ha un sogno, ha espresso un desiderio ben preciso: vuole essere Batman. Se tuo figlio è malato di leucemia dall’età di 20 mesi e adesso, dopo lotte, cure e sacrifici, sta per cominciare una vita normale, la frase “ogni tuo desiderio è un ordine” diventa realtà.

 

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A realizzare il sogno del piccolo Miles ci ha pensato la fondazione no-profit Make-A-Wish, che ha come scopo proprio la concretizzazione dei desideri di tanti altri bambini che si trovano in situazioni particolari. Solo che la vicenda di Miles ha avuto una risonanza incredibile sui social, ha fatto il giro del mondo, e si appresta ad essere un evento davvero indimenticabile non solo per il piccolo Miles.
Oggi, 15 novembre, San Francisco si trasformerà in Gotham City, il mitico scenario delle avventure del supereroe alato. Il valoroso Batkid verrà convocato durante un notiziario tv dal Capo della Polizia in persona; poco dopo Batman in carne ed ossa andrà a prelevarlo a casa e sulla sua batmobile lo porterà con sé per vivere strabilianti avventure. Batkid salverà un donzella in pericolo, sventerà rapine e altre malefatte, e sfiderà uno dei più temibili nemici di Batman, Pinguino. La città lo ringrazierà radunata nella City Hall dove il Sindaco e il Capo della Polizia in persona gli consegneranno le chiavi della città.

 

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Migliaia di persone si sono mobilitate per aiutare Batkid. È nato anche un progetto fotografico per supportare le sue mirabolanti gesta: con un cartellone in mano con su scritto “We love Batkid”, in costume da supereroe o in abiti civili, chiunque può fotografarsi per dimostrare di essere fan del coraggioso Miles.

In moltissimi parteciperanno attivamente anche all’evento, radunandosi a Union Square per chiedere a Batkid di salvare la mascotte di San Francisco dalle grinfie di Pinguino, e poi nella City Hall dove festeggeranno il piccolo supereroe.

 

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Oggi la giornata di un bambino sarà costellata di sorrisi ed emozioni. Tanti altri piccoli soffrono ancora, da soli, ma la felicità di uno di loro basta già a illuminare un po’ di più la vita di tutti.

Per condividere o seguire l’evento, tenetevi aggiornati con l’hastag Twitter #SFBatKid

corpiestraneiApplausi in sala dopo la proiezione in anteprima stampa del primo film italiano in concorso: “I corpi estranei” dello sceneggiatore e regista milanese Mirko Locatelli con Filippo Timi e Jaouher Brahim e la colonna sonora dei Baustelle. Il regista arriva al Festival di Roma per presentare dopo, il primo giorno d’inverno, il suo secondo lungometraggio.

La storia è quella di Antonio (Filippo Timi), padre di un bambino con un tumore al cervello che dall’Umbria arriva a Milano, da solo, per cercare di guarire il piccolo. In ospedale la sua vita si intreccia con quella Jaber, quindici anni, scappato dal Nord Africa e dagli scontri della Primavera Araba. Jaber assiste il suo amico Youssef anche lui gravemente malato.

Due anime sole che si intrecciano, per puro caso, due corpi estranei che entrano in contatto per condividere una situazione straziante. Dopo l’iniziale diffidenza e fastidio, Antonio, un uomo umbro, semplice e pieno di preconcetti nei confronti della cultura araba, fa amicizia con Jaber e instaura un dialogo. I due si muovono in un mondo fatto di corsie di ospedali e di bancali di mercati notturni dove Pietro lavora per guadagnare due soldi e di immigrati solidali, in attesa di quel cambiamento che riporti equilibrio nelle loro esistenze. Questa conoscenza darà ad Antonio la forza e la volontà di assistere il figlio malato e di accettare che il dolore e la preghiera sono uguali in tutti i posti del mondo.

“Siamo partiti da un’immagine” – racconta Locatelli in conferenza stampa -. “Mia moglie (Giuditta Tarantelli che è anche la sceneggiatrice e co-produttrice del film) mi ha sottoposto un uomo solo con in braccio un bambino in un reparto di oncologia pediatrica. Intorno a questa immagine abbiamo creato una storia, puntando sulla fragilità dell’adulto che è anche più forte di quella del bambino. Insomma, volevamo parlare della solitudine del papà in un film non sul dolore ma appunto sulla fragilità. Così la malattia diventa solo un pretesto”.

Il regista pone l’attenzione anche sulla dignità dei protagonisti e non solo: “Antonio è un eroe silenzioso, lontano dalla famiglia per proteggere suo figlio; Jaber, poco più che un ragazzino, si muove quasi sempre nel buio, come fosse a guardia del corpo, ancora vivo, del suo amico Youssef; e quella di tutti gli uomini e le donne che lottano per la sopravvivenza, propria o dei propri cari, nella corsia dell’ospedale come tra i bancali di un mercato notturno”.

Riguardo il suo personaggio Filippo Timi dichiara: “Antonio è uno gretto, un umbro incapace di aprirsi al mondo, ma che, grazie a questa trasferta a Milano, deve confrontarsi con delle cose che lui non conosceva” e racconta anche una sua personale vicenda: “da bambino ho avuto anche io un’esperienza d’ospedale – spiega Filippo Timi -. A sei anni mi portarono infatti a Pisa perché zoppicavo e mi regalarono la prima scatolina di Lego. Poi ho scoperto, a trenta anni di distanza, che pensavano avessi un tumore alle ossa. Comunque – aggiunge – questo è il film più documentaristico che ho fatto e, devo dire, anche per questo non mi sono mai preoccupato di recitare. Ho cercato di essere solo naturale, me stesso”.

Un film dove il regista riesce a raccontare il contatto tra diversità e culture lontane, inizialmente, carico di odio e razzismo, poi evolve in accettazione e compassione.

 

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unar13È stato presentato ieri mattina a Roma, al Teatro Orione sull’Appia, il volume “Immigrazione. Dossier Statistico 2013”, titolo che si accompagna in copertina, sempre a caratteri cubitali, a “Rapporto Unar. Dalle discriminazioni ai diritti”, realizzato dall’Idos (acronimo che sta per Immigrazione Dossier Statistico) su committenza giustappunto Unar. L’Unar opera nell’ambito del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta del primo annuario pubblicato in Italia per la raccolta di dati socio-statistici sui temi dell’immigrazione.

Per chi non conosce l’opera, si tratta di un corposo tomo di poco meno di 500 pagine, che, ormai a cadenza annuale, da oltre un ventennio (fino al 2003 curato dalla Caritas di Roma e poi dal Centro Studi Idos), propone un’interessante analisi, soprattutto quantitativa, della situazione dell’immigrazione in Italia, con molte tabelle e capitoli che affrontano le tematiche migratorie da diverse prospettive: statistiche, economiche, politiche, giuridiche.

Quel che qui vogliamo segnalare (denunciare?!) è che nel tomo, certamente prezioso, non c’è una pagina una dedicata alla cultura, allo spettacolo, alle arti, ai media: eppure i 5,2 milioni di cittadini stranieri regolarmente presenti a fine 2012 sul territorio italiano non sono – si ha ragione di ritenere – soltanto lavoratori e consumatori di beni materiali, ma anche fruitori e finanche autori di cultura. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente è del 7,4 % del totale nazionale. Gli stranieri iscritti nelle scuole italiani sono poco meno di 800mila, e corrispondono al 9% della popolazione studentesca. I neonati stranieri hanno rappresentato nel 2012 il 15% di tutte le nascita in Italia. Le due comunità più rilevanti in termini quantitativi sono i cittadini del Marocco e dell’Albania, le cui comunità sono formate entrambe da circa 500mila persone; seguono i cinesi, con 300mila, ed è sopra la soglia dei 200mila l’Ucraina.

Il rapporto Idos è uno strumento certamente prezioso, e, in qualche modo, evoca l’ormai mitico rapporto annuale del Censis sulla situazione del Paese (giunto nel 2012 alla 46ª edizione): è indiscutibilmente un testo di riferimento, per chi si interessa di politiche sociali e specificamente di migrazioni. Se si vuole trovare un qualche deficit, va cercato nell’impostazione complessiva (non particolarmente critica, anzi un po’ asettica) e forse nella eccessiva parcellizzazione delle tematiche (75 capitoli!): insomma, sembra mancare una lettura critica sintetica. Una pecca anche nell’impaginazione, troppo classica, con un’architettura grafica che non invita alla lettura: non viene proposto nemmeno un grafico o una visualizzazione. Conferma di questo approccio eccessivamente tradizionale – nella rappresentazione dei dati – s’è registrata anche durante la presentazione del rapporto: la relazione di Pittau non è stata accompagnata da alcuna slide. E, per quanto accurato l’eloquio del “rapporteur”, un rapporto scientifico ha anche necessità di “rappresentazioni” visive sintetiche, e forse anche un po’ d’effetto… Questa mancanza non è compensata da un breve video curato dalla Rai, che ha cercato di estrapolare un set di dati dal rapporto, sullo sfondo di immagini di repertorio (il video sarà online su YouTube da oggi).

Al di là di questi aspetti “coreografici”, perché la presentazione e l’impostazione del volume ci preoccupa?!

Perché in tutti gli interventi, durante le tre ore di presentazione del rapporto, non abbiamo ascoltato alcuna riflessione sulla funzione della cultura come strumento di integrazione sociale, anzi di “interazione sociale” (come si usa ormai nello slang specifico della sociologia delle migrazioni). Eppure, sono proprio i media e la cultura gli strumenti che possono stimolare (o non stimolare) la coesione sociale, e la promozione di visioni plurali della realtà, che combattano esclusione e discriminazione.

Indiscutibilmente i relatori erano tutti di gran qualità e della massima rappresentatività istituzionale: dal Presidente dell’Idos Franco Pittau alla giornalista di Radio Vaticana Maria Dulce Araújo èvora, dalla Capo Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio Ermenegilda Siniscalchi, dal Direttore Generale dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) Marco De Giorgi alla Vice Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (con delega alle Pari Opportunità) senatrice Maria Cecilia Guerra, per arrivare alla onorevole Ministro per l’Integrazione Cécile Kashetu Kyenge.

Non una parola una dedicata alla cultura.
Va lamentato che non esiste una ricerca sulla fruizione culturale e mediale degli stranieri che vivono in Italia.

Va ricordato che pure esistono testate a stampa in lingua straniera edite in Italia, esistono emittenti radiofoniche e televisive locali che offrono trasmissioni per gli stranieri, esistono scrittori ed anche gruppi artistici – soprattutto in ambito musicale – che si impegnano a fare della cultura uno strumento di condivisione di valori, di integrazione, di coesione, di lotta al disagio, di difesa delle pluralità (ideologiche, religiose, etniche…).

Un esempio ormai divenuto famoso a livello nazionale è l’Orchestra di Piazza Vittorio, ma sono attive in Italia decine e decine di gruppi musicali multietnici, rispetto ai quali non esiste alcuna letteratura scientifica e l’attenzione dei riflettori mediali è quasi inesistente.

Come se la dimensione culturale degli immigrati fosse una variabile minore, marginale, e non invece centrale…

Quel che sembra emergere (confermata anche dall’affollato convegno di presentazione del rapporto Idos) è una sorta di “deriva economicista” del senso dello Stato: tutti gli intervenienti hanno posto l’accento su quanto gli immigrati contribuiscano ormai all’economia nazionale, come produttori di reddito, come imprenditori, come consumatori. Come se questa variabile fosse essa a poter rafforzare (ri-legittimare eticamente?!) il senso dell’intervento pubblico nel settore. Gli immigrati contribuiscono alla ricchezza economica del Paese: “quindi” sono degni di adeguata attenzione.

Diversi intervenienti hanno richiamato la stima Idos secondo la quale il “bilancio costi/benefici per le casse statali” (inteso come delta tra la spesa pubblica per l’immigrazione, da una parte, ed i contributi e le tasse pagate dagli immigrati dall’altra) avrebbe registrato un risultato positivo di ben 1,4 miliardi di euro nel 2012: insomma, rimesse all’estero a parte, gli immigrati contribuiscono anche alla ricchezza degli italiani non stranieri…

Il fenomeno (cioè questa “interpretazione”) mostra inquietanti punti di contatto con il dibattito italiano sulle politiche pubbliche a favore della cultura: ogni tanto, emerge la ricerca alfa o lo studio beta che “contano”, “misurano”, “quantificano” l’economia della cultura: fatturato, addetti, imprese, indotto, moltiplicatori e compagnia cantando… Spesso si tratta di numeri in libertà, stime simpaticamente nasometriche, ma i giornali e gli altri media se le bevono (senza scrupolo), e talvolta anche quotidiani nazionali titolano a piena pagina dati e statistiche (che non sono validate, ma che fanno effetto)! Come dire?! L’economico conta più del semiotico: non ci si sofferma sul “senso” della cultura, ma sulla sua funzione economica.

Sembra venir meno il senso profondamente civile (costituzionale, ci sia consentito) dell’intervento pubblico (e le politiche a favore della cultura non sono differenti, in questo, rispetto alle politiche sociali): se il “settore” di riferimento “pesa” economicamente, allora sembra che cresca il senso del ruolo dello Stato!

Il rapporto viene distribuito gratuitamente a chi lo richiede (www.dossierimmigrazione.it). Essendo finanziato con danari dello Stato, ci sembra una bella decisione: non sempre accade in Italia (si ricorderà peraltro che un articolo del famoso decreto, poi divenuto legge, cosiddetto “Valore cultura” prevede proprio un obbligo a rendere gratuitamente disponibili le ricerche finanziate con danari pubblici).

Da segnalare, per la cronaca, che il rapporto Idos è giunto alla 23ª edizione, ma di fatto sembra trattarsi di una edizione… n° 1. Nato in effetti in ambito confessionale, essendo stato promosso dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, ma comunque caratterizzato per una bella autonomia ideologica, nel 2013 si è incrinato il rapporto fiduciario tra la Caritas-Migrantes e l’Idos. Nuovo inedito committente è giustappunto l’Unar. A fine maggio 2013, l’Idos (che pure ha sede presso il palazzo che ospita alcuni uffici della Cei), diramava un laconico comunicato stampa: “dobbiamo dirvi con rammarico che, a livello nazionale, non è stato raggiunto un accordo per poter continuare la collaborazione con Caritas e Migrantes”. Di criticità di finanziamento trattasi, sembra leggersi tra le righe.

Il Presidente di Idos Pittau ha liquidato – con grazia – questo passaggio di consegne tra committenti/finanziatori (non avvenuto forse in modo proprio sereno) ricordando un auspicio di don Luigi Di Liegro (fondatore della Caritas Diocesana di Roma), il quale pare teorizzasse che non importa lo status del proponente di una bella idea (privato o pubblico, confessionale o aconfessionale che sia), ma quel che conta è che le buone progettualità vengano sviluppate… Meglio ancora se dallo Stato, che la collettività tutta deve (dovrebbe) rappresentare e tutelare. Verrebbe da commentare, con ecumenica benedizione: “tutto è bene, quel che finisce bene”. E quindi la comunità scientifica è ben lieta che il rapporto sopravviva ai travagli tra finanziatori. Anche se Pittau, ieri mattina, ha fatto comprendere a chiare lettere, con bonomia, che il contratto per l’edizione 2014 l’Unar non l’ha ancora perfezionato.

Non riteniamo che, nel passaggio di committenza, dalla Fondazione Migrantes della Cei all’Unar dell’italico Stato, ci sia stato un salto di qualità: il rapporto era e resta uno strumento di conoscenza importante. Spiace osservare che nell’edizione 2013 non vi sia più quella pur minima attenzione che c’era nel rapporto 2012, che dedicava pagine interessanti alle testate radiotelevisive di immigrati, intitolando efficacemente “Comunicare il diverso”.

Come utilizzano internet gli stranieri che vivono in Italia?!
Che impressione hanno di come la Rai rappresenta la loro immagine?!

Si tratta di quesiti che restano senza risposta. E che pure meritano essere analizzati, perché potrebbero fornirci interpretazioni inedite di stereotipi e cliché, e forse anche strumentazione adeguata per superare le discriminazioni. Che sono frutto di degenerazioni dell’immaginario collettivo. E proprio la cultura e l’arte possono combattere in modo efficace le distorsioni

Una battuta finale sull’apprezzabile autoironia della Ministra Kyenge: ha enfatizzato come le tematiche della migrazione debbano essere affrontate meglio soprattutto dagli operatori scolastici, ed ha raccontato che, in un incontro con studenti di una scuola elementare, si è trovata qualche giorno fa spiazzata alla domanda di un bambino: “ma ministro… il vostro governo ha un programma???”. Una risata convinta s’è elevata dalla platea.

 

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult

 

 

 

pawel-kuczynskiPawel Kuczynski è un illustratore polacco che ha affidato alla sua creatività messaggi di libertà e giustizia. I suoi disegni sono denunce vere e proprie contro sistemi totalitari, strapoteri travestiti da democrazie, ingiustizie sociali e mancato rispetto dell’ambiente. Per le sue opere ha già vinto 92 premi e riconoscimenti internazionali. Questo creativo è la dimostrazione di quanto l’arte possa essere più incisiva di tante altre manifestazioni di dissenso e ci ricorda quanto è importante preservare la libertà di espressione in ogni sua forma: Pawel Kuczynski affida infatti alle illustrazioni la rivelazione di verità scomode inerenti l’attualità sociale e politica che riguarda tutti.

 

Scoprite tutte i disegni di Pawel Kuczynski sul suo profilo Tumblr

 

alberoarteMentre qui lanciano un film di Zalone in 1200 sale, in Scandinavia, UK, Repubbliche Baltiche lanciano azioni di largo impatto in cui centinaia di artisti entrano in migliaia di scuole (Creative partnership, Cultural Rucksack), in altri Paesi tutti i ragazzi imparano a suonare uno strumento (sull’esempio de El Sistema di Abreu che sta cambiando il volto del Venezuela, ma anche in Olanda o Germania).

Marco Magnifico il vice presente del FAI in un seminario ci raccontava: “Volevamo misurare la distanza tra il FAI e il National Trust inglese. Migliorarci, capire. Ero in visita in un magnifico parco pubblico gestito dal NT e mi sono fermato a guardare delle peonie particolari. Lì accanto c’era un giardiniere che faceva il suo lavoro con la zappetta. Ha notato la mia sosta su quel fiore e si è avvicinato. Abbiamo dialogato per cinque minuti e mi ha spiegato quello che sapeva della pianta, ha risposto alle mie domande si è stupito per le varietà che nascono da noi. L’ho salutato e, uscendo, ho detto alla direttrice del posto ‘Un giardiniere è stato gentile a dedicarmi il suo tempo per spiegarmi tutto di un fiore che non conoscevo’. Lei ha risposto: ‘Non è stato gentile, è pagato per farlo. I giardinieri, come i custodi dei musei, sono pagati per dedicare l’80% del loro tempo alle mansioni specialistiche e il 20% per far sentire il visitatore accolto, fidelizzarlo, appassionarlo’. Lì ho capito che in Italia non ce l’avremmo mai fatta”.

In effetti l’abituale immagine fantozziana del custode di un museo scolpito sulla sua seggiolina fa già apparire ipercinetico il casellante autostradale. Di certo la colpa non è sua, ma non è neanche innocente. Come non lo sono i manager e la politica. Oggi poi, con la crisi e le spending review, la domanda “Ha senso investire nella crescita, nella valorizzazione e nella partecipazione culturale?” assume un’urgenza vitale.

Per alcuni è facile dire “No”, e lo fanno osservando i costi e i miseri incassi di Teatri, Musei, Biblioteche, Centri Culturali.

Io la penso al contrario ma sono convinto che occorra lavorare duro per far percepire il valore che hanno l’arte e il patrimonio culturale per la vita e la democrazia altrimenti i fiori di Van Gogh valgono le erbacce di uno spartitraffico e i Caravaggio le pennellate di un imbianchino.

Non bastano qui le spiegazioni romantiche, le pretese ovvietà, né le evidenze intellettuali sempre confutabili da chi ha altri interessi e sensibilità. Servono Indicatori di impatto Culturale che come quelli di Impatto Ambientale o Economico possano quantificare cosa significhi aprire o chiudere un museo, ma anche costruire una ferrovia su un parco o preservare le botteghe storiche di una zona.

Forse non si può misurare la bellezza ma, ad esempio, la solitudine sì, e con essa il suo ‘costo’ per i singoli e la collettività.

Indicatori ragionevoli di Impatto Culturale possono zittire chi ha interessi anticulturali e vuole vendere le spiagge e quello che esse rappresentano per far cassa.

Si può fare: si possono misurare i suicidi, gli alcolisti, le violenze. Posso misurare la partecipazione alla vita della comunità, la penetrazione e l’uso della banda larga, le propensioni xenofobe e omofobe, la diffusione delle droghe e degli strumenti musicali tra gli adolescenti.

E gli antidoti all’isolamento e alla solitudine sono la cultura e il lavoro, entrambe coniugate col rispetto e la passione.

Si può cominciare allora a ragionare su qual è l’impatto concreto dell’aprire un teatro in un quartiere periferico, quanto valga far partecipare gli abitanti della zona alle attività di un Centro Culturale, quale sia l’impatto culturale di un Bingo o di un centro commerciale; e anche il valore di laboratori artistici in una scuola o in un centro anziani. E quanti sollevi l’opera a Caracalla, un concerto dei Negramaro, o l’estasi davanti a un Kiefer, un Rothko, un Bernini.

Si potrebbe meglio programmare il futuro, zittire quelli che “con la cultura non si mangia” e dimostrare come quella generata dalla Cultura sia la vera energia pulita.

 

 

Andrea Pugliese è esperto di programmazione europea e autore del blog Pensieri sProfondi

comeilvento“Come il vento” di Marco Simon Puccioni, presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, è ispirato alla vita straordinaria di Armida Miserere, la prima donna a dirigere un carcere. Valeria Golino la interpreta con sguardo vivo e intenso. Nel cast anche Filippo Timi, Francesco Scianna e Chiara Caselli.
Specializzata in criminologia, Armida diventa direttrice, dalla metà degli anni ottanta (nel momento peggiore della storia italiana, quello della lotta alla mafia e al terrorismo) di alcuni dei più importanti carceri italiani l’Ucciardone a Palermo, Lodi, San Vittore a Milano fino ad essere mandata, in prima linea, a Pianosa, nel supercarcere riaperto per sorvegliare i mafiosi. Nonostante riceva critiche e intimidazioni, non demorde e non cede di un passo. Una vita dedicata al lavoro, con un forte senso dello Stato, incorruttibile e soprannominata “fimmina bestia” dai detenuti dell’Ucciardone, “magra o sovrappeso, comunque tesa e nervosa. Armida è intelligente, ironica, amichevole e scherzosa, ma anche inflessibile, moralista, giustizialista”, così la descrive Valeria Golino. Armida cerca di conservare la sua sensibilità e fragilità mentre applica la legge portandosi dietro una tragedia personale. L’uccisione del compagno, l’educatore del carcere Umberto Mormile interpretato da Filippo Timi. Muore suicida a soli 46 anni. Il film uscirà nelle sale italiane il 28 novembre.

 

Come ti sei avvicinata a questo personaggio e cosa conoscevi della storia di Armida?
Non conoscevo Armida prima che Marco, il regista, me ne parlasse. L’ho scoperta attraverso il suo punto di vista. Armida è una persona così complessa e contradditoria e, per quanto possiamo raccontarla, ci saranno sempre delle zone d’ombra e dei lati del suo carattere che non conosceremo mai. E’ stata una delle prime direttrici di carcere di massima sicurezza. E’ una donna che ha avuto una vita tragica, molto determinata e severa con se stessa, appassionata del suo lavoro. Ho imparato chi fosse attraverso documenti, lettere e diari, fotografie e, poi, l’ho conosciuta personalmente a Sulmona, circa un anno prima che morisse. La Dott.ssa Miserere aveva organizzato, con altri collaboratori, un piccolo festival di cinema per i detenuti e io ero stata invitata con il regista Crialese per presentare “Respiro”. E’ stato molto commovente far vedere il film in quel luogo e lei mi ha salutata, accolta e accompagnata in quella visita e abbiamo fatto una foto insieme. Era molto cortese ma anche austera, dura. Quando, successivamente, ho rivisto quella foto, ciò che mi ha più stupita e commossa è il mio abbraccio sulle sue spalle. Un gesto di protezione verso di lei che è girata e mi guarda con una tale vulnerabilità.

 

La tua prova nel film dimostra un forte coinvolgimento. Ti sei sentita particolarmente ispirata?
E’ chiaro che un attore non può sentirsi sempre particolarmente ispirato e avere la possibilità di interpretare un grande personaggio così contraddittorio e complesso. La differenza è nel modo in cui il regista guarda il suo attore e la sua attrice, dove sta mentre tu fai quella cosa o non la fai, come ti monterà, che luce hai sul viso. L’interpretazione di un attore al cinema dipende da se stesso e moltissimo da tutti gli altri. Un bel ruolo e un regista che sa guardarti sono le occasioni, per noi interpreti, di sembrare più bravi e di fare onore ad un personaggio.

 

Perché all’inizio non volevi interpretare il personaggio di Armida?
Perché avrei dovuto penare e in qualche modo dare l’anima. Non era un ruolo in cui potevo passare e fare bella figura così, ma dovevo esserci. Quando mi è stato chiesto stavo preparando il mio primo film da regista, un’esperienza completamente nuova per me, difficile e misteriosa. Pensavo alla fatica e alla battaglia che avremmo dovuto affrontare per riuscire a girare una storia così difficile, in Italia, che non fosse solo puro intrattenimento, terminarla e distribuirla. Avevo paura di finire nel dimenticatoio. Poi però il desiderio del regista, quel desiderio su di te, mi ha messo voglia di farlo e quindi eccoci qua.

 

Cosa pensi della situazione delle carceri in Italia e quello che sta scatenando?
Vanno presi dei provvedimento al più presto. È chiaro che un paese civile, che ha rispetto di se stesso, non può non preoccuparsi del sistema carcerario che è un luogo e non un’astrazione ai margini della società. È la nostra vita non è qualcosa di lontano, è la nostra coscienza. Ne va della nostra dignità. È un argomento che ci riguarda troppo da vicino per non prendere dei provvedimenti. Bisogna muoversi per fare delle leggi giuste, non di marginalizzazione, ma di comprensione.

 

Costa stai facendo ora?
Ora sto girando un film con Gabriele Salvatores che si chiama “Il ragazzo invisibile” e mi sto molto divertendo. E’ un film fantasy, inedito in Italia, e poi ho fatto una piccola parte nell’ultimo film di Paolo Virzì che si chiama “Il capitale umano” e credo che inizierò a girare ad aprile “Il nome del figlio” di Francesca Archibugi.

 

 

 

social streetA quanto pare la diceria che dai momenti di crisi si viene fuori più forti, nuovi e positivamente resettati, non è finzione ma realtà. Il collasso economico che ha interessato l’Europa negli ultimi anni sta rivelando sorprese impensabili riguardo alle direzioni che l’economia e la società contemporanee stanno prendendo.

Abbiamo passato una fase di capitalismo sfrenato, di predominanza dell’egoismo e dell’individualismo, di chiusura verso il prossimo. Ancora adesso subiamo gli strascichi di questo stadio, che potrebbero sembrare acuiti dalla crescente predominanza della realtà virtuale sulle vite di ciascuno di noi. In realtà è proprio dal mondo della tecnologia e del virtuale che stanno nascendo i primi germogli di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione sociale. Un nuovo cambio di rotta nel modo di vivere i rapporti individuali e comunitari.

Uno startupper bolognese, di origini fiorentine, Federico Bastiani, un bel giorno si è reso conto di ignorare l’identità dei suoi vicini di casa. Se un tempo il quartiere era la comunità per eccellenza, luogo di pettegolezzi e piccoli sgarbi, ma anche di condivisione e comunione, oggi, chiusi nei nostri piccoli o grandi appartamenti, viviamo giornate isolate, costellate da cenni del capo e freddi convenevoli. Bastiani ha pensato di voler modificare questo status di cose, quantomeno nel suo quartiere e, quasi per caso, ha dato il via al primo esempio di social street.

A settembre ha creato un gruppo chiuso su Facebook – strumento tra i più semplici e democratici, anche perché gratuito – per chiamare a raccolta gli abitanti della via Fondazza di Bologna. Ha stampato dei volantini per dare notizia della sua iniziativa e li ha distribuiti nei condomini del quartiere. In più di 300 hanno risposto, creando la prima comunità cittadina che nasce con l’intento precipuo di “scollare” dagli schermi di un pc le stesse persone con le quali condividiamo un pianerottolo e che non abbiamo mai conosciuto, per avviare forme di collaborazione, di sostegno, di aiuto reciproco, di scambio di idee, socialità e quando serve, anche di merci.

Non si tratta solo di un esperimento sociale, infatti, ma anche dell’incarnazione di un sistema economico che sta prendendo sempre più piede in diverse forme. Teorizzata qualche anno fa dalla studiosa Loretta Napoleoni, la pop economy sta diventando la risposta più concreta alle magagne della crisi, che fa un baffo alle spesso finte riforme dei politici. È l’economia del popolo, quella basata sullo scambio, sul baratto, sul dare e sul ricevere, gratis o in cambio di qualcos’altro. È l’evoluzione di eBay, che evita lo spreco, incentiva il riciclo e assicura il risparmio. Lo spiegano bene sul sito che è nato dall’esperienza di Bastiani, www.socialstreet.it: “Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro?”. Lo stesso vale se non si vogliono buttare le uova prima di partire per le vacanze, se serve l’aiuto di una baby sitter, se si cerca un appassionato di cinema con cui condividere il proprio hobby, se si vuole trovare una comitiva di amichetti al proprio bambino, e così via. Dalla rete, da internet, dai social, si passa di nuovo alla realtà, alla strada, al quartiere.

Di esempi di pop economy ce ne sono molti altri: dal bike e car sharing, al cohousing, dal couchsurfing al baratto turistico in cambio di cultura, dalle comunità ormai diffusissime in tutta Italia “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, fino agli swap parties nel quale scambiarsi vestiti e altri oggetti.

Di necessità si fa virtù e l’unione fa la forza, l’uomo ha una grande capacità di adattamento e si è stancato di vivere da solo. Non semplici luoghi comuni, ma un ritorno vero e istintivo al branco.

Dada Masilo, coreografa e interprete sudafricana, con Swan Lake, in programma al teatro Argentina di Roma fino al 10 novembre, ci ricorda un assunto universale, mai scontato: l’arte, la musica, la danza non hanno età, sesso o razza, ma sono patrimonio dell’umanità. Lo spettacolo è un’ora di contaminazioni culturali, musicali, coreutiche, artistiche, etniche, sessuali che ti fa dimenticare la nazione di appartenenza, il colore della pelle e ti fa sentire abitante del pianeta con la sua danza dionisiaca, gioiosa e seduttiva, che ricorda “La danse” di Henri Matisse del 1910.

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Ma lo spettacolo è dirompente soprattutto per i suoi contenuti. Partendo dai temi di fondo del Lago dei cigni, quali l’amore e l’iniziazione sessuale, Dada Masilo non sdogana solo il tutù ma anche, con delicata sensibilità ed ironia, il tema dell’omosessualità e omofobia: il principe Siegfried non sposerà la prescelta dalla famiglia perché è innamorato di un uomo, il Cigno Nero. Il finale rimane drammatico: è impossibile dimenticare che in Sudafrica l’AIDS è ancora una emergenza.
Il melange di una coreografa, che padroneggia linguaggi contemporanei e internazionali, ha superato il rischioso confronto con uno dei capolavori della danza classica.

dadacigno

Un altro messaggio di uguaglianza scorre nella scelta dei costumi identici per i 14 danzatori a piedi nudi della Dance Factory di Johannesburg: un tutù bianco per uomini e donne o, come nel finale, veli neri fino alle caviglie e busti nudi. La danza classica, dei bianchi occidentali, è spiegata e illustrata in scena con ironia: i fianchi bloccati, i movimenti ondulatori come le alghe di un lago, quelli controllati con i muscoli in tensione etc. I corpi flessuosi dei danzatori, belli nella loro diversità, vibrano animati dal profondo e ancestrale bisogno di danzare. Dalle posizioni canoniche della danza classica all’improvviso emerge la potenza energica della danza afro, quella tradizionale Zulu sudafricana, e i fianchi e le anche ondeggiano in modo ritmico.
Lo stesso balletto romantico di Tchaikovsky presenta questi contrasti, contrapponendo le danze di corte a quelle dei contadini, e Dada Masilo riesce ad attualizzarne i contenuti con una riuscita operazione di integrazione culturale, coreografica e musicale.
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Un tumore al seno può cambiare molto la percezione delle cose, ma può farlo anche una foto. È quanto è accaduto ad Angelo e Jennifer, una giovane coppia che ha dovuto affrontare il dolore della malattia. The battle we didn’t choose”, si intitola così il progetto fotografico che Angelo Merendino ha portato avanti durante gli anni di sofferenza della moglie e che è diventato anche un libro.

 

Jen portrait 2007

 

4 anni di calvario registrati attraverso gli occhi di un fotografo professionista, di un marito. Sono scatti intimi, dolci e crudeli insieme. Crudeli perché registrano con precisione il disfacimento di un corpo, il progredire di un malanno incurabile, la sofferenza che cambia i connotati a un volto, che alla fine conserva intatto solo il sorriso. Dolci perché ricordano quanto bella sia in fondo la vita, insegnano come si possa trovare uno scopo e una direzione anche ai giorni peggiori, trasmettono quanto importante possa essere un sentimento. Non si tratta, infatti, solo e soprattutto del resoconto di una malattia, quanto piuttosto della storia di un amore, forte e indistruttibile.

 

Die Pretty

 

Si erano sposati da appena 5 mesi Jennifer e Angelo, quando la prima ha scoperto di avere un cancro. Poi è stato un susseguirsi di dolori e paure, costellate da speranze e anche qualche gioia. La gioia di sentirsi voluti bene, di sapere vicini non solo amici e parenti, ma anche gente sconosciuta. La coppia ha deciso da subito di documentare quello che le stava accadendo, per dare una forza, una risposta e una speranza a chi, come loro, si trovava ad affrontare la stessa situazione.

Jennifer alla fine non ce l’ha fatta, eppure il suo segno la sua vicenda lo ha lasciato. Dai proventi ricavati dal libro fotografico pubblicato da Angelo Merendino è nata un’associazione no profit, “The love you share”, con lo scopo di fornire assistenza finanziaria ad altri malati di cancro.

 

angelomerendino

 

D’altra parte il prodotto artistico di Angelo ha avuto subito un incredibile successo di critica e pubblico ed è stato ospitato in mostre allestite a New York, Washington, Roma. Il suo punto di forza sta nell’aver umanizzato un capitolo doloroso della storia di molti. Il suo messaggio finale invita a trovare una luce positiva anche nel buio più profondo.

L’iniziativa di Angelo potrebbe anche non trovare d’accordo tutti. Mettere a nudo così una malattia, una persona che si ama, l’intimità e la privacy di una situazione tanto dolorosa e alla fine pubblicare un libro a riguardo potrebbe risultare esagerato, eccessivo, urtante. Forse l’unica risposta plausibile sta nel fatto che ognuno vive il dolore a suo modo, e che l’arte e la creatività possono servire, in parte, ad affrontare ad alleviare una perdita.

New York ha scelto il suo nuovo sindaco: si tratta di Bill de Blasio, democratico italoamericano, classe ’61, che ha sbaragliato l’avversario repubblicano Joseph J. Lotha con il 73% delle preferenze. I sondaggi già lo davano vincente, nonostante un democratico non avesse ricoperto il ruolo di primo cittadino da ben 20 anni.
De Blasio succede a Michael Bloomberg, da 12 anni a capo della Grande Mela e già braccio destro di Rudolph Giuliani, il sindaco dell’attentato alle Torri Gemelle.

Il successo di questo 52enne si deve in gran parte alla sua campagna politica, incentrata su una forte comunicazione della propria identità familiare. Tutti i newyorkesi sanno infatti che de Blasio è sposato con Chirlane McCray, scrittrice attivista contro il razzismo e sostenitrice dei diritti delle donne omosessuali. Dalla loro unione, avvenuta nel 1994, sono nati due figli: Chiara e Dante. Tutti i membri della famiglia de Blasio hanno partecipato e sostenuto pubblicamente la corsa di Bill a sindaco della città, comparendo in video, talk show e in comizi per promuovere le proposte del candidato.

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[youtube http://www.youtube.com/watch?v=GgvXniTz7D8?rel=0]

 

Bill de Blasio ha dunque giocato la carta dell’emozionalità, mostrando al pubblico votante quanto fosse progressista anche nella sua quotidianità, con una famiglia moderna e mista, come molte ormai a New York:  l’impegno nell’affermazione dei diritti civili della moglie e la sua italianità, esaltata dalla scelta di mantenere il cognome materno e di chiamare Dante e Chiara i figli, hanno poi giocato un ruolo preponderante per aggiudicarsi le preferenze della comunità LGBT e delle minoranze ormai decisive nelle elezioni.

La sua sensibilità nei confronti dei cosiddetti “latini” è ad esempio dimostrata dal fatto che il suo sito ufficiale è tradotto in inglese e spagnolo, senza contare poi l’utilizzo vasto dei social network per diffondere le sue proposte e per chiedere ai sostenitori di votarlo, senza mancare mai di pubblicare foto dall’album di famiglia. Una sorta di Obama ancor più diretto e genuino.

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Altro elemento da non sottovalutare nella comunicazione messa in atto dal suo staff è anche la forte appartenenza al quartiere di Brooklyn, dove è nato. Qui, a pochi passi dalla sua abitazione, c’è infatti il cuore strategico del suo entourage e proprio al Park Slope Armory, l’ex caserma della Guardia Nazionale, convertita ora ad ostello giovanile, sta festeggiando insieme ai suoi sostenitori e vecchi amici, molti dei quali hanno contribuito finanziariamente alla sua corsa a sindaco: Bill ha potuto infatti contare su corpose donazioni.
Molti poi i giovani volontari che hanno collaborato per la campagna elettorale, con entusiasmo e fiducia, guardando a de Blasio come alla svolta politica e sociale che da tempo i newyorkesi attendevano. Del resto, anche nel video di lancio della candidatura, Bill de Blasio è presentato come il “cambiamento” necessario per ritrovare l’unità tra i cittadini e, soprattutto, l’uguaglianza.

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Una foto. Una storia. Un racconto di come eravamo, di cosa facevamo, delle persone che ci circondavano (canticchiatevi in testa una musica triste – e se non ve ne viene in mente nessuna, eccovela qua…). Parti di noi che compongono la nostra anima e…il nostro QR code.
Ebbene si, cari lettori, oggi vi parliamo di una tecnologia che dire creativa è dire poco.
Si chiama Rest in memory ed è un QR code da apporre su lapide, per una tomba all’ultimo grido e super geek.

restinmemory

Arrivo subito al dunque e vi spiego brevemente come funziona (anche se poi il video sotto sarà molto più esplicativo e divertente): si raccolgono le foto di momenti particolari, che vogliamo ricordare e traghettare con noi fino all’ultimo anelito, si mettono online in un apposito spazio dedicato e poi si aderisce al progetto. 60 euro e ti inviano una mattonella a casa, 130 per l’opzione famiglia.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=dWLVD0GpavM]

Poi si carica tutto dentro la mattonella e si va dritti al cimitero.
Ovviamente il servizio non è da considerarsi riservato solo a se stessi ma anche a terze persone per le quali possiamo raccogliere foto e documenti.
Dunque, io ora ve lo ho spiegato così, che sembrerà anche un po’ blasfemo e riduttivo, però credo davvero sia una trovata geniale.

Sul sito si parla di password, foto, link e documenti da condividere con persone e parenti lontani che possono essi stessi contribuire a riempire quello spazio virtuale di ricordi da far conoscere ai cari del defunto.

mariomigliore
Cioè praticamente, è come se il defunto avesse in allegato alla bara di legno anche una sorta di bara dropbox virtuale.
Ti porti nella tomba pure tutto il digitale accumulato in una vita.
Dai, non mi sembra una cattiva idea.

E i ragazzi di Rest in memory,per me, sono stati davvero bravi, anche nella presentazione. Se vi sembra facile esporre un servizio del genere con questa leggerezza, provateci, davvero.
Quindi…visto che io so quando morirò perché lo avevo scoperto con questo articolo, ora non mi rimane che aggiungere gadget super geek alla mia lapide.
E ovviamente, caricherò anche questo articolo nella mattonella.

Se li volete seguire su Facebook, questa la loro pagina

legambientepergreenpeaceLegambiente non ha perso tempo per esercitare pressioni scrivendo al Premier Enrico Letta affinché l’esecutivo italiano intervenga presso il Governo Russo al fine di veder rilasciati i 28 attivisti e i due giornalisti arrestati ingiustamente.

L’associazione del Cigno Verde è al fianco dell’Associazione Greenpeace cui condivide l’allarme lanciato per l’Artico. Anzi crediamo che anche il nostro Governo debba far sentire la propria voce a nome di tutti gli italiani. L’accusa di pirateria inizialmente lanciata sui 28 attivisti di Greenpeace e i due giornalisti, con il rischio di essere condannati fino a 15 anni di prigione per un’azione dimostrativa pacifica a difesa dell’Artico contro la piattaforma della Gazprom, ci è sembrata un’enormità assolutamente ingiustificata. L’Artico è un bene di tutti che va salvaguardato anche per le generazioni future. Ci preme che vengano rilasciati gli attivisti e i due giornalisti freelance, ingiustamente arrestati il 19 settembre scorso e ancora trattenuti dall’autorità russa per aver tentato di assaltare la piattaforma Gazprom: un’azione dimostrativa che nulla ha a che vedere con le accuse formulate dal Governo Russo, e che vede tra gli attivisti fermati anche l’italiano Cristian D’Alessandro. Cristian è un napoletano che ha abbracciato le cause ambientaliste con passione, coraggio e fermezza. Una persona decisa e perbene che lotta per un mondo migliore, più giusto ed equo, dove un diverso modello di sviluppo sia possibile per scongiurare il declino del genere umano.

L’appello di Legambiente si va ad unire alla mobilitazione internazionale che è partita in queste settimane e che ha coinvolto personaggi illustri come gli undici Premi nobel per la Pace. E dall’assemblea annuale dei circoli in corso a Rispescia (Gr), Legambiente lancia un messaggio di solidarietà e di vicinanza agli amici di Greenpeace con una foto dallo slogan provocatorio “Colpevole di pacifismo”. Le azioni di Greenpeace, seppur eclatanti, sono pacifiche per definizione e quella che sta avvenendo in Russia, con la detenzione dei 30 membri dell’equipaggio della nave Arctic Sunrise compreso il nostro amico Cristian, è una risposta violenta e spropositata al gesto di protesta dell’associazione ambientalista che vuole solo accendere i riflettori sulla delicata questione dell’Artico e dell’inquinamento marino.

 

Nabil Pulita è Delegato Nazionale Legambiente

 

 

 

Amanti dei libri e della lettura, segnate questa data sul calendario perché non potete perdervela!
Il 17 ottobre è il Social Book Day, iniziativa lanciata da Libreriamo, che vuole coinvolgere tutti gli appassionati attraverso ogni canale social disponibile.
Crescono infatti forum, gruppi di discussione, fan page, profili, blog e quant’altro dedicati a libri e lettura: la rete si sta dunque rivelando un catalizzatore per lo scambio di testi e consigli, suggerimenti e lancio di iniziative che ruotano attorno al tema.

socialbookday
Giovedì prossimo siamo perciò tutti invitati a esprimere la nostra personale dichiarazione d’amore verso la cultura utilizzando tutti gli strumenti virali di cui disponiamo.
“Basta twittare o pubblicare su Facebook e su tutte le altre piattaforme una frase personale, un pensiero, una citazione del proprio autore preferito, un claim a sostegno della lettura e dei libri e in cui sia sempre presente l’hashtag #socialbookday”: queste le semplici istruzioni lanciate da Libreriamo per partecipare a questo primo Social Book Day. Le testimonianze più significative verranno poi raccolte per redigere un vero e proprio manifesto che verrà diffuso con ogni mezzo, anche attraverso l’aiuto della carta stampata.

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C’è chi poi ha deciso di promuovere la lettura alla vecchia maniera, affidandosi alla più tradizionale biblioteca; “tradizionale” si fa per dire, ma pur sempre social. Si tratta infatti di spazi adibiti a raccogliere libri, cd e dvd da mettere a disposizione della comunità… condominiale.

Accade ad esempio a Roma, nel cuore di Trastevere, in Via Giovanni da Castelbognese 30, alla Scala C. I condomini si sono uniti per tramutare la stanza utilizzata per le assemblee in un vero e proprio luogo di incontro e aggregazione: le pareti sono infatti coperte di scaffali colmi di libri, fumetti, riviste, cd e tutto ciò che fa cultura. A gestire questo spazio idilliaco, chiamato la Biblioteca Al Cortile, due signore volontarie e il portiere, che garantiscono la fruizione del materiale due giorni a settimana per due ore.

Anche a Milano c’è un condominio in Via Rembrandt 12 che, nei suoi spazi al pian terreno, ospita la sua biblioteca. Libri donati dagli abitanti del palazzo anni ’50 sono stati resi disponibili alla comunità insieme a volumi salvati dal macero, i primi entrati a far parte della collezione.
Il prestito è anche qui gratuito e può avvenire per un tempo massimo di un mese. Non manca una sezione dedicata appositamente ai più piccoli e possono consultare i testi condomini e non.

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Miracoli dei libri che, oltre a rappresentare un grande patrimonio culturale, rappresentano evidentemente veri e propri strumenti di condivisione e comunicazione, oggetti di riflessione e discussione, motivi di incontro tra utenti virtuali e vicini reali.
Laddove nemmeno la modernità del 2.0 riesce a far conoscere dirimpettai di appartamento, la passione e la curiosità che un testo può generare è capace di abbattere ogni barriera che i tempi moderni hanno imposto.

 

innamorati“L’arte attoriale è una malattia mentale che solo il palcoscenico può guarire”. E’ scritto sulla bacheca facebook dei Commediomani, la compagnia con età media 21 anni che ha portato in scena al Teatro Ghione di Roma gli Innamorati di Carlo Goldoni, per la regia di Pino Quartullo.
Il teatro è stato fondato e diretto fino al 2005 dall’attrice italiana Ileana Ghione ed oggi, divenuto s.r.l., è diretto da Roberta Blasi e alterna una stagione classica a progetti innovativi con una forte attenzione al sociale.

Quando entriamo è affollato,il pubblico è assolutamente eterogeneo, dagli affezionati del Teatro di una certa età a molti giovani,essendo estremamente giovane la compagnia in scena.
E’ accogliente, con le rifiniture di vernice nera e le poltrone di classico velluto rosso e la piccola cavea creata ad hoc per l’orchestra rende vivace la sala.
L’orchestra è tutta al femminile, si chiamano Le Arzigogole: 9 donne agli archi, al pianoforte e alla chitarra.
Quello che colpisce di questa messa in scena è l’accuratezza sia in scelte come quella della musica dal vivo, sia nei costumi, ottenuti grazie ad un accordo con il Teatro dell’Opera di Roma, di rara raffinatezza grazie a sete rosate e tulli neri, sia nella recitazione dei giovani attori.
Nulla lasciato al caso, impreciso.

La Commedia, che si propone di mischiare in comico soggetto “la passione e il riso dolcemente ”, è stata scritta da Goldoni in seguito ad un soggiorno romano, sulla via del ritorno a Venezia. L’ambientazione è quella di una casa borghese, tenuta dal decaduto Zio Fabrizio che si ritrova a dover badare e a dover far maritare senza dote le due nipoti Flaminia ed Eugenia.

Pino Quartullo dipinge le contraddizioni dell’amore, il tendere verso qualcosa di grande, di assoluto della giovane Eugenia e allo stesso tempo le sue paure, il suo non filtrare la gelosia, il timore di non essere abbastanza, l’estremo bisogno di conferme attraverso la scelta di ripartire il suo ruolo e quello dell’amato Fulgenzio, tra tre attori che agiscono all’unisono ma seguendo vettori diversi. C’è Eugenia che si alza, aggressiva, capricciosa e furiosa con Fulgenzio che ha in scena un’altra sé che invece resta sulla sedia, quasi impaurita. E’sempre solo uno, ma non lo stesso da scena a scena, che parla, che agisce e gli altri si muovono sul palco ad amplificare o a contrastare le azioni di chi parla, a tratti come specchi fedeli, a tratti come riflessi delle contraddizioni interiori.
I personaggi secondari, come lo Zio Fabrizio, che parla in grande e oramai è ridotto in povertà, veste come uno straccione e vende fino all’ultima posata per poter comprare il cibo per cucinare un pranzo da signori, o come i servitori, sono molto caricati, macchiette che non lasciano scampo alla risata del pubblico.

La musica dell’orchestra non è mai invadente e sempre di supporto, di conservazione della dimensione poetica dell’opera.
L’energia in scena non cala mai, cresce proprio con i personaggi secondari, come la serva di Eugenia, Lisetta, che spia i signori dalla cucina insieme al servitore di Fulgenzio: lei seleziona sempre con immancabile acume cosa sia opportuno e non opportuno dire alla propria padrona; lui è guidato da ingenuità, da riverenza incondizionata verso il suo buon padrone.

Apprezzabile e degno di nota anche il lavoro sugli accenti, con Lisetta che parla siciliano e il servitore di Fabrizio con marcato accento nordico, tutti elementi che aiutano a riconoscere i personaggi, a riportarli velocemente al nostro tempo.
Non manca anche l’esplicito raccordo iniziale e finale con i giorni nostri, attraverso un ritorno degli attori nel “personaggio” della compagnia teatrale. I personaggi-reali sono in ansia nell’affrontare La commedia e nel dover fare i conti con la precarietà economica e quella delle relazioni, le stesse fragilità di Eugenia e Fulgenzio, quelle universali dell’amore.

Che anche questa malattia mentale dell’amore si possa curare con il palcoscenico?

Calano le quinte e il pubblico appare carico, pare aver assorbito e ora voler restituire l’energia di questi giovani attori, che hanno davanti una strada certo non semplice, ma che trasmettono la loro carica e determinazione verso il loro sogno artistico, superando a pieni voti la prova Goldoni.

 

L’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti, riunitasi il 19 dicembre 2011, ha riconosciuto che “lo sviluppo e l’investimento nelle ragazze che si trovano in condizioni critiche costituisce uno dei Millennium Development Goals”, uno degli obiettivi fondamentali a cui si deve giungere per poter proseguire nella strada fondamentale verso il progresso, l’emancipazione, la democrazia e l’assicurazione globale dei diritti umani.

Partendo da questo fondamentale principio è stata istituita la Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze, celebrata per la prima volta l’11 ottobre 2012 attraverso migliaia di iniziative in tutto il mondo: convegni, conferenze, tavole rotonde, eventi culturali e manifestazioni di impatto, come la colorazione di rosa dei principali monumenti, da Londra a Milano, da New York a Nuova Delhi.

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Lo scopo dell’11 ottobre dell’anno scorso era di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sul tema delle mogli bambine, piccole donne sottratte alla possibilità di godere dell’innocenza e della spensieratezza dell’infanzia, perché costrette a sposarsi in età infantile, spesso con uomini molto più grandi di loro.

Il tema scelto per il 2013 è stato “l’innovazione nell’istruzione femminile”. Moltissime bambine e ragazze, specialmente nei Paesi sottosviluppati, non hanno accesso all’istruzione, non solo per impossibilità materiali o economiche, ma perché andare a scuola è proibito, è un reato, una colpa. La tecnologia, intelligente e sostenibile, può allora venire in aiuto, sia che si tratti di utilizzare un nuovo tipo di mattoni resistenti agli agenti atmosferici, come accade in Madagascar; sia che si tratti di coinvolgere le ragazze in iniziative di tutoraggio aziendale a tema tecnologia e ingegneria, come accade in Sudafrica. Continue reading “Una Giornata dedicata alle Bambine e alle Ragazze” »

Alfred Nobel inventò la dinamite. Poi un giorno morì e lasciò il suo patrimonio di circa 200 milioni di euro a un fondo specifico da distribuire annualmente a coloro che, durante l’anno precedente, avessero contribuito maggiormente al benessere dell’umanità. E da lì tutto ebbe inizio.

Oggi i Premi Nobel sono considerati tra i riconoscimenti più importanti e prestigiosi e probabilmente tutti, almeno da bambini, abbiamo sognato di ottenerne uno. Quantomeno quello per la pace.

Il giro di interessi, economico e mediatico, che gira attorno ai Premi Nobel è vastissimo. Dopo la già avvenuta assegnazione dei Premi Nobel per la medicina, per la fisica e per la chimica, il 10 e l’11 ottobre sarà la volta dei Premi più attesi e discussi, quello per la letteratura e quello per la pace.

Dr. Francis Crick's Nobel Prize Medal on Heritage Auctions
Nobel per la Pace
Il Nobel per la Pace viene assegnato “alla persona che più si sia prodigata o abbia realizzato il miglior lavoro ai fini della fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione di eserciti permanenti e per la formazione e l’incremento di congressi per la pace”. Rispetto agli altri Premi, al Nobel per la Pace ci si candida e quest’anno, come è leggibile sul sito ufficiale, è stato raggiunto il record di candidature: 259 di cui 50 da parte di organizzazioni. Sarà il Comitato per il Nobel della Norvegia a scegliere a chi attribuire il Premio. Tra i candidati più in vista ci sono:

malala-yousafzai-ftr1) Malala Yousufzai (La più quotata): è il vessillo dei diritti civili delle donne pachistane, in particolare del loro diritto allo studio, dopo che nel 2012 è stata aggredita dai talebani di ritorno da scuola. Malala, infatti, a soli tredici anni, si occupava di un blog per la BBC nel quale raccontava delle condizioni di vita sotto il regime talebano.

 

 
bradley_manning2) Bradley Manning (L’informatico): ha soli 26 anni eppure ha già messo in grave imbarazzo il governo americano, tanto da guadagnarsi 35 anni di prigione. Il suo reato è stato quello di rilasciare all’organizzazione Wiki Leaks documenti riservati sull’esercito americano in Iraq. È candidato al Nobel perché ha denunciato diversi soprusi da parte dei militari, tra cui omicidi di civili disarmati, ha messo in discussione la politica estera USA, ed è ritenuto una delle ragioni del ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq.

 

 
Mukwege4583) Denis Mukwege (Il meno conosciuto): è un ginecologo del Congo che ha curato migliaia di donne vittime di abusi sessuali. Dopo aver pubblicamente condannato l’oltraggiosa impunità delle violenze sessuali nel suo Paese, nel 2012 è scampato ad un tentativo di omicidio.

 

 
lampedusa4) Lampedusa (L’esempio più attuale): tutti sono a conoscenza delle recenti stragi di immigrati, morti nel tentativo di raggiungere le coste dell’isola siciliana. Lampedusa dovrebbe ottenere il Premio Nobel per la Pace perché è esempio quotidiano di fratellanza e solidarietà. Sarebbe anche un buon modo per sensibilizzare l’Unione Europea sulla necessità di intervenire nella questione immigrazione.

 

 

Vladimir Putin5) Putin (L’assurdo): nonostante i diritti civili dei russi siano giornalmente messi in discussione da quello che da molti è considerato un regime a tutti gli effetti, l’“International Academy of Spiritual Unity and Cooperation of Peoples of the World” ha ritenuto opportuno candidare il leader russo al Nobel per la Pace. Il suo merito? Aver scongiurato in maniera decisiva (e disinteressata?) i bombardamenti in Siria e lo scoppio di un’altra guerra internazionale.

 

 

Nobel per la Letteratura:
È il premio più chiacchierato. Assegnato dall’Accademia di Svezia a chi “abbia prodotto il lavoro di tendenza idealistica più notevole”, diventa annualmente mira degli scommettitori più accaniti. L’agenzia di scommesse britannica, Ladbrokers, fornisce una lista degli artisti più quotati.

murakami61) Murakami Haruki (Il più quotato): è lo scrittore giapponese, autore di “Norwegian Wood”, “Kafka sulla spiaggia”, “1Q84”. Da più anni il suo nome gira attorno a quello del Nobel per la Letteratura perché effettivamente ha stregato milioni di lettori con il suo stile onirico, intricato e avvincente.

 

 
Alice-Munro-0052) Alice Munro (La donna): questa scrittrice canadese, ottantenne, è considerata la maggiore autrice di racconti vivente. Le sue raccolte di narrazioni, dal taglio intimista ed emozionale, hanno ottenuto numerosi premi e riconoscimenti da parte della critica. La sua quotazione al secondo posto è molto rilevante se si considera che, dei 109 premiati al Nobel per la Letteratura, solo 12 erano donne.

 

 

Prof Ngug 1

3) Ngugi wa Thiong’o (L’impegnato politicamente): è un eclettico scrittore, poeta e drammaturgo Keniota, considerato uno dei più grandi maestri della letteratura africana. Ha subito arresti e persecuzioni per essersi schierato apertamente contro il governo del suo Paese.

 

 

eco4) Umberto Eco (L’italiano): è il più alto in classifica tra i papabili italiani al Nobel per la Letteratura. Maestro riconosciuto di semiotica, arte e critica letteraria, è uno dei maggiori uomini di cultura in Italia.

 

 

Roberto_Vecchioni5) I cantautori Bob Dylan, Leonard Cohen, Roberto Vecchioni (Gli improbabili): hanno scritto decine di canzoni dai testi immortali. “Buckets of rain”, “Halleluja”, “Samarcanda” sono  canzoni entrate definitivamente nella storia della musica. Eppure, i più considerano eccessiva e fuori luogo un’eventuale assegnazione del Nobel per la Letteratura a questi indiscussi maestri della canzone, perché non ritenuti paragonabili agli altri nomi in lizza.
Staremo a vedere.