benitez pompeiRafael Benitez, allenatore di calcio, spagnolo ma con lunghe frequentazioni britanniche (avendo allenato in Inghilterra per molti anni), tanto da produrre contaminazione culturale, sembra che in questo momento sia il miglior “testimonial” della cultura e dei beni culturali di Napoli e della Campania.

Rafael, detto Rafa, divenuto dopo poche ore dal suo arrivo a Napoli Rafè (trasformato ormai in Don Rafè), ha infatti già fatto visita ad alcune delle più grandi miniere d’oro e cultura campane, come il Teatro San Carlo, gli Scavi di Pompei, il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Caserta e la Cappella Sansevero, sottolineando al termine di ogni visita lo stupore per la bellezza riscontrata in luoghi, d’arte e storia, unici al mondo.

Il Gran Tour di Benitez, come è stato definito, è scaturito dalle segnalazioni arrivate dai tifosi del Napoli (e non) attraverso il suo sito ufficiale, sollecitati dallo stesso allenatore, poco dopo la firma sul contratto che lo avrebbe legato alla squadra ed alla città, a proporre un elenco dei posti più belli da visitare di Napoli e della Campania.

L’appello che è stato accolto immediatamente con gran piacere, ha trasformato i tifosi in “esperti culturali” che hanno sollecitato il loro beniamino a visitare i più bei luoghi d’arte campani. Sono piovute le raccomandazioni per mister Rafa: dalla Cappella di Sansevero agli Scavi di Pompei ed Ercolano, da Spaccanapoli al Teatro San Carlo, dalla Reggia di Caserta a Marechiaro.

E così Don Rafè non ha potuto sottrarsi alla voglia di conosce a fondo il territorio straordinario che lo ospita e, sorprendentemente, non si è limitato a visitarli “quei luoghi” e ad apprezzarne la magnificenza, ma si è trasformato in “portavoce” e “promotore” della bellezza di Napoli e della Campania e lungimirante “manager della cultura” con puntualizzazioni sulle strategie di valorizzazione.

Dopo le prime visite ecco, infatti, che una sua affermazione arriva subito in testa ai giornali ed alle discussioni sui social: “La Campania è bellissima, ma il marketing non è all’altezza. […] Luoghi come Palazzo Reale, il Cristo Velato in un altro paese, con un altro tipo di marketing sarebbero sicuramente venduti di più. Penso a Pompei, che è un luogo bellissimo ma si può vendere meglio e questo porterebbe anche lavoro e soldi al territorio”. Il risalto è stato tale da coinvolgere anche l’assessore alla cultura ed al turismo della Regione Campania, Pasquale Sommese, che cita Benitez come un ottimo “ambasciatore” e lo ringrazia per il suggerimento.

Ogni nuovo apporto di pensiero, ogni nuovo stimolo e ogni nuova opportunità per contribuire al rilancio e alla promozione del grande patrimonio culturale italiano – e campano – ben vengano!

Rafa Benitez, che ad ogni occasione utile cita la cultura e la passione per Napoli, intesa oltre la squadra di calcio, ha conquistato tante simpatie ed ha prodotto una ampia e positiva attenzione per i problemi legati alla valorizzazione dei luoghi d’arte, coinvolgendo, attirandone l’attenzione, Istituzioni, addetti ai lavori e cittadini (e tifosi!) che vivono tutti i giorni la città di Napoli ed i luoghi che la circondano, non accorgendosi – molto spesso – di tutta la bellezza che c’è intorno.

Un signore distinto e sorridente che arriva dalla Spagna (terra a cui la Campania è da sempre e storicamente particolarmente legata), che di mestiere fa l’allenatore di calcio, ha “aperto gli occhi” a molte persone provocando un grande richiamo con le sue visite, le foto e le affermazioni sui più straordinari siti d’arte della Campania. Aspettando le prossime visite, grazie a Don Rafè!

 

rushmovieSe non è il miglior film dell’anno, poco ci manca. È difficile non rimanere incantati ed emozionati di fronte all’ultima fatica cinematografica di Ron Howard, Rush, basato sulla leggendaria sfida tra i piloti di Formula 1 Niki Lauda (interpretato da Daniel Bruehl) e James Hunt (Chris Hemsworth). Gli incassi parlano da soli: 48 milioni di dollari guadagnati in tutto il mondo e 4 milioni di euro nella sola Italia. E il merito non è solo dei tantissimi appassionati di Formula 1 che hanno atteso con ansia per mesi l’uscita di Rush… Perché se è vero che il film ha avuto un grande successo in Paesi come Italia e Regno Unito, dove la tradizione dello sport a motori è molto forte, è anche vero che senza il tocco di Hollywood, questo lavoro sarebbe stato distribuito solo in poche decine di sale in diversi Paesi.

Per quanto gli americani abbiano il “brutto vizio” di romanzare ogni cosa, va riconosciuto al regista americano di essersi attenuto quanto più possibile alle cronache del tempo: la somiglianza degli attori con i personaggi originali è impressionante, la ricostruzione delle vetture usate dai piloti è fedelissima, così come la sequenza di eventi che ha caratterizzato il duello tra Lauda e Hunt, dalle prime scaramucce in Formula 3 (categoria minore degli sport motoristici a quattro ruote) fino alla famosa stagione 1976, massimo emblema della rivalità tra i due nemici – amici.

Rush è un film che ha la capacità di parlare a tutti, sia a chi non ha mai seguito una gara di Formula 1, sia a coloro che sono disposti ad alzarsi anche alle 4 di notte pur di seguire in diretta la gara in Australia. Nessun linguaggio complesso, nessun nome o episodio dato per scontato: la narrazione prosegue in modo lineare e chiaro, coinvolgendo al massimo lo spettatore e riportandolo indietro nel tempo. Ma occhio a definirlo semplice documentario… Perché, oltre ai momenti salienti della sfida Lauda – Hunt, l’attenzione viene posta anche sulle vite private estremamente diverse dei due protagonisti: da un lato abbiamo un Hunt che ama sfruttare la sua bellezza da dongiovanni per conquistare il cuore delle donne e che si abbandona spesso al fumo e all’alcool; dall’altro lato abbiamo un Lauda che è, invece, schivo, riflessivo, per niente amante della socialità e mondanità.

Un dualismo che si traduce, poi, anche sulla pista: all’Hunt aggressivo che provava a infilarsi in ogni spazio e desiderava correre anche in condizioni difficilissime, si contrappone un Lauda più “calcolatore”, scrupoloso, attento a ogni dettaglio, uno che pensava sempre alle conseguenze delle sue azioni prima di compierle e non aveva peli sulla lingua, anche a costo di sembrare antipatico agli altri. Gli opposti si attraggono e infatti tra i due piloti nacque una bellissima e sincera amicizia, come sottolineato soprattutto nelle battute finali del film, probabilmente la parte più bella e commovente.

Realtà e finzione si fondono in un tutt’uno, fino a diventare quasi indistinguibili. Per non parlare dei tanti piccoli indizi che Ron Howard ha disseminato nel corso del film per soddisfare l’entusiasmo degli appassionati più incalliti. Giusto un paio di esempi: l’inquadratura che si sofferma sul nome di Tom Pryce, pilota morto nel 1977 all’età di 27 anni nel corso del Gran Premio del Sud Africa, vittima di un incidente tanto orribile quanto sfortunato. O la dura critica di Lauda nei confronti del suo Team, la Ferrari, per averlo rimpiazzato con un altro pilota (Carlos Reutemann) subito dopo il terribile incidente che lo ha portato a un passo dalla morte nel Gran Premio di Germania del 1976, del quale lo stesso Lauda porta i segni ancora oggi.

Come evidenziato da molti, Rush fa emergere anche il ricordo di un’epoca, quella degli anni ’70 e ’80, che ha visto probabilmente i più grandi duelli di sempre nella storia della Formula 1. Non solo Lauda contro Hunt, ma anche Gilles Villeneuve contro Arnoux, Senna contro Prost. Ma anche in tempi più recenti, la Formula 1 ha saputo regalare delle sfide memorabili, come quelle tra Michael Schumacher e Mika Hakkinen. Stiamo parlando di grandissimi Campioni del passato, Uomini (volutamente con la “U” maiuscola) ancora prima che piloti. Persone che hanno sfidato la morte pur di seguire una passione personale molto forte. Piloti che si prendevano a sportellate, senza guardare in faccia a nessuno, pur di raggiungere il gradino più alto del podio.

Oggi, purtroppo, non ci resta granchè di questo spirito sportivo… Gli attuali piloti di Formula 1 corrono con tanta elettronica a bordo (cosa che, invece, mancava nelle auto dei Campioni del passato) e seguendo sempre la traiettoria ideale, quasi come se fossero su un binario. Basta uscire un po’ fuori da questa traiettoria e si rovina tutto. Gli azzardi sono pochi: paradossalmente, i piloti erano più spericolati 20 o 30 anni fa, quando le auto di Formula 1 erano pericolosissime e gli incidenti mortali erano tristemente numerosi, che non adesso. Soprattutto dopo la morte di Senna a Imola è iniziato un processo di rafforzamento delle misure di sicurezza che ha portato le auto di Formula 1 attuali a essere dei veri bunker ultra-sicuri. Ma questo pare non aver incoraggiato al massimo lo spirito agonistico della maggior parte dei piloti che corrono adesso.

Ecco, quindi, che Rush assume un nuovo significato, ovvero quello di aiutarci a ricordare le sfide del passato non tanto in chiave nostalgica, quanto per offrire un paragone genuino tra quelli che vengono considerati Campioni oggi e quelli che lo erano in passato. Una bellissima lezione di stile, valori sinceri (come il coraggio e l’amicizia) e umiltà che ci viene regalata da uno che, fino a non molto tempo fa, a stento sapeva cosa fosse la Formula 1. Non sorprende, quindi, che inizino già a circolare voci su un futuro film dedicato alla rivalità tra Senna e Prost. Di sicuro sarebbe un altro grandissimo successo!

 

1) Per correre una maratona di 5 km non ci vogliono muscoli e allenamento.
2) È obbligatorio sporcarsi, colorarsi, divertirsi senza pensare a cause e conseguenze.
3) Lo scopo non è vincere, ma partecipare.
Sembrerebbero le regole alla rovescia di un mondo incantato dove tutto è possibile e, invece, si tratta delle semplici e reali basi da cui parte l’esperienza The Color Run.

the color run

The Color Run è una corsa di 5 km alla quale si può aderire da soli o in gruppo, l’importante è cominciare la corsa vestiti di bianco, per concluderla tra un turbinio di polvere di colori. Non ci sono limiti di età per iscriversi e tutti possono partecipare perché le parole chiave sono benessere, felicità, individui e restituire. Si corre solo per sentirsi bene e vivere un momento felice, non per agonismo, per vincere premi, o per dare prova di prestanza fisica. L’individuo è al centro perché i Color Runners vengono da tutto il mondo per prendere parte a quella che è stata definita anche “la corsa dell’amore”: il rispetto e la gentilezza verso gli altri sono la condicio sine qua non per correre insieme agli altri. Infine, si può restituire un po’ della felicità incamerata attraverso la 5 km più allegra del pianeta, decidendo di donare qualcosa alle onlus che si allacciano all’evento.

Nonostante l’aspetto “charity”, però, per diventare Color Runner è necessario iscriversi e pagare, e The Color Run LLC è un’azienda a scopo di lucro. L’ideatore del progetto è stato Travis Snyder, organizzatore d’eventi dello Utah che pianificò la prima gara podistica da correre solo per divertimento, in Arizona a Phoenix. Era il 2010 e i partecipanti furono 6000. Da quel momento l’idea prese piede e si diffuse in Nord America, Sud America, Asia, Australia e Europa, arrivando a totalizzare 600.000 partecipanti per 50 eventi nel 2012.

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gpmonzaSport ed economia: due mondi solo all’apparenza lontanissimi e che nascondono, in realtà, legami molto forti, soprattutto in termini turistici. Non a caso, più che di economia, bisognerebbe parlare di sviluppo del territorio, perché ogni grande evento sportivo di rilevanza internazionale è in grado di generare una ricaduta economica sul territorio. L’esempio recente delle Olimpiadi di Londra del 2012 lo ha dimostrato in pieno: a fronte di costi organizzativi spesso ingenti, la comunità che ospita l’evento sportivo può contare su un indotto molto elevato grazie al turismo, a patto che i servizi erogati siano all’altezza della situazione e siano in grado di rendere piacevole l’esperienza vissuta dagli appassionati.

A proposito di grandi eventi internazionali, l’Italia ha ospitato, poco più di una settimana fa, il Gran Premio di Formula 1, che si svolge da tempo a Monza. Il tracciato brianzolo è uno dei circuiti storici più importanti e apprezzati da chi vive il mondo dei motori, sia per il suo esclusivo layout a basso carico aerodinamico, sia per i leggendari piloti del passato che hanno corso su questa pista. In poche parole, impossibile non rimanere affascinati dall’atmosfera elettrizzante che si respira durante il week-end di gara.

Come ogni grande evento sportivo internazionale, anche il Gran Premio d’Italia a Monza è un attrattore turistico in grado di generare un elevato indotto economico sull’intero territorio milanese e brianzolo. Secondo gli ultimi dati rilasciati dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza, l’edizione 2013 del Gran Premio d’Italia è riuscita a generare, nell’arco di una sola settimana, un indotto diretto di 31,5 milioni di euro, il 2,5% in più rispetto all’edizione dell’anno precedente. Merito delle attività legate alla ricettività alberghiera (compresi campeggi, ostelli e appartamenti), stimate in 10,4 milioni di euro, e le attività direttamente connesse allo shopping, con 10,2 milioni di euro. Senza dimenticare il settore della ristorazione, in grado di generare sul territorio lombardo l’equivalente di 8,4 milioni di euro, e quello della mobilità (autobus, taxi e treni), con una stima di 2,4 milioni di euro.

E se albergatori, ristoratori e commercianti brianzoli possono contare su un indotto turistico stimato in poco più di 16 milioni di euro, anche l’area milanese deve ringraziare il Gran Premio d’Italia e i suoi ospiti, con una stima di poco più di 9 milioni e mezzo di euro. C’è anche chi sceglie di combinare la passione per lo sport a una breve vacanza all’insegna del verde e del relax, come è avvenuto nei territori di Como e Lecco, che pure riescono a generare un indotto rispettivamente di 3,4 milioni e circa 1 milione di euro.

Tutti questi dati, uniti alla stima della Camera di Commercio secondo cui il brand “Gran Premio d’Italia” varrebbe la bellezza di 3,8 miliardi di euro, dimostrano che l’evento brianzolo è un catalizzatore turistico di tutto rispetto, in grado di far respirare abbastanza l’economia lombarda. Fin qui i numeri, ma nella realtà come viene vissuto il Gran Premio d’Italia? E soprattutto, come viene organizzato? Su quest’ultima domanda, la risposta non può essere pienamente positiva. E chi lo ha vissuto in prima persona, come il sottoscritto, lo sa bene…

Partiamo dai trasporti, che sono il cuore nevralgico dell’organizzazione, considerando che la stragrande maggioranza degli appassionati si muove con i treni e gli autobus. Come ogni anno, anche stavolta gli organizzatori hanno previsto delle navette che dalla stazione di Monza portano all’interno dell’autodromo. Ma con una brutta sorpresa per gli appassionati: mentre in passato le navette erano gratuite, quest’anno è stato introdotto un ticket di 4 euro andata e ritorno per ogni giorno di utilizzo.

È buona norma che, a fronte del pagamento di un servizio che è sempre stato gratuito, questo venga erogato nel migliore dei modi. Ma in Italia, spesso e volentieri, le cose non vanno così e Monza non è da meno: navette strapiene, con lunghe file da parte dei tifosi ai capolinea, e spesso imbottigliate nel traffico (il venerdì delle prove libere non era prevista neanche una corsia preferenziale). Arrivate nel parco dell’autodromo, le navette fermano in un parcheggio distante circa 20-30 minuti a piedi dall’area del villaggio, dalla quale è possibile raggiungere buona parte delle tribune. Una passeggiata piacevole, immersa nel verde, ma per chi ha fretta di seguire le competizioni in pista diventa davvero un inferno. Paradossalmente, basta prendere un comune autobus di linea per arrivare all’ingresso Vedano, dal quale è possibile raggiungere in appena una decina di minuti l’area centrale del villaggio, spendendo, per giunta, 3 euro andata e ritorno.

Anche sui treni bisogna fare qualche appunto: possibile non prevedere treni speciali dalla stazione di Biassono – Lesmo, limitrofa a uno degli ingressi principali dell’autodromo, il venerdì e il sabato, costringendo così i tifosi ad aspettare un treno ogni ora? Una leggerezza che inevitabilmente ha portato lamentele e discussioni, soprattutto da parte dei turisti provenienti dall’estero. Situazione migliorata la domenica, giorno in cui sono stati previsti treni speciali dalla stazione di Milano Centrale a quelle di Monza e Biassono – Lesmo. Ma anche in questo caso con una sorpresa: se fino all’anno scorso questi treni speciali erano gratuiti, quest’anno è stato previsto un biglietto di 4 euro per l’andata e il ritorno. Secondo alcuni, questa soluzione si è resa necessaria per evitare che qualcuno se ne approfittasse del treno gratuito per farsi una gita a Monza. Ma se davvero fosse stato questo il problema, bastava semplicemente controllare sul binario chi avesse i biglietti per vedere il Gran Premio, evitando così un’ulteriore spesa ai tifosi.

I controlli, altro grande problema… Approssimativi il giovedì, quando gli appassionati in possesso dell’abbonamento per tutto il week-end (fino all’anno scorso bastava il solo biglietto del venerdì) hanno potuto prendere parte all’esclusivo walk-about, ovvero la passeggiata nella corsia dei box, per ammirare da vicino le proprie vetture preferite e i meccanici all’opera, a patto di riuscire a superare la tagliola degli spintoni da parte dei tifosi più incivili (dobbiamo sempre farci riconoscere!). Un walk-about travagliato, dove è regnato il caos anche per una semplice sessione di autografi, gestita in modo scandaloso e senza un’organizzazione specifica a monte. Persino i commissari di pista si sono trovati in difficoltà nel dare indicazioni precise in merito.

Parlavamo di controlli e viene da chiedersi dove sono stati durante tutto il week-end se in tantissimi hanno montato le tende a due passi dalla pista pur essendo vietato il campeggio all’interno dell’autodromo. E che dire dei tanti bagarini che hanno affollato gli ingressi principali dell’autodromo e i tantissimi truffatori che hanno cercato di spillare soldi ai più sprovveduti con il classico gioco della pallina da trovare sotto uno dei tre bussolotti?

Impossibile non rimanere infastiditi da tutte queste evidenze. E, del resto, basta dare uno sguardo alla pagina Facebook dell’autodromo per scoprire le diverse lamentele e i messaggi stizziti lasciati da tanti appassionati (anche stranieri) che, giustamente, dopo aver speso cifre ragguardevoli per vedere il Gran Premio, si aspettavano un quadro generale decisamente migliore. L’insoddisfazione genera un pericoloso passaparola negativo che, a lungo termine, può danneggiare non solo l’immagine di Monza, ma anche l’attrattività turistica del nostro Paese, che già ha subito duri colpi nel corso degli ultimi anni.

Riprendendo uno di questi commenti, i monzesi hanno tra le mani un patrimonio straordinario, ma ce la stanno mettendo tutta per perderlo. Si, perché se i progetti per fare un Gran Premio a Roma (su un tracciato cittadino) sono ormai tramontati da tempo, esiste sempre il “rischio” di spostare tutto a Imola, altro storico tracciato legato purtroppo a un evento nefasto (la morte di Senna), ma amato fortemente da piloti ed appassionati. La provocazione, a questo punto, è d’obbligo: perché non dare una chance a Imola e spingere Monza a una doverosa pausa di riflessione? Sarebbe un modo per valorizzare fortemente il territorio romagnolo, non solo dal punto di vista turistico e culturale, ma anche economico. E, cosa più importante, ne guadagnerebbe l’Italia intera di fronte a turisti ed appassionati: almeno non saremo costretti a vedere sventolare vergognose bandiere con il “Sole delle Alpi” in mondovisione sotto al podio.

 

alleycat-racingAvete mai sentito parlare di “Alleycat Race”? Vi è mai capitato di parteciparvi?

La traduzione letterale è “corsa di gatti randagi”, ma non ha nulla a che vedere con i felini. Si tratta bensì di una gara in bicicletta di cui i partecipanti conoscono solo il punto di partenza. Tutto il resto, tragitto incluso, viene scoperto, è il caso di dirlo, strada facendo o al massimo pochi minuti prima del via.

Il percorso è solitamente scandito da checkpoint intermedi, tappe che possono richiedere il superamento di alcune prove, per lo più legate al tema prescelto per la corsa: solo così si potrà conoscere il checkpoint successivo da raggiungere, fino all’arrivo. Alcune tipologie di alleycat race prevedono invece l’assegnazione di un punteggio per ogni tappa conquistata, conferendo la vittoria a coloro che raggiungono il traguardo con il maggior numero di punti.

Questa particolare competizione nasce nell’ambiente dei “bycicle messengers”, ovvero fattorini e postini che effettuano le consegne su due ruote, e mira appunto a far conoscere l’attività di questi particolari professionisti.

La principale abilità richiesta è l’orientamento: la alleycat race mette infatti alla prova i partecipanti fornendo solo alcuni indizi riguardo i checkpoint da raggiungere prima di arrivare al misterioso traguardo. Tipica di queste manifestazioni è l’atmosfera goliardica, dimostrata anche dai premi per gli ultimi arrivati (appellati “Dead Fucking Last”) e per chi non conosce la città in cui la competizione si svolge.

La prima alleycat race è stata organizzata il 30 ottobre 1989 a Toronto per poi diffondersi in diverse città del Nord America, dell’Europa e dell’Asia.

In alcuni paesi, le alleycat race sono tuttavia ritenute illegali se prive di un’opportuna autorizzazione: il fatto che le competizioni si svolgano in città, conferisce un certo grado di pericolosità alla manifestazione sportiva. Nel 2008 si è infatti registrato il decesso di un partecipante all’alleycat race organizzata a Chicago.

Il fenomeno è di certo coinvolgente, tanto che il videomaker Lucas Brunelle lo ha documentato nel suo lungometraggio “Line of Sight”, girato grazie ad una telecamera montata sul suo casco, che ha indossato durante i diversi alley race cui ha partecipato.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=RGlZrK9WYpo?list=UUac47R7xtH76eRZQBJbZscQ]

 

Anche in Italia non mancano gli appuntamenti per chi desidera cimentarsi in queste particolari corse di biciclette.

La prossima è a Trieste il 17 settembre. Ad organizzare questa competizione, dal titolo scherzoso “Alley Fish Race” sono i Raw ciclocorrieri con Etnoblog, in occasione della settimana europea della mobilità sostenibile.

Le alleycat race possono infatti essere un’ottima occasione per scoprire gli spazi cittadini e tornare ad utilizzare le più sostenibili due ruote a pedali.

driftDrift – Cavalca l’onda (2013)

Regia: Ben Nott,Morgan O’Neill | Cast: Miles Pollard; Xavier Samuel; Sam Worthington; Ann Brandt; Robyn Malcolm | Sceneggiatura: Morgan O’Neill | Fotografia: Geoffrey Hall | Montaggio: Marcus D’Arcy

Due fratelli accomunati dalla passione per il surf nell’Australia dei primi anni ’70, in piena rivoluzione culturale, ne faranno, oltre che uno stile di vita, un buisness. Non mancheranno però difficoltà e momenti bui.

Drift – Cavalca L’onda, dovendo gioco-forza essere etichettato come film “sul surf”, potrebbe aver necessità di essere fortemente contestualizzato. Invece non ne ha bisogno e può essere fruito anche da noi che di surf non ne abbiamo mai masticato, essendo tra l’altro privo di tecnicismi. Surf come stile di vita, passione, gioia e dolore, sempre al centro dell’attenzione, ma i registi Morgan O’Neill e Ben Nott non perdono occasione per raccontare anche una società in trasformazione, le convenzioni di una parte di essa ormai vecchia e stantia, la crescita e la maturazione di due fratelli, ciascuno fortemente caratterizzato. Qua e là s’inceppa, soprattutto nella parte finale, dove accelera per giustificare, avanzando poi veloce verso l’epilogo. Ma, pur con qualche banalità, forse più nei personaggi che nelle situazioni, resta, nella sua semplicità, una godibile pellicola, con un’anima forte in uno scenario visivo delizioso.

Voto: ** ½ (su un massimo di 5 *)

 

 

 

 

point-break---punto-di-rottura-2009-4612Point Break – Punto di rottura (1991)

Regia: Kathryn Bigelow | Cast: Patrick Swayze; Keanu Reeves; Gary Busey; Lori Petty; John C.McGinley; James LeGros | Sceneggiatura: W. Peter Illiff | Fotografia: Donald Peterman | Montaggio: Howard E.Smith

Il neo-agente dell’FBI Johnny Utah (Keanu Reeves) si infiltra in una banda di surfisti sospettati di essere rapinatori seriali di banche, roba da 90 secondi a rapina, prendi il malloppo e scappa. Mai nessun morto, mai nessuno li ha beccati.

La Bigelow ha qui creato una sorta di cult con scene e sequenze che resteranno indelebili nella storia del cinema, come le rapine condotte con delle maschere di ex-presidenti degli Stati Uniti (ripresi da Aldo, Giovanni e Giacomo in Tre Uomini e una Gamba). In Point Break c’è molta azione e il surf si fa sfondo dell’intera vicenda, non tanto perché è l’hobby preferito dai rapinatori, ma perché è metafora della loro libertà, arma per non cedere al Sistema, mezzo per viaggiare liberi tra le onde e non sulle autostrade. Il furto di banche è dunque “giustificato” per condurre al meglio tale passione, incarnata a puntino da Bodhi (Patrick Swayze), il “capo” dei surfisti, e a questa logica sembra poi aggrapparsi anche l’agente Utah, ovvero il governo, ovvero gli Stati Uniti d’America. Difficile scandire il bene dal male, o meglio verificarne il confine. Bellissima la sequenza dell’inseguimento tra Utah e Bodhi.

Voto: *** (su un massimo di 5 *)

 

 

 

Il punto d’incontro: Il surf. O meglio, il surf come ragione e stile di vita. Ma nel film australiano la passione per la tavola ruota sempre intorno a se stessa ed è legata si a logiche di mercato, ma giustificata dall’amore per l’oggetto, comunque primario. Il desiderio di crescere, anche monetariamente, passa di continuo per quella passione. Il film della Bigelow, ben più dinamico, oltre ad essere un pretesto per un discorso più grande e fungere da mezzo per arrivare a provocare il Sistema americano, capovolge l’assunto, ammettendo anche il furto nei protagonisti della vicenda, che poi sarà utile per esercitare la loro voglia di libertà.

 

 

 

 

 

 

icsDire ICS, in riferimento allo sport, fa pensare al pareggio qualsiasi appassionato di calcio.
Eppure non parleremo qui di pareggio (anzi, forse di una sconfitta) bensì di un acronimo, quello dell‘Istituto del Credito Sportivo, ultima banca pubblica italiana la cui funzione principale, come intuibile dal nome, è quella di erogare finanziamenti al settore sportivo, sostenendo interventi mirati alla costruzione, ampliamento, acquisto di strutture e attrezzature sportive o iniziative di promozione legate allo sport.
La Legge Finanziaria del 2004 ha disciplinato l’ampliamento della sua sfera di competenza anche ai Beni e alle Attività Culturali anche se, c’è da dirlo, le azioni intraprese in questo campo sono state finora limitate alla sponsorizzazione del Padiglione Italiano Expo Universale di Shanghai e a quella di DNA ITALIA, Salone delle Tecniche e Tecnologie per la Cultura.
Ma non è questa di certo la critica che recentemente è stata rivolta verso l’Istituto: il motivo per cui l’ICS è balzato agli onori (?) della cronaca è l’indagine della Corte dei Conti sulle anomalie riscontrate in fatto di ripartizioni degli utili.
Facciamo un passo indietro: l’istituto del Credito Sportivo è ad oggi finanziato sia da soggetti privati (soprattutto altre banche) sia (prevalentemente) dallo Stato attraverso i ricavi dei Concorsi Pronostici (le “nostre” scommesse).

Nel 2004, in occasione della modifica dello Statuto operato da Mibac e Mef, si è cercato di soddisfare la richiesta di maggior rappresentanza per gli enti locali ed è stato inoltre variato il sistema di ripartizione degli utili.
Il risultato di questa modifica è che lo Stato, a fronte di conferimenti di quasi 60 milioni di euro nel periodo 2005-2010, ha avuto indietro solo 2 milioni e 800 euro, mentre le altre banche si sono spartite più di 80 milioni di euro nonostante avessero versato decisamente meno del Pubblico.

Una anomalia che ha tutta l’aria di non essere una svista e notata solo a causa del commissariamento (partito nel 2011) da parte della Banca d’Italia, dalla quale sono partite una serie di segnalazioni a livello ministeriale.

A questa andrebbero poi accostate altre “stranezze” che vedono protagonista l’Istituto: come i prestiti e gli interessi a tassi particolarmente competitivi a comparti, come quello calcistico ad esempio, che di certo non sono tra coloro che necessitano di maggiori tutele assistenziali.
In tutto ciò, il fatto che per definire la situazione si faccia ricorso a termini quali “svista”, “anomalia” o a locuzioni come “si sono accorti” risulta quanto meno inquietante.

Mettere il sale nel caffè al posto dello zucchero è una svista, trovare quel caffè comunque di proprio gusto è una anomalia. Sorseggiarlo tranquillamente mentre magari si dirottano 80 milioni di euro, però, è sicuramente anti-sportivo.

Per approfondire:
http://www.mondoeconomia.com/la-corte-dei-conti-indaga-sull-ics
http://www.repubblica.it/economia/2013/07/02/news/indagine_della_corte_dei_conti_sull_istituto_di_credito_sportivo-62227573/
http://www.gioconews.it/cronache/70-generale20/36966-che-fine-han-fatto-i-proventi-dal-gioco-indagine-della-corte-dei-conti-sull-istituto-di-credito-sportivo
http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Credito-Sportivo-governo-Monti-azzera-statuto-scontro-banche/22-04-2013/1-A_006063140.shtml

2013061940202La Confederations Cup è iniziata con la metà degli stadi pronti per il Mondiale 2014 e senza i grandi progetti infrastrutturali promessi dal governo. Tuttavia, la FIFA, che ha sempre sostenuto che il Brasile non aveva l’infrastruttura necessaria per ricevere un milione di turisti stranieri attesi per l’evento, adesso garantisce che i 12 mesi fino all’inizio del torneo saranno sufficienti per la conclusione dei preparativi. Nel bilancio delle opere pubblicate nel dicembre dello scorso anno però, il governo brasiliano ha riportato che nessuno dei 53 progetti di mobilità urbana sono ancora pronti; negli aeroporti, tra i 30 progetti legati al Mondiale, solo 8 sono stati conclusi.

Si stimava che il Mondiale esigesse R$25.5 miliardi (€8.65 miliardi), ma ormai le cifre sono molto più alte. In realtà, la stessa cosa è successa nell’occasione dei Giochi Panamericani a Rio de Janeiro. Inizialmente preventivato a R$1 miliardo (€340 milioni), si stima che l’evento abbia consumato invece R$4 miliardi (€1.35 miliardo). Nel caso del Mondiale, una parte dei fondi veniva dalle casse della Confederazione Brasiliana di Calcio (CBF), ma la spesa per le infrastrutture nelle città dove i giochi si svolgono, cioè, la costruzione di aeroporti, dei sistemi di telecomunicazione, i lavori stradali e la riqualificazione urbana, doveva essere a carico dello Stato, finanziato con denaro pubblico.

Solo il budget per i 12 stadi è attualmente pari a R$7 miliardi (€2.37 miliardi), tre volte il totale speso in Sud Africa per il Mondiale del 2010, e di cui la maggior parte proviene dalle casse pubbliche. Il governo Lula aveva promesso che il settore privato avrebbe finanziato la costruzione degli stadi e i fondi pubblici sarebbero utilizzati solo per progetti di infrastruttura urbana, però nella corsa per finire i lavori, grandi parti dei progetti sono stati ritardati o abbandonati. Le linee ferroviarie ai due principali aeroporti di San Paolo, per esempio, ora saranno finite solo dopo l’evento, mentre alcune delle nuove sedi, come quella di Brasília o Manaus, avranno poco o veramente nessun uso futuro. Le autorità ammettono che dovranno affrontare una grossa sfida dopo il 2014 per soddisfare i nuovi costi operazionali, ma il governo giustifica la spesa come in linea con il suo obiettivo di ridurre le disparità tra nord e sud, poveri e ricchi, anche se la maggior parte delle persone non possono permettersi il prezzo dei biglietti per questi eventi. Nel totale, il governo brasiliano ha speso R$31 miliardi (€10.5 miliardi) con la scusa di accelerare lo sviluppo sociale ed economico del paese e modernizzare l’immagine del Brasile dagli stereotipi di samba, carnevale e spiagge. Per il popolo, però, queste sono prove dell’onnipresenza della corruzione, un problema di vecchia data nel Paese.

Gli argomenti a favore della spesa pubblica per il Mondiale in Brasile? L’evento creerà nuovi posti di lavoro, aumenterà il flusso turistico, promuoverà la rivitalizzazione di aree urbane e rafforzerà gli investimenti nel paese, ma la realtà è che le stime dell’impatto dell’evento sono generalmente esagerate. Nel 1994, il PIL degli Stati Uniti è aumentato del 1,4%. Nel 1998, in Francia, il PIL è cresciuto del 1,3%. Nel 2002, il PIL in Corea del Sud è aumentato del 3,1%, ma in Giappone ha avuto diminuzione del 0,3%. Prima del Mondiale in Germania, si parlava della creazione di 100,000 nuovi posti di lavoro, ma uno studio fatto dopo l’evento ha registrato solo la metà. In Corea del Sud dei 500,000 turisti previsti per l’evento del 2002, solo il 50% è andato.

In Sud Africa, il Mondiale del 2010 è stato un’opportunità per rompere alcune distanze sociali che lì sono ancora molto forte e ci sono stati miglioramenti anche nei trasporti, a Johannesburg, per esempio. Ma i costi del Sud Africa per ospitare il Mondiale sono stati pari a €3 miliardi, gli stessi numeri annunciati come profitto dalla FIFA. In realtà, quello che abbiamo visto è stato un semplice trasferimento diretto di fondi pubblici del Sud Africa all’organizzazione. L’evento ha sicuramente aperto una nuova prospettiva per il paese, ma le cifre sono troppo alte e sarebbe giusto dire che il governo sud africano ha speso molto per un paese che ha ancora tanti altri bisogni più rilevanti. L’idea è che se si spendono €3 miliardi in un evento, dovrebbero avere almeno €6 miliardi di profitto sullo stesso.

In occasione della Confederations Cup, milioni di persone sono scese in piazza in diverse città brasiliane, sdegnate dal budget che il governo spenderà per l’organizzazione del Mondiale 2014, cifra giudicata eccessiva per un grande paese dove i servizi sociali sono estremamente carenti. I brasiliani ormai vedono la realizzazione del Mondiale come un’occasione perduta di un vero sviluppo: un grosso investimento federale che ormai è stato mal pensato e male utilizzato in progetti che prevedono il miglioramento dell’infrastruttura del paese solo a breve termine, e non per i suoi cittadini.

L’amore del Brasile per il calcio è stato a lungo accusato di distrarre la popolazione dai suoi problemi sociali. È ironico, quindi, che è stata la preparazione del paese per ospitare il Mondiale che ha mosso i brasiliani nelle ultime settimane. La gente in piazza chiede a gran voce la fine della corruzione e dello spreco di denaro pubblico, che sono entrambi purtroppo così abituali. Piani del governo sono stati riformulati, gli investimenti pubblici sono stati tagliati, ma gli impegni con la FIFA sono sempre rimasti gli stessi. Gli investimenti nelle città che ospiteranno le partite del Mondiale sono stati ritenuti prioritari rispetto ai bisogni del popolo: il denaro pubblico è stato versato prevalentemente in progetti sportivi, a danno della sanità, dell’istruzione e della sicurezza. La mancanza di investimenti per l’istruzione, per esempio, ha contribuito ad un aumento di persone senza occupazione e così anche alla mancanza di sicurezza nelle grandi città. In molti centri urbani le condizioni nelle scuole sono deplorevoli, gli insegnanti sono mal pagati e demoralizzati. Anche la situazione della sanità pubblica è preoccupante: chi deve contare sugli ospedali pubblici spesso finisce per aggravarsi a causa della mancanza di un trattamento professionale.

La proposta del governo per quanto riguarda il Mondiale in Brasile era di avere un evento in cui ci fosse totale trasparenza sulla spesa pubblica, ma si è verificato il contrario. Il budget iniziale di R$25.5 miliardi (€8.65 miliardi), è salito adesso a 31 miliardi di reais (€10.5 miliardi), quasi tre volte il costo del Mondiale in Germania nel 2006.

Nel frattempo, la FIFA ha annunciato che avrà un profitto di R$4 miliardi con il Mondiale, esentasse. Il suo profitto contrasta con la totale mancanza di un lascito per il popolo brasiliano. Il presidente Dilma Rouseff, dopo due settimane di manifestazioni di protesta in tutto il paese, che hanno messo addirittura in discussione il proseguimento della Confederations Cup, ha dichiarato nel suo discorso a reti unificate alla nazione, venerdì scorso, che “faremo un grande Mondiale, ne sono sicura. E vi assicuro che il denaro per la costruzione degli stadi non ha sottratto risorse all’istruzione o alla sanità”, senza spiegare però da dove vengano tutti i soldi spesi finora. Il popolo brasiliano, però, non è d’accordo. Un sondaggio diffuso negli ultimi giorni rivela che il 40% degli intervistati è “totalmente a favore” della realizzazione del Mondiale, il 27% “a favore” ed il 29% “contrario”.

Se solo la FIFA profitterà del Mondiale, il popolo brasiliano coglie l’occasione dei riflettori accesi sul paese per scendere in piazza e protestare, nel tentativo di invertire almeno la logica di un sistema che privilegia il denaro a discapito di questioni sociali urgenti e affinché il poter politico sia più vicino alla società e non agisca per esclusivo interesse di pochi individui.

 

pipalPer molti spostarsi in bicicletta è diventato irrinunciabile.
Sarà una moda, sarà una decisione in sintonia con il proprio spirito, sarà una necessità, fatto sta che è un’ottima abitudine, per se stessi e per l’ambiente.
Con l’obiettivo di incentivare questa tendenza, di migliorare la viabilità urbana e i rapporti umani gran parte del pianeta ha optato per un servizio di bike sharing rivolto a cittadini e visitatori, ossia la semplice possibilità di noleggiare una bicicletta.

Il servizio più efficiente di noleggio bike lo troviamo a Parigi. Si chiama Velib, acronimo di velo (bicicletta) e liberté (libertà). Attivo con successo dal 2007, mette a disposizione di cittadini e turisti ben 20.000 mezzi dislocati in stazioni distanti 300 metri le une dalle altre, che dal 2009 coprono anche l’area periferica della città.

In ritardo rispetto alle capitali europee, questo servizio arriva anche a New York. Il progetto, inaugurato lo scorso 27 maggio, è stato fortemente sostenuto dal sindaco della città, il Signor Bloomberg, che vede nella pedalata quotidiana il primo passo per contrastare il forte tasso di obesità americano, oltre che la possibilità di migliorare gli spostamenti all’interno della città, contribuendo all’economia.
Si tratta del più grande progetto di noleggio di due ruote degli USA attraverso il quale sono state messe a disposizione degli utenti ben 6.000 biciclette dislocate in 330 stazioni alimentate ad energia solare tra il quartiere di Manhattan e quello di Brooklyn. Se l’operazione avrà successo il numero delle biciclette verrà incrementato di 4.000 unità e di 270 postazioni.

Ci sono località in cui l’uso delle due ruote senza motore fa ormai parte della cultura cittadina: come ad Amsterdam anche a Copenaghen la bicicletta ha quasi completamente demolito l’uso dell’automobile. Questo mezzo è ormai parte integrante nel tessuto urbano. Proprio per questo motivo il designer svizzero Rafael Schmidtz ha pensato ad un progetto che vede la bicicletta come qualcosa che fa parte della trama architettonica della città: si tratta di rastrelliere che nascono direttamente dal suolo, in modo da eliminarne l’impatto urbano, o addirittura poste in verticale, sulle pareti degli edifici, perché tutti gli spazi possono e devono essere utilizzati. Questo progetto particolarmente visionario e affascinante prevede anche l’aumento del numero di mezzi a disposizione, e la sua realizzazione dovrebbe avvenire entro il 2015.

Ci sono poi città che ci stupiscono come nel caso di Bordeaux. Philippe Stark disegna per la città la nuova bici-monopattino, Pibal, che permette di pedalare, pattinare e passeggiare. La canna del telaio è posta a pochi centimetri da terra acquisendo la funzione di monopattino, utile ad esempio quando si è costretti a passare sui marciapiedi oppure quando si deve rallentare, magari perché ci si trova in mezzo alla folla, o per accompagnare qualcuno a piedi; può anche diventare un trasportino per carichi ingombranti e pesanti.

E sorprende ancora di più il lavoro del team newyorkese capeggiato da Ryan Rzepecki che ha cercato di eliminare ogni problema legato al servizio di noleggio, proponendo un nuovo modello di bicicletta intelligente: si chiama Sobi e può essere parcheggiata nelle rastrelliere già esistenti diminuendo cosi i costi di realizzazione e l’impatto urbano. Il meccanismo di blocco, un computer GPS, viene posizionato direttamente sulla bicicletta, nel portapacchi posteriore e attraverso un codice personale permette di sbloccarla. È inoltre dotata di piccoli pannelli solari che ne garantiscono il funzionamento anche dopo lunghi periodi di sosta.
Sobi, acronimo di Social Biking è l’evoluzione del bike sharing, purtroppo ancora alla ricerca di finanziamenti per concretizzarsi.

La strada giusta sembra comunque essere stata intrapresa, perciò tutti in sella!

Presto il teatro Elfo Puccini di Milano offrirà il suo palco per raccontare la storia di uno sportivo italiano indimenticabile: parliamo di Marco Pantani, che dopo grandi successi e lo scandalo del doping, ha trovato una morte prematura. A parlarci della pièce, tratta dal romanzo di Philippe Brunel, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, sono Marco Martinelli e Marcella Nonni, rispettivamente il direttore artistico e la direttrice organizzativa del Teatro delle Albe di Ravenna, nonché ideatori dello spettacolo “Pantani”.

 

Intervista a Marco Martinelli, direttore artistico del Teatro delle Albe di Ravenna

Dal 3 all’8 maggio 2013 al teatro Elfo Puccini di Milano andrà in scena lo spettacolo Pantani, dedicato a questa grande figura dello sport morta a soli 34 anni. Come mai la scelta di rappresentare una storia così particolare ed enigmatica?
Della vicenda di Pantani mi ha colpito il fatto che è al tempo stesso la storia di un individuo, di una persona che muore tragicamente, e di un grande atleta che diventa una vittima sacrificale. Nella sua morte siamo implicati tutti noi.
Sicuramente è un eroe tragico dello sport. Lui, prima di quel 5 giugno 1999 in cui fu incastrato con un dubbio esame che rivelò l’ematocrito alto, aveva riportato il ciclismo all’epica di Coppi e Bartali. Era imprevedibile. Inventava la corsa, senza calcoli da ragioniere. Era un artista: fin da piccolino la bicicletta era il suo violino. Sposava la cura maniacale dei dettagli tecnici all’estro. Avversari e cronisti non sapevano mai cosa poteva inventare.
La nostra scelta è quella di tenere aperti tanti interrogativi. Per restituire dignità a un grande campione che è stato trascinato nel fango. Dopo l’episodio di Madonna di Campiglio, Pantani vive cinque anni di agonia e deriva personale, un inferno privato che lo porta a morire nel 2004. La sua storia ha davvero molto del mito, è una leggenda che si fa raccontare perché, in maniera modernissima, ripercorre degli archetipi.

Tratto dal libro del giornalista francese Philippe Brunel, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani” (Rizzoli), lo spettacolo racconta del mito e della sua distruzione, dipingendo Pantani come una vittima mediatica la cui tragedia si consuma caduta dopo caduta…
Brunel nel suo libro sostiene che dietro la morte di Pantani a Rimini e attorno all’intera vicenda ci sono lati oscuri.
I dati che ho ricostruito nello spettacolo ci dicono di una lapidazione collettiva senza motivazioni. Pantani fu un capro espiatorio. L’esame del 5 giugno 1999 dopo pochi mesi, per esempio, fu dichiarato nullo, ma intanto aveva distrutto un campione. Ed è provato che Pantani era pulito.
Prima di quella data, il Coni era nell’occhio del ciclone, perché c’erano stati vari scandali e il loro presidente era stato costretto a dimettersi. Per riacquistare credibilità, hanno pensato di prendere di mira gli atleti. E’ una storia complessa. Io ho voluto intitolare così lo spettacolo, PANTANI, perché allude contemporaneamente a Marco Pantani e ai pantani della repubblica, ai fanghi e alle paludi in cui siamo sempre immersi, e da cui ci illudiamo di uscire con un rogo.
In scena, accanto alle figure di Tonina e Paolo Pantani, interpretati da Ermanna Montanari e Luigi Dadina, c’è anche una figura importante che è quella dell’Inquieto: un giornalista francese che si ispira alla figura di Philippe Brunel. Ma l’Inquieto è anche una mia controfigura, la controfigura di tutti quelli che non si accontentano delle chiacchiere da bar.

 

Intervista a Marcella Nonni, direttrice organizzativa di Ravenna Teatro

Il testo dello spettacolo è di Marco Martinelli, colui che assieme a lei, Ermanna Montanari e Luigi Dadina fondò nel 1983 il Teatro delle Albe, celebre istituzione culturale di Ravenna a cui il Teatro milanese Elfo Puccini dedica un focus particolare. Come è nata questa sinergia tra i due teatri?
Il Teatro delle Albe e il Teatro Elfo-Puccini dialogano da molti anni.
Sono entrambi due cooperative culturali indipendenti che creano da più di trent’anni un fecondo rapporto con le istituzioni delle proprie città Ravenna e Milano.
Hanno costruito due inediti stabili teatrali: Ravenna Teatro “Teatro Stabile di Innovazione” fondato nel 1991 dal Teatro delle Albe e dalla Compagnia Drammatico Vegetale, si è posto fin dall’inizio come “stabile corsaro”, portando avanti un’originale pratica di “coltura” teatrale fortemente legata alla “polis”, che intreccia le programmazioni del teatro contemporaneo al Teatro Rasi, cantiere del “nuovo”, e la Stagione di Prosa del Teatro Alighieri, “teatro di tradizione”.Alla gestione del Teatro Rasi e ai progetti di ospitalità, si unisce un’intensa attività produttiva che vede le due compagnie impegnate sul piano nazionale e internazionale.
Il Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile Privato, è nato nel 1973, ha segnato la storia del teatro italiano e oggi nella nuova sede al Puccini, rappresenta la realtà più viva e feconda della città di Milano.
La personale del Teatro delle Albe a maggio 2013 è frutto di un confronto tra queste due comunità che si alimentano e si vivificano nella relazione con la città e gli spettatori .

 

 

 

Lo spettacolo “Pantani” è al Teatro Elfo Puccini di Milano dal 3 all’8 maggio 2013.
Per gli iscritti a SAM, Strategic Arts Management master class, sarà riservato l’ingresso a tariffa agevolata.

Da molto tempo ci vantiamo di essere migliori degli altri. Il patrimonio culturale, l’opera lirica, la cucina e i vini, la bellezza delle donne, l’arguzia degli uomini, perfino il catenaccio nei campi di calcio, non c’è area dello scibile che non ci spinga a mostrare i muscoli pensando che l’Italia sia stata creata prima e meglio degli altri Paesi.
Nelle classifiche fatichiamo non poco a risultare credibili. Anche lasciando stare quelle più pesanti (la libertà di stampa, la parità di genere, l’apertura dei mercati, l’innovazione industriale) ci rimanevano i gioielli di famiglia: arte, cultura e turismo. E magnifici premi Nobel in una varietà di discipline. E adesso?
Scivoliamo ogni anno nella graduatoria delle destinazioni turistiche, e proprio qualche giorno fa abbiamo emesso il nostro consueto rantolo nella graduatoria internazionale del soft power. Quattordicesimi, abbiamo guadagnato due posizioni dall’anno scorso ma siamo comunque in un’area grigia che attesta la nostra incapacità istituzionale e culturale di gestire le opportunità di crescita e di benessere.
La questione non riguarda il posto in classifica in quanto tale, ma il significato di una valutazione svolta attraverso indicatori oggettivi che mostra quanto poco ci importi delle cose che troppo spesso usiamo per gonfiare il petto. Il soft power è fatto di cultura, spettacolo, sport, ricerca e turismo. Musei e monumenti sono tantissimi, ma gestiti in modo antiquato e passivo; i teatri non mancano certo, ma risultano comunque burocratizzati e molto poco capaci di innovare, ragionando più come bacheche del passato; lo sport produrrà anche medaglie olimpiche ma soffre di un’infrastruttura precaria e talvolta assente; non parliamo della ricerca, considerata anche dalla recente legislazione una specie di gadget per l’industria anzichè la costruzione di un sistema di valori e di azioni; quanto al turismo, rimane una mera somma aritmetica di luoghi ameni e volenterosi visitatori.
Eppure, le risorse e i talenti che descrivono con una presenza incisiva e ammirevole il nostro Paese sono disseminate per tutto il territorio. Manca la visione strategica del potere politico, tanto centrale quanto locale, che spesso usa la cultura e il turismo come un banale dato dimensionale; manca l’approccio progettuale e coraggioso da parte di molti addetti ai lavori, che continuano a fondare la propria professione e le proprie lamentele sulla garanzia – sempre più precaria – di sostegno finanziario pubblico.
Così, mentre l’Italia continua a languire in una classifica che registra dinamismi inediti, perde l’ennesima occasione di mettere a sistema un palinsesto di risorse e di stili che potrebbe generare un solido valore e facilitare la crescita di una comunità nazionale sempre più ibrida, fertile e creativa. La cultura non va difesa dal nemico ma messa in circolo con acutezza e velocità. E’ quello che abbiamo fatto in passato, quando non ci preoccupavamo di vantarci e ci dedicavamo alle relazioni, agli scambi e all’invenzione di un mondo che risultasse bello in quanto efficace e generoso di opportunità.

 

Per il secondo anno consecutivo, forse ancora più dello scorso anno, Napoli ed il Napoli invadono pacificamente Dimaro ed il resto del Trentino.
Quando ci si chiede cosa può fare il calcio, ma soprattutto la passione per la propria squadra del cuore, all’economia, ecco, questo è l’esempio perfetto: un super spot per il Trentino Alto Adige, realizzato spontaneamente  dalla SSC Napoli, partner già da due anni della società calcistica che sceglie Dimaro in Val di Sole per il ritiro estivo della prima squadra.

Arrivano a migliaia (cifre indicative parlano di tremila presenze), già dai giorni precedenti il ritiro, da Napoli, dal Sud, ma anche dal Nord, dal vicino Veneto, dal Piemonte, dalla Svizzera (ebbene sì, si sono viste anche bandiere rossocrociate) e dall’Austria per affollare le piccole stradine di Dimaro e della Val di Sole.

Sono tifosi azzurri, alcuni sono napoletani emigrati con le famiglie al nord alla ricerca del lavoro, sono curiosi, sono giornalisti al seguito della squadra (credetemi, sono tanti!). La Val di Sole è proprio ciò di cui hanno bisogno queste persone: terra del Trentino perfetta per ospitare questi turisti-tifosi-viaggiatori piena di verde, di parchi, fiumi e tantissime altre attrattive (oltre il relax naturalmente).
I calciatori del Napoli, soprattutto i nuovi acquisti, rimangono senza parole guardando gli spalti del piccolo campo di allenamento, sempre gremiti. Sembra di essere a Napoli.
E ciò che fa più piacere è che la temporanea convivenza di questi due popoli (napoletani e trentini) così diversi tra loro stia procedendo nel migliore dei modi. Perché i napoletani sanno essere allegri, coinvolgenti, solari e soprattutto educati.

Ed in Val di Sole apprezzano. Apprezzano la voglia di calcio che arriva da Napoli, apprezzano il ritorno turistico ed economico visto il sold out delle strutture ricettive ed apprezzano l’allegria che in questi giorni sta attraversando la Valle (tra l’altro gemellata con l’isola di Capri), compreso un mega-concerto (forse qui qualche mugugno c’è stato, per la musica ad alto volume) di Guido Lembo, cantastorie caprese, con annessa presentazione in pompa magna di nuovi acquisti e vecchie conoscenze della squadra.
Il Nord accoglie a braccia aperte il Sud; non dovrebbe essere una notizia, ma la normalità. L’entusiasmo è travolgente ed è sottolineato anche da bandiere del Napoli esposte fuori dai balconi di abitazioni locali.
Tra l’altro, per chi non è riuscito a raggiungere il Trentino, una importante novità arriva dal “Trentino Network”, una infrastruttura che permette connettività in tutto l’arco alpino attraverso fibra ottica, messo a disposizione della provincia di Trento per i grandi eventi, ma anche per il ritiro del Napoli. Grazie a questo sforzo, la SSC Napoli ha avviato una importante campagna comunicativa attraverso il web (iniziata con le app ufficiali per iPhone, Android e da pochi giorni per iPad) inaugurando il proprio profilo Twitter attraverso il quale aggiorna minuto dopo minuto i 16 milioni di tifosi in Italia e nel mondo con fotografie, video ed interviste attraverso l’hashtag #dimaro2012.

E’ così che gli addetti al lavoro, e soprattutto chi deve “fare” economia può “sfruttare” la passione per il calcio. Forse sarà un utopia, ma trasformare la trasferta della propria squadra del cuore (sia in ritiro che in campionato) in una buona occasione per trascorrere un week end in una delle città d’Italia,  è una opportunità che non si può perdere. Il turismo, anche quello sportivo, non va dimenticato e non va sottovalutato.

Oltre il calcio, c’è tantissima gente che si sposta dalla propria città per vedere i propri idoli della F1, del Moto GP, del Basket e così via. E, disponibilità, senso civico e cortesia (sia di chi accoglie ed ospita, sia di chi viene ospitato) rappresentano un biglietto da visita eccezionale.

Si respira già un’atmosfera elettrizzante nella metropoli britannica. La più importante manifestazione sportiva a livello mondiale, i Giochi Olimpici e Paraolimpici in programma rispettivamente a partire dal prossimo 27 luglio al 12 agosto e dal 29 agosto al 9 settembre, sta catalizzando l’attenzione di sportivi, media e pubblico.
Un’estate ricca di emozioni per la capitale del Regno Unito, iniziata la prima settimana di giugno con il Giubileo di Diamante della Regina, seguito dall’emozionante percorso della fiaccola olimpica che riporta finalmente i cinque cerchi olimpici in terra anglosassone.
Dopo ben sessantaquattro anni e per la terza volta – la prima e la seconda hanno avuto luogo rispettivamente nel 1908 e nel 1948 – Londra celebra la trentesima edizione dei Giochi Olimpici e la quattordicesima di quelli Paraolimpici.
Ad amplificare l’emozionante attesa per l’evento sportivo per eccellenza ha certamente contribuito l’arrivo della fiaccola olimpica il 18 maggio ed il suo viaggio per un periodo totale di settanta giorni per tutto il Regno Unito, che dà la possibilità ai sudditi di Sua Maestà e non solo di assistere al suo passaggio e di respirare così l’aria di festa.
Per ospitare degnamente la manifestazione, la città si è dotata di ben trentetre impianti, la maggior parte dei quali ubicati nel nuovissimo ‘Olympic Village’, realizzato nella parte orientale di Londra, in Zona 3. Questa zona, che si estende per circa 2 km quadrati nell’area di Stratford, comprende sette siti: lo Stadio Olimpico, dedicato alle competizioni di atletica leggera e nel quale si svolgeranno le cerimonie di apertura e di chiusura; il Centro Olimpico di Hockey; il Centro Acquatico destinato alle competizioni di nuoto; il London Velopark che ospiterà le gare ciclistiche; infine, le tre Arene Olimpioniche riservate a pallavolo e pallamano, scherma, pentathlon moderno e basket.
L’enorme villaggio olimpico ha una capienza di 17.320 posti letto suddivisi in 3.300 appartamenti – nei quali non mancano accesso internet, tv e persino giardino privato – ed ospiterà atleti provenienti da ogni parte del mondo. Il villaggio includerà poi una zona internazionale, dove gli atleti potranno vedere i loro amici e le loro famiglie.

La ‘River Zone’ lungo il Tamigi, invece, comprenderà: le Arene O2 e di Greenwich, riservate a badminton e ginnastica; il Centro Espositivo ExCeL per le gare di pugilato, sollevamento pesi, judo, taekwondo, lotta e tennis da tavolo; l’Arena di Greenwich Park per le competizioni equestri; infine, a Woolwich, la Royal Artillery Barracks sarà sede delle gare di tiro al volo.
Nella ‘Central Zone’ nel cuore di Londra, a sua volta, si celebreranno le finali di calcio presso lo stadio di Wembley, mentre le competizioni di tennis si terranno nei famosi campi di Wimbledon. Nel Lord’s Cricket Ground si svolgerà il tiro con l’arco, nel Regents Park il ciclismo su strada ed il beach volley nella Horse Guards Parade di Whitehall. Infine, Hyde Park ed Earls Court ospiteranno rispettivamente il triathlon e la pallavolo.
Ma non finisce qui, perchè fuori dal perimetro cittadino sono comprese anche altre quattro località di gara: Broxbourne, nell’Hertfordshire, per canoa e kayak slalom; Dorney Lake, vicino a Windsor, per canoa, canottaggio e kayak sprint; Weald Country Park, in Essex, per la mountain biking e l’Accademia di Wymouth e Portland National Sailing nel porto di Portland, a circa 200 km dal villaggio olimpico, per la vela.
Occorre anche ricordare che le partite di calcio sono in programma a Newcastle, Manchester, Cardiff, Belfast, Birmingham e Glasgow.

La capitale inglese non ha dunque badato a spese per preparare e realizzare questo imponente evento, anche perchè Londra si prepara a battere ogni record, diventando la prima città al mondo ad ospitare i giochi olimpici estivi per tre volte. I costi dell’evento e della riqualificazione urbana che esso ha comportato, sono stati nell’ordine dei 2 milioni di sterline e sono stati sostenuti grazie all’intervento ed alla compartecipazione di diversi partner e investitori pubblici e privati, tra i quali Coca Cola, Acer, Mc Donald’s e Samsung. Da tempo la città ha intrapreso un programma di riqualificazione delle aree degradate, in particolare dell’East End, proprio dove è stato realizzato l’Olympic Village. L’area dove sorge ora il villaggio olimpico, Stratford, situata a nord dei Docklands, è stata, infatti, interamente ricostruita e riqualificata secondo il progetto ‘Thames Gateway’, carta vincente per l’assegnazione a Londra di queste Olimpiadi 2012.

Al termine dei Giochi la città trasformerà il Villaggio e tutte le sue strutture in un enorme nucleo scolastico, che servirà la zona orientale della capitale e dall’enorme complesso verranno anche ricavati circa 4.000 appartamenti che saranno messi in vendita. Il nuovo quartiere prenderà il nome di Strand East e il simbolo della rigenerzione di quest’area sarà rappresentato dalla torre di 40 metri realizzata da Wood Beton – progettata dallo studio di architettura ARC-ML e dagli ingegneri di eHRW coordinati dall’ingegnere Giovanni Spatti – attorno alla Sugar House Lane, una periferia che da molto tempo versava in stato di degrado ed ora finalmente trasformata, e denominata Strand East Tower. Questa vera e propria scultura ha una forma iperboloide slanciata ed è formata da un reticolo di travetti di legno intrecciati e 16 anelli orizzontali in acciaio zincato, che le danno un aspetto trasparente e che di notte sarà illuminata da oltre 600 luci a LED dai colori iridati.

Sono stati venduti oltre otto milioni di biglietti per le gare Olimpiche, ai quali vanno sommati un milione e mezzo per quelle Paraolimpiche, e i biglietti, che erano già stati messi in vendita lo scorso anno, sono andati esauriti nel giro di poche settimane. Tutte le gare saranno comunque trasmesse in diretta dal canale nazionale BBC e da Channel 4, quest’ultimo emittente ha infatti ottenuto l’esclusiva per la copertura dei giochi Paraolimpici.

Ci si aspetta una straordinaria partecipazione di pubblico e di curiosi in città – sono previsti oltre 180.000 spettatori ai Giochi – e proprio per far fronte al problema dei trasporti il governo ha stanziato un piano di ammodernamento delle numerose infrastrutture cittadine in vista dell’afflusso record di visitatori per le Olimpiadi, cercando di assicurare, mediante le 10 linee su ferrovia, il trasporto di 240.000 passeggeri per ora. Ad esempio, le linee della metropolitana Northen e Jubilee sono state oggetto di manutenzioni straordinarie, mentre l’Overground e la linea DLR, che fanno parte della linea della metropolitana leggera, sono state estese fino a servire la zona olimpica ad est di Londra, con chiari benefici anche per i comuni cittadini, i quali posso così usufruire di nuovi servizi anche dopo la fine della manifestazione sportiva.

Hanno fatto alquanto discutere i sistemi di sicurezza approntati duranti i giochi, con tanto di 13.500 militari dispiegati, missili collocati sopra i palazzi e nave della marina militare nella riva del Tamigi, giusto per rendere tutti più sicuri..almeno secondo quanto affermato dalle autorità.
Non ci resta quindi che fare il conto alla rovescia con il grande orologio digitale che dal marzo dello scorso anno è stato posizionato in Trafalgar Square, e che lo spettacolo abbia inizio!

 

Parlare di campi, di terra, di grano nel 2012 non è affatto strano. Anzi, è una vera rivoluzione culturale. Una contro-rivoluzione.

Sentire il calore (non intendo quello metereologico) che dà la terra sotto i piedi in questi anni in cui le città sono sempre più invivibili, a causa di mille motivi, dallo smog, al traffico, al sovraffolamento è una sensazione che tutti dovrebbero provare per poi decidere liberamente di lasciare le case di città per trasferirsi in campagna.

Tra i paesi di campagna che meglio riescono a mantenere il proprio essere rurale, con quel tocco di “mondanità casalinga”, c’è proprio Caselle in Pittari, in provincia di Salerno, nel cuore del Cilento. In mezzo tra Sapri, Palinuro e Sanza ed arroccato su una collina del Parco Nazionale del Cilento, sta ospitando con l’occasione del Palio del Grano (che si tiene il 22 Luglio), il #campdigrano, ossia la settimana di alfabetizzazione rurale e innovazione sociale.

Il Palio del Grano è un progetto nato e realizzato per la prima volta nel 2005 dalla ProLoco di Caselle in Pittari in collaborazione con l’Associazione Terra Madre sul valore della cultura contadina e della memoria, riproponendo delle prassi della vita rurale nell’ambito di una gara nella mietitura del grano.

A questa gara sono iscritte otto squadre in rappresentanza di otto rioni di Caselle in Pittari (Chiazza, Madonna ra Grazia, Forgia-Mardedda, Castieddu, Scaranu, Taverna, Urmu, Pantanedda) “che si muovono” in una sorta di “staffetta” all’interno del campo di grano diviso in “corsie” (una per ogni squadra). Dalla sesta edizione (ossia dal 2010) sono partiti i gemellaggi di ogni rione del paese con altrettanti paesi cilentani (San Giovanni a Piro, Morigerati-Sicilì, Ottati, Sanza, Rofrano, Casaletto Spartano, Laurino, Castel Ruggero), per poter meglio raccordare il Cilento in un evento che nella comune radice socio-culturale, aggrega e promuove il territorio cilentano.

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Il #campdigrano è un percorso di avvicinamento al Palio del Grano, nel quale la fanno da padrone la vita rurale, la mietitura ed i processi di lavorazione del grano con i metodi tradizionali cilentani e la panificazione naturale con lievito madre. Oltre a tutto ciò, non trascurabile è il ritorno (almeno per una settimana) alla vita di campo, lontano dal frastuono cittadino e circondati di aria pulita. Per far sì che l’esperienza sia completa e coinvolga, oltre le mani, anche la mente, la collaborazione stretta con l’Accademia di Societing diretta da Alex Giordano (cofondatore anche di Ninja Marketing) permette l’organizzazione di workshop e seminari su Social Innovation, su Social Marketing Territoriale e sullo Sviluppo sostenibile della Ruralità. Una formazione che va dal grano alla comunicazione, grazie anche alla presenza di Giacomo Bracci ed Alessio Carciofi, oltre che di Alex Giordano.

La “non convenzionalità” ormai fa parte del nostro vivere comune, ed in quest’ottica, #campdigrano è perfettamente “non convenzionale”. Nel senso agricolo e rurale, vivendo a 360° la filiera del grano, ma anche comunicativo, attraverso il marketing territoriale, innovativo e sostenibile.

E l’idea di mixare questi due aspetti, tanto lontani all’apparenza, quanto vicini nell’idea di “2.0 sostenibile” che appassiona sempre più persone, è intelligente e sensata.

Il #campdigrano è una forma nuova di coinvolgimento rurale con chi è sempre “connesso”, due tipi di connessioni diverse, ma che guardano entrambe al futuro (strizzando l’occhio al passato).

 

Per chi vuole saperne di più.

Qui il blog del #campdigrano

Qui arrivano i tweet di #campdigrano

 

 

Finiti gli Europei di Calcio 2012, molti saranno rimasti con l’amaro in bocca per la clamorosa sconfitta subita dall’Italia. Tafter però pensa europeo e vi propone una formazione della squadra “Europa” composta da 11 giocatori: questa la formazione…ma manca un CT. Voi, chi proporreste?

Peter Stein: berlinese di nascita è uno dei registi teatrali più importanti della seconda metà del novecento. Dopo aver fondato nel 1970 il collettivo teatrale della Schaubühne di Berlino ed aver ricevuto numerosi riconoscimenti per le sue opere teatrali creative e inconsuete ( tra queste l’onorificenza francese di Commandeur de l’Ordre des Arts et Lettres et Chevalier de la Légion D’Honneu) si è trasferito in Italia dove vive attualmente. La messa in scena delle sue opere si presenta spesso inconsueta, tuttavia i soggetti da lui prediletti sono quelli del teatro classico. Un artista riflessivo e con grande passione per lo studio dei suoi processori: le doti perfette per un portiere. Studiando approfonditamente gli avversari sarà in grado infatti di prevederne mosse e intenzioni.

 

 

Eric Toussaint: docente universitario belga, Toussaint è presidente del Comitato per la cancellazione del debito pubblico per i paesi del Terzo Mondo e tra i firmatari dell’appello internazionale volto alla bocciatura della direttiva sui rimpatri. Membro della Commissione di Audit integrale del credito pubblico dell’Ecuador (CAIC) le cui conclusioni hanno portato alla sospensione del pagamento di una parte del debito ecuadoriano, per noi gioca in difesa (dei diritti dei paesi meno sviluppati, ovviamente)

 

 

Tomas Tranströmer: premio nobel per la letteratura nel 2011, il veterano della poesia, lo svedese Tranströmer, ” attraverso le sue immagini condensate e traslucide, ci ha dato nuovo accesso alla realtà”, secondo quanto recita la motivazione che gli ha consentito di ricevere la carica. Nato nel 1931, grazie alla sua pluriennale esperienza, possiede le doti del difensore perfetto, nella cultura e nelle tradizioni.

 

 

 

Herta Muller:  “Con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa ha rappresentato il mondo dei diseredati” con questa motivazione la Muller ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 2009. Tedesca di origini romene, Herta Muller ha narrato la dura vita dei rumeni sotto il regime di Ceausescu, regime da cui lei stessa è fuggita, dopo essersi rifiutata di collaborare con la polizia segreta. Per l’Europa gioca anch’essa in difesa, come stopper che fa arretrare il centravanti avversario.

 

 

Zygmunt Bauman: ha sostenuto che “La nostra vita è un’opera d’arte”. Questo filosofo e sociologo polacco, che si è affermato nel panorama culturale internazionale per i suoi studi sulla stratificazione sociale, ha concentrato recentemente la sua ricerca sul passaggio dal periodo moderno al post-moderno indagandone ogni questione etica correalta. Osservazione e ricerca fanno di lui un perfetto difensore libero.

 

 

 

Thorvaldur Gylfason: membro della Commissione Costituzionale islandese che nel giugno 2011 ha dato il via al primo esperimento di Costituzione partecipativa 2.0. Gylfason, infatti, è stato tra i promotori dell’iniziativa che ha visto 320 mila cittadini islandesi prendere parte attivamente alla revisione della Carta. Per l’Europa gioca in centrocampo, posizione mediale e diplomatica che permette il dialogo tra le parti e la protezione della fascia necessaria per costruire le azioni di gioco strategico.

 

 

 

 

Bernard Henri Lévy: filosofo, scrittore, regista e tanto altro, questa irriverente figura del panorama culturale francese è da trent’anni sulla cresta dell’onda: ogni suo libro, ogni sua nuova iniziativa, scuote l’opinione pubblica, nel bene o nel male, ma pur sempre capace di stimolare il dibattito. Per la sua instancabile attività culturale, merita una convocazione come esterno destro.

 

 

Cristina Ortega Nuere: è direttrice dell’Institute of Leisure Studies of the University a Deusto e presidente dell’ENCATC (European Network of Cultural Administration Training Centers). Ha condotto oltre trenta ricerca in ambito artistico e creativo che le hanno consentito di formulare importanti politiche culturali europee. Grazie al suo impegno per favorire lo sviluppo del settore, non poteva che ricoprire il ruolo di centrocampista, prezioso nel fornire assist vincenti.

 

 

Claudia Ferrazzi: vice amministratore generale del Museo del Louvre, ha 34 anni ed è originaria di Bergamo. Dopo aver frequentato l’École nationale d’administration, ricopre la terza poltrona più importante del museo parigino,  quella di administrateur général ad joint. Si tratta non solo di una delle più giovani a rivestire questo ruolo, ma rappresenta anche uno dei tanti cervelli italiani in fuga dal proprio paese che sono riusciti a trovare una posizione di tutto rispetto e ben retribuita all’estero. Il suo coraggio nello sfidare e affrontare a testa alta la vita rientra nelle qualità necessarie per ricoprire il ruolo di attaccante destro della nostra nazionale.

 

 

Alvaro Siza: uno degli architetti più noti in tutto il mondo è il portoghese Álvaro Joaquim de Melo Siza Vieira. Dopo più di cinquant’anni di carriera e due premi ricevuti, Pritzker Prize nel 1992 e del Premio Wolf per le arti nel 2001, quest’anno gli è stato attribuito il Leone d’oro alla carriera della 13 Mostra Internazionale di Architettura. La sua creatività non solo gli ha consentito in tutti questi anni di realizzare e restaurare diversi edifici, servendosi di forme rigorose e geometriche, ma inoltre lo caratterizza come attaccante fondamentale per la nazionale, riuscendo a conciliare la fantasia con l’ordine e la precisione.

 

 

 

Bansky: lo street artist più famoso al mondo è il rappresentante del regno unito nella nostra formazione. Re dello stencil e della satira politica, sociale ed etica sui muri di tutto il mondo, di lui non si conosce il volto ma solo la sua provenienza (Bristol) e le sue opere sparse in tutto il mondo. Fantasista per antonomasia, è l’attaccante centrale, in grado di sfondare la porta ma anche di fornire degli assist preziosi…

 

 

Ora che via abbiamo dato la squadra chi, secondo voi, sarebbe in grado di allenarla?

 

 

 

Per molti è una passione irrinunciabile. Per altri ancora è considerata una vera e propria arte del gioco e della tattica. Lo sport più amato dagli italiani è da sempre il calcio e ad ogni occasione, che siano Europei o Mondiali, sono davvero in pochi a rinunciare alla partita della nazionale. C’è chi ha trasformato questa passione in opere d’arte, selezionando come soggetto il proprio calciatore preferito. Ne è nato un blog dove i diversi soccer artist condividono i propri lavori e si scambiano opinioni e consigli.

Abbiamo selezionato alcune immagini

 

Verrà fischiato tra poche ore il calcio d’inizio degli Europei di Calcio 2012 che si svolgeranno in Polonia e Ucraina da stasera e fino al 1° luglio, serata in cui si sfideranno le ultime due squadre giunte in finale.

Molte le alternative per chi non vuole perdersi nemmeno una partita, ovunque voi siate.

Ecco dunque proliferare siti e app pensate per l’occasione.

Gli Europei 2012 in streaming su:

1. Rai Sport

2. Live Tv

3. Adthe

 

 Applicazioni per smartphone e tablet:

1. Rai Euro 2012

2. Sky Go

 

Internet:

1. Il sito ufficiale dove seguire gli aggiornamenti sulle partite è questo

2. Gli amici del Post hanno inaugurato una Guida completa agli europei

3. Il Guardian segue, ovviamente in inglese, gli Europei con approfondimenti diccilmente imitabili

4. Sempre in inglese, orientato agli schemi, formazioni e commenti sui giocatori, segnaliamo anche Zonal Marking

 

Per assistere i connazionali che andranno in Ucraina per le partite di Euro 2012, l’ambasciata d’Italia a Kiev ha attivato una cellula per la gestione delle emergenze e per l’assistenza consolare operativa 24 ore su 24.

Il servizio e’ stato reso operativo con il supporto dell’Unita’ di crisi del ministero degli Affari esteri. In caso di necessità, è possibile chiamare lo 0038 0442303110.

 

L’evento, costato all’Ucraina 8 milioni di euro ha innescato onde di indignazione e rischi reali di boicottaggio con il caso Tymoshenko che ha sicuramente influito più del previsto ad intorpidire gli animi della festa così come lo spirito celebrativo che da anni accompagna la manifestazione internazionale.

Organizzazione lacunosa e tifosi intimoriti per l’improvvisa impennata dei prezzi degli hotel (che hanno quintuplicato le loro tariffe standard), l’Ucraina, almeno per quanto riguarda la visibilità e l’immagine a livello internazionale, ha decisamente perso la sua partita con la Polonia, vicina di casa molto più accogliente per gli ospiti degli Europei.

Eppure, i rappresentanti dell’ufficio stampa non si perdono d’animo. Nel reportage di Repubblica del 5 giugno una ragazza dichiara:

 

Vedrete, gli stadi saranno pieni. La gente si troverà bene. In fondo, la Cina rispetta più di noi i diritti umani? Eppure Pechino 2008 fu una grande Olimpiade.

 

Che abbia ragione lei?

 

 

 

 

Se ormai la fiamma olimpica è finalmente approdata in suolo britannico, i fortunati appassionati sportivi ma anche tutti coloro i quali avranno la possibilità di trascorrere qualche giorno d’estate a Londra, potranno visitare una mostra affascinante e davvero ricca d’interesse.

Inaugurato il 17 maggio e visitabile gratuitamente fino al 16 settembre, l’evento è ospitato dalla Wallace Collection, piccolo grande gioiello tra i musei della capitale inglese, situato nella centrale Manchester Square. Nata come collezione privata dei quattro marchesi di Hertford e donata alla nazione nel 1987 dalla vedova dell’ultimo erede, Sir Richard Wallace – anch’egli spiccato collezionista – il museo rinomato per le sue cospicue opere d’arte di periodo Barocco e non solo, ospita eccezionali capolavori dall’epoca rinascimentale all’ottocento tra i quali figurano dipinti di Canaletto, Rembrandt, Tiziano, Poussin, ma anche prestigiosi mobili Boulle e straordinarie porcellane di Sèvres.

La mostra curata da Tobias Capwell, grande esperto di armi e armature, è presentata in due ampi spazi delle gallerie temporanee. La luce soffusa rivela una ricca selezione di spade – per la maggior parte della stessa collezione del museo ma anche provenienti per la prima volta da prestigiose collezioni europee come quelle di Vienna e Dresda – ed antichi manuali dedicati all’arte della spada, che permettono al visitatore di scoprire un tratto affascinante e poco noto della storia dell’arte rinascimentale.

Attraverso questi splendidi oggetti, veri protagonisti della mostra, viene infatti raccontata l’importanza sociale ed artistica che rivestivano le spade nel XVI e XVII secolo ed in particolare lo stocco d’arme o spada da stocco: allo stesso tempo arma, accessorio di moda e di raffinata manifattura, e di cui il nostro paese aveva nella città di Milano uno dei centri più importanti di produzione in tutta Europa.

Nel XVI secolo, infatti, la spada è oggetto di estrema importanza per l’uomo rinascimentale, il quale non si separa mai da essa ed è sempre pronto ad usarla nella vita di tutti i giorni. Il duello, all’origine del moderno sport della scherma una delle nove originarie specialità delle Olimpiadi -, è a tutti gli effetti uno dei momenti che caratterizzano la vita di un nobile che con la sua spada dimostra il suo rango sociale, il suo potere e la sua attenzione per il costume e la moda del momento.

Così, spade di diverso materiale e foggia, provenienti tra gli altri dal Victoria and Albert Museum, dalle Royal Armouries e da alcune collezioni britanniche private, tra le quali si distingue per forma, qualità e bellezza quella per il futuro imperatore del Sacro Romano Impero, Massimiliano II (1527-1576) – conservata a Vienna e per la prima volta in mostra nel Regno Unito – e un raffinato costume da parata indossato dall’elettore Cristiano II di Sassonia (1583-1611), rappresentano esempi notevoli della produzione di manifatture esistenti nel XVI e la prima parte del XVII secolo in tutta Europa, mentre i manuali ed i trattati di combattimento, come il ‘Trattato d’Armi’ di Camillo Agrippa pubblicato a Venezia nel 1568 – provenienti prevalentemente dalla Biblioteca Howard de Walden – con le loro illustrazioni costituiscono un indispensabile complemento alle preziose armi in mostra.

La tecnica ed il combattimento con la spada, infatti, diventano una vera e propria arte codificata e trattata scientificamente da numerosi autori del XVI e XVII secolo, come Gerard Thibauld, Ridolfo Capo Ferro e Achille Marozzo, i quali si impegnarono nello studio scientifico del corpo umano, dei suoi movimenti e, dunque, nella codificazione delle tattiche per affrontare un combattimento con la spada; non mancano in mostra le spade disegnate proprio per essere utilizzate durante gli allenamenti nelle scuole di scherma che si affermavano via via in tutta Europa a partire dal XVI secolo.

Il percorso della mostra ed, inoltre, un valido allestimento relativo alla produzione delle spade in epoca rinascimentale – presentato in una sala a parte – permetteranno dunque ai visitatori di avere a disposizione tutti gli elementi per scoprire e ricostruire una tappa fondamentale della storia e dello sviluppo di una forma d’arte rinascimentale non troppo conosciuta, che racchiude in sé stessa elementi artistici, scientifici e di curiosità legate allo sport. Da segnalare, infine, tra i numerosi eventi legati alla mostra, una dimostrazione di combattimento di spade nelle date del 7 luglio, 11 agosto ed 17 settembre. Tutti i programmi e gli orari sono disponibili sul sito internet della Wallace Collection.

 

 

 

Sono trascorsi vent’anni dal tragico giorno in cui il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro persero la vita in un attentato sull’autostrada A29, nei pressi di Capaci, vicino Palermo.
La mano di quell’orrido eccidio, la stessa che il successivo 19 luglio uccise Paolo Borsellino, era quella della mafia.
Le figure di questi due uomini stoici erano divenute infatti troppo scomode per i loschi affari della criminalità organizzata, tanto da dover pagare con la vita la loro dedizione verso i principi di legalità e giustizia.
Il 23 maggio 2012 si terranno molte manifestazioni per commemorare queste vittime esemplari.

La Rai, nel suo ruolo di servizio pubblico, dedicherà parte delle sue trasmissioni a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Su Rai2, alle ore 8,00, andrà in onda il cartone animato “Giovanni e Paolo e il Mistero dei Pupi” destinato ai più piccoli per reinterpretare loro, in chiave favolistica, la storia dei due magistrati. Diretto da Rosalba Vitellaro, con la direzione artistica di Enrico Paolantonio, questo film d’animazione vede protagonisti due ragazzini, Giovanni e Paolo per l’appunto, impegnati a liberare il quartiere dalle grinfie di uno stregone malvagio che trasforma le persone in “pupi”. Le voci dei personaggi sono quelle di Leo Gullotta, Donatella Finocchiaro e Claudio Gioè.

Alle 20, 30 su Rai1 sarà invece trasmessa la partita del cuore nel ricordo di Falcone e Borsellino, che si giocherà allo stadio Renzo Barbera di Palermo. A sfidarsi due squadre d’eccezione: la Nazionale Italiana Magistrati contro la Nazionale Italiana Cantanti. I fondi raccolti saranno destinati ai progetti promossi dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e dalla Fondazione Parco della Mistica Onlus, nata per realizzare il centro di produzione e promozione culturale Campus Produttivo della Legalità e Solidarietà, volto inoltre alla riqualificazione, al recupero e alla valorizzazione ambientale dell’area denominata “Tenuta della Mistica” a Roma.

Per il ventennale della strage di Capaci uscirà invece in libreria la graphic novel “Antonino Caponnetto. Non è finito tutto” di Luca Salici e Luca Ferrara, con l’introduzione di Andrea Camilleri. Il fumetto ruota attorno alla figura di un altro importante protagonista della lotta alla criminalità, l’ex capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, fondatore del pool antimafia di cui facevano parte Falcone e Borsellino. Antonino Caponnetto, dopo l’attentato a Via d’Amelio disse “E’ finito tutto”, ma diede invece il via alla cosiddetta “primavera palermitana”, durante la quale spinse per un vero e proprio cambiamento culturale, coerente con gli insegnamenti dei due magistrati.
Il libro fa parte della collana Libeccio di Round Robin editrice, realizzata in collaborazione con l’associazione daSud.

 

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Nella città che ha fatto da sfondo alle stragi del 1992, il 23 maggio sarà invece inaugurata una mostra fotografica a loro dedicata dal titolo “Falcone e Borsellino vent’anni dopo. Non li avete uccisi le loro idee cammineranno sulle nostre gambe”. Ad ospitare questa raccolta di scatti è Palazzo Branciforte, rinnovato dall’architetto Gae Aulenti, la cui riapertura coincide con l’inaugurazione della mostra, cui parteciperà anche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La mostra sarà visitabile fino a settembre.

Oggi è ufficialmente partita la corsa della torcia olimpica: sul monte Olimpia, dinanzi al Tempio di Era, si è ripetuto l’antico rito dell’accensione della fiamma, preceduto dall’invocazione propiziatoria ad Apollo.
Grazie agli specchi parabolici, le sacerdotesse, guidate dall’attrice Ino Menegaki, hanno presenziato all’accensione del tripode, da cui la torcia attinge il fuoco.
Il primo tedoforo è stato Spyros Gianniotis, campione greco di nuoto, che ha passato la fiaccola al giovane pugile Alexandros Loukos, inaugurando la marcia che durerà otto giorni e percorrerà 2.900 chilometri.

 

La staffetta ellenica si concluderà con una cerimonia allo Stadio di Atene il 17 maggio, prima che il “sacro fuoco” voli a Londra, sede dei Giochi per l’edizione 2012.
Dalla capitale inglese il viaggio della torcia proseguirà per altri 70 giorni attraverso tutta la Gran Bretagna, fino alla cerimonia di inaugurazione prevista per il 27 luglio allo Stadio Olimpico londinese.
Qui la fiaccola tornerà protagonista, poiché farà la sua spettacolare entrata nello stadio, passando di mano ai vari atleti presenti, fino a giungere all’ultimo tedoforo che la utilizzerà per accendere il braciere, segnale di apertura ufficiale dei Giochi, il cui fuoco risplenderà per tutta la durata delle Olimpiadi.

La torcia per le Olimpiadi di Londra 2012 è stata creata da Edward Barber e Jay Osgerby, titolari di uno studio di disegno industriale nel quartiere londinese di Hackney, ed ha ricevuto il prestigioso premio “Design of the Year”: il progetto è caratterizzato da una linea pulita e moderna, movimentata da una superficie dorata e forata che le ha valso il soprannome di “expensive cheesegrater”.

 

 Le immagini sono tratte dal sito ufficiale delle Olimpiadi di Londra