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L’epopea di Banksy a New York è finita. 31 giorni trascorsi nella Grande Mela sono bastati all’anonimo artista di strada per far parlare di sé la stampa internazionale e la gente comune che ne ha seguito l’eroiche gesta da supereroe graffitaro.
Alla fine della sua vicenda americana, quello che resta è la sensazione, spiacevole e rassicurante insieme, che l’arte di strada si conferma un outsider rispetto al senso comune e ai cliché precostituiti. Il rischio corso dallo street artist di Bristol era quello di piegarsi alle leggi di mercato con delle operazioni di marketing plateali, con delle “performance” che poco avessero a che fare con l’arte e con la strada.
E invece no. L’ultimo messaggio di Banksy è stato molto chiaro: un palloncino svolazzante sulla Long Island Expressway che raffigura le lettere bombate della sua firma, e un appello a salvare 5Pointz, un capannone nel Queens le cui pareti sono ricoperte dalle firme creative di straordinari graffitari che rischia di essere demolito per lasciare spazio a un residence di lusso.
Nell’ultima audio guida, posta a commento della sua esibizione del 31 ottobre, Banksy invita a non istituzionalizzare l’arte demandandola a chiese, istituzioni o cartelloni pubblicitari. L’arte vera è quella fatta in strada, libera e anticonformista, l’arte che non serve a decorare ma che semplicemente e con potenza “è”.
New York è una città audace, ma rischia di essere inghiottita anch’essa dal perbenismo e dall’ipocrita buon senso. Banksy aveva già espresso questo parere sulla città che non dorme mai il 27 ottobre, scrivendo un articolo mai pubblicato per il New York Times: il One World Trade Center, il grattacielo in costruzione che sostituisce le Torri Gemelle dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, non è che una dichiarazione della “perdita di nervi” di una città che dovrebbe puntare su ben altro per attestare la propria capacità di ricrescita e la propria coraggiosa natura.
E così, anche dopo il bagno di popolarità newyorchese, Banksy si conferma un personaggio scomodo. Le sue opere sono state cancellate e denigrate, la sua identità è stata ricercata con morbosa curiosità, il suo nome e la sua attività sono diventate per un mese le sorvegliate speciali della polizia di New York. Il sindaco Bloomberg ha definito l’arte di Banksy uno dei tanti modi con cui deturpare delle proprietà private. L’artista mascherato ha eluso, però, tutti gli ostacoli che si sono frapposti al suo traguardo e ne è uscito vincitore.
Oltre a dare una bella lezione di stile e humor a critici bigotti e ortodossi, è riuscito anche nell’intento di prendere in giro il mercato dell’arte. Lo ha fatto prima vendendo originali delle sue opere a Central Park, senza che nessuno ne fosse a conoscenza, poi dando in dono al negozio dell’usato per beneficenza, Housing Works, un suo lavoro che è stato messo all’asta online per più di 600 mila dollari. Si tratta di un quadretto pastorale che l’artista aveva acquistato dal negozio stesso a 50 euro, e che aveva rivisitato inserendovi un soldato nazista che siede pensieroso su una panchina. I soldi ricavati dalla vendita andranno a senzatetto e malati di Aids.
A conclusione di questi 31 giorni di creatività, ironia, originalità, arte, mistero e anticonformismo non possiamo che sperare in una nuova serie di irriverenti performance artistiche ad opera di Banksy o di un suo coraggioso imitatore… chissà dove, chissà quando.
“Tutte le opere realizzate all’interno, in studio, non saranno mai tanto belle quanto quelle realizzate all’esterno”. Con questa frase di Paul Cézanne si presenta il progetto Better Out Than In dell’ormai celeberrimo Banksy. Questo misterioso street artist di cui non si conosce l’identità sta invadendo per un mese la città di New York, trasformandola ogni giorno in una sorta di parco giochi artistico, di scatola delle sorprese, di scenario per una caccia al tesoro gigantesca alla scoperta della sua ultima trovata geniale.
Inutile speculare sulla sua identità. Banksy potrebbe essere un uomo, una donna, un gruppo di artisti, un clochard, un ricco sfondato, un comune borghese, un’entità mistica e ineffabile. Di sicuro è l’eroe mascherato dell’arte contemporanea che prende in giro i potenti e il sistema comune, punisce i prepotenti, difende i deboli e gli emarginati, ruba ai ricchi per dare ai poveri. Il segno che lascia a firma inconfondibile del suo passaggio non è un taglio a forma di Z, né un paio di ali da pipistrello. Ma un’immagine, in genere uno stencil bicromo dal soggetto caustico, sovversivo, ironico, assolutamente accattivante. C’è il ragazzo che lancia fiori come fossero fumogeni, Topolino che cammina a braccetto con l’omino della Mac Donald e un bambino smagrito del Terzo Mondo, un ratto impegnato nelle attività più svariate. Sono queste alcune delle sue creazioni più famose e apprezzate.
A New York, però, Banksy si sta davvero sbizzarrendo. Non solo stencil, ma anche performance, strane installazioni, apparizioni originali, corredate da altrettanto strambe audio guide, reperibili sul sito ufficiale il giorno dopo, o attraverso codici per gli smartphone incisi sui muri accanto. E così è comparso un camion pieno di animali di pezza urlanti, che si aggira per le strade dove hanno sede i mattatoi della città, come forma di protesta contro l’industria della carne.
C’è un palloncino a forma di cuore, ricoperto da cerotti che, come spiega una voce deformata dall’elio, è la rappresentazione dell’animo umano che lotta tra ferite e raffiche di vento. Non mancano, poi, le scritte dal profondo substrato filosofico, ad esempio: “Ho una teoria secondo cui puoi far sembrare profonda qualsiasi frase semplicemente scrivendo il nome di un filosofo morto alla fine. Platone”. È stato avvistato anche un camion che dall’esterno sembra stia per esalare l’ultimo rombo soffocato di motore, ma che all’interno nasconde un giardino mobile da sogno.
Una delle sue ultime invenzioni, però, quella che risale a sabato 12 ottobre, è stata davvero madornale. Un giorno come un altro, in quel di Central Park, un signore attempato, dall’aria comune e banale, si è messo a vendere stampe delle opere di Banksy a 60 dollari, contrattabili. Il suo incasso della giornata è stato di circa 420 dollari. Solo tre persone hanno acquistato: un giovane uomo che ha comprato 4 pezzi per arredare casa a 240 dollari, una donna neozelandese che ne ha voluti due, e una signora che ha optato per due quadretti di piccole dimensioni per i figli, alla metà del prezzo di vendita. Fin qui nulla da stupirsi, niente di strano o scioccante. Se non che, ieri, sul sito ufficiale del progetto newyorchese, Banksy ha dichiarato che le opere vendute erano originali, con tanto di firma e autentica. Tre milionari, quindi, contro le centinaia di persone che sono passate ieri davanti alla innocua bancarella allestita per 4 ore. State fermi sulle sedie, però, niente precipitosi acquisti di voli per New York nella speranza di diventare milionari al prezzo di 60 dollari (più spese). Banksy ha precisato, anche, che la fortunata svendita è stata solo per un giorno e non si ripeterà più… Forse.
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Sulla riva sinistra della Senna, tra la Bibliothèque Nationale de France e la Cité de la Mode et du Design, in uno dei quartieri più dinamici di Parigi, sta per essere inaugurato un grandioso museo temporaneo di street art, frutto del lavoro di cento artisti provenienti da tutto il mondo.
Stiamo parlando della Tour Paris 13, un palazzo di 4500 mq destinato alla demolizione che, prima di essere raso al suolo, è stato affidato dalla Mairie del 13° distretto alla Galerie Itinerrance, coordinatrice del progetto; i trentasei appartamenti, lasciati liberi dagli inquilini, sono stati così completamente trasformati dall’intervento degli street artist più stimati del momento, che hanno rivestito pavimenti, pareti, soffitti e superfici esterne con le loro opere d’arte.
L’idea di un edificio della street art era nell’aria già da tempo, ma la difficoltà nel reperire luoghi pubblici utilizzabili e i costi proibitivi degli spazi privati ne hanno sempre ostacolato la realizzazione. Questa volta, invece, la disponibilità di un edificio in trasformazione si è rivelata la risposta vincente, e la Tour Paris 13 è diventata la dimostrazione di come anche gli “spazi bianchi”, le aree abbandonate delle nostre città, possano essere mantenute vitali e dare avvio ad un percorso di crescita culturale, sociale ed anche economica.
Al momento della scelta degli artisti partecipanti, gli organizzatori hanno deciso di dare spazio ai paesi emergenti nel panorama internazionale della street art, come Medio Oriente, America Latina, Italia e Portogallo.
Alexöne, C215, David Walker, eL Seed, Ethos, Inti e Ludo sono solo alcuni dei protagonisti coinvolti.
Dei nove piani della Tour Paris 13, il terzo (denominato appunto “Il Piano”) è stato interamente riservato alla street art italiana che, con ben quindici interpreti, è una delle nazioni più presenti.
Gli artisti chiamati a far parte del progetto sono stati selezionati in base a criteri tecnici, stilistici ed anagrafici, in modo da offrire un vasto repertorio di ciò che è la street art italiana. I loro nomi sono 108, Agostino Iacuci, Awer, Dado, Etnik, Hogre, Hopnn, JBRock, Joys, Moneyless, MP5, Orticanoodles, Peeta, Senso e Tellas.
Il Piano è stato gestito da Le Grand Jeu, un’agenzia parigina specializzata nella promozione di progetti di street art, che ha nell’italiano Christian Omodeo uno dei suoi fondatori. Per loro questo evento rappresenta l’occasione per innalzare il livello culturale del dibattito sulla street art, discussione che fino ad oggi è stata spesso inaridita dalla solita diatriba tra arte e vandalismo.
Le Grand Jeu ha deciso di occuparsi dell’intervento in autonomia, rinunciando a sostegni finanziari sia pubblici che privati, così da garantire agli artisti la più totale libertà d’azione.
La Tour Paris 13 rimarrà visitabile soltanto per un mese, dal 1 al 31 ottobre. Dopo questa data verrà chiusa, mentre resteranno accessibili per altri dieci giorni il sito web e l’applicazione che gli sono stati dedicati. A tutti noi spetterà il compito di salvare virtualmente le opere, perché dall’11 novembre il sito sarà riaperto con le sole parti che il pubblico avrà deciso di far sopravvivere. L’edificio, invece, sarà demolito per far posto ad un altro palazzo di case popolari.
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Ian Stevenson è uno street artist particolare: non rimane nell’anonimato, non crea solo opere d’arte per luoghi pubblici, essendo anche grafico e illustratore, e ha alle spalle studi “accademici” al Camberwell College of Arts.
Eppure le creazioni da lui pensate per la strada risultano estremamente accattivanti, grazie alla loro grafica semplice, simile a un cartoon, che trasforma qualsiasi oggetto, anche un cassonetto della spazzatura in un elemento diverso, più colorato e sorridente.
Ian stesso sostiene che le sue idee artistiche gli si palesano come giocattoli nella mente di un mambino della borghesia britannica. Fonti della sua ispirazioni sono tutti gli oggetti che abbiamo davanti agli occhi durante una normale giornata, la televisione, la vita contemporanea.
Il suo nome è Dolk, che in norvegese vuol dire stiletto l’arma affilata utilizzata nelle guerre del Seicento e affilata è la sua arte di strada che si muove tra il criticismo politico e l’ironia.
I suoi lavori, che si ispirano alla stencil art dell’inglese Bansky, si possono ammirare tra le strade di Bergen, Berlino, Copenaghen, Barcellona, Oslo, Stoccolma, Londra, Praga e Melbourne.
Ancora nulla purtroppo in Italia anche se, vista la sua fama e la sua partecipazione a numerosi esposizioni negli ultimi anni, non tarderà ad arrivare!
Forse pochi sanno che il vero nome di Nelson Mandela, quello assegnatogli dalla sua tribù, è Rolihlahla, che significa “attaccabrighe”, “combina guai”. I latini dicevano “nomen omen”, a indicare come spesso il nome che ci viene dato alla nascita sia marchio dell’intera identità della persona, del suo destino, profezia del corso che prenderà l’intera sua vita.
Il 18 luglio è il Mandela Day, la giornata istituita dall’ONU per celebrare il compleanno dell’attaccabrighe più instancabile al servizio della libertà e dell’uguaglianza, il cui nome e il cui destino si sono indissolubilmente legati a quelli del Sudafrica e dell’intero popolo nero.
Mandela, che oggi compie 95 anni e che da più di un mese è ricoverato in gravi condizioni a Pretoria, con la potenza della sua immagine e delle sue azioni, continua a lottare per la sua terra.
Il Sudafrica è stato per anni condizionato dalla piaga dell’apartheid, la sconsiderata politica segregazionista che impose, a partire all’incirca dagli anni ’50 del ’900, che le etnie del territorio vivessero isolate l’una dalle altre, togliendo progressivamente diritti e libertà alla popolazione di colore. Fu per ribellarsi allo status quo imposto dall’apartheid che Nelson Mandela trascorse 27 anni della sua vita in una cella grande “tre passi”, a Robben Island, isolato nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico.
Nel 2012, cinquanta anni dopo il suo arresto, un artista sudafricano, Marco Cianfanelli, ha innalzato nel luogo stesso della cattura di Mandela, a Howick, 50 colonne di 9 metri che, viste d’insieme, ne raffigurano il volto.
Una volta uscito dal carcere, infatti, Nelson Mandela è divenuto vessillo vivente della lotto contro il razzismo e contro tutte le forme di disuguaglianza. Il suo ruolo e il suo potere rivoluzionario sono stati confermati dall’assegnazione del Premio Nobel per la Pace nel 1993 e dalla successiva elezione, nel 1994, a primo presidente democratico del Sudafrica.
Da allora, l’immagine di Nelson Mandela è divenuta fonte di ispirazione per moltissimi artisti, di strada o di scuola, professionisti o emergenti. Cape Town, ad esempio, è divenuta la patria della street art, e il volto di Nelson Mandela è tra i soggetti prescelti per continuare la lotta, incessante e sotterranea, per l’uguaglianza. A Cape Town la street art è illegale, eppure, ad oggi, è una delle principali fonti di attrazione turistica. Artisti locali, come Faith47, e internazionali, come Mr. Brainwash, colorano le strade di Cape Town e le riempiono di immagini e di slogan di libertà e speranza.
A Parigi, una mostra all’Hotel de Ville racconta la vita di Mandela attraverso l’arte. Sei diverse sezioni presentano i momenti principali della sua esistenza, da Caractére a Homme d’état, dall’infanzia alla più matura carriera politica. La mostra raccoglie foto, opere d’arte, video e documenti su una delle vite più emblematiche del secolo: si possono ammirare i ritratti realizzati dal collettivo femminile Impumelelo, creati con le perline; i disegni umoristici di Zapiro; i modellini della già citata opera di Cianfanelli; oltre che servizi fotografici e cortometraggi inediti.
Mandela ha un animo battagliero, guerriero, indomito, ma è stato anche capace di mostrare estrema sensibilità e creatività. Lo dimostrano le litografie che lui stesso ha creato dopo la prigionia e che sono visibili al sito: www.nelsonmandelaart.com. Un altro progetto, realizzato attraverso una collaborazione tra il Nelson Mandela Centre of Memory e Google, ha dato vita ad un cyber archivio completo e suggestivo sulla vita e sul messaggio dell’uomo che ha fatto la storia della democrazia e dell’uguaglianza.
Buon Compleanno Nelson Mandela!
Curiosità:
– Nelson Mandela è alto 1.94 per 95 anni.
– Ha avuto tre mogli e a ottant’anni, per sposare la terza, Graça Machel – vedova dell’ex presidente del Mozambico Machel – pare che abbia dovuto offrire alla famiglia della sposa 60 pregevoli mucche.
– Moltissimi sono stati i premi e le onorificenze di cui è stato onorato Mandela. Ad esempio, è cittadino onorario del Canada, ma anche di Firenze; è membro onorario del partito laburista britannico, e della squadra di calcio Manchester United. Sono state a lui dedicate e nominate una particella nucleare (Mandela particle), un picchio preistorico (Australopicus nelsonmandelai) e un’orchidea (Paravanda Nelson Mandela).
– Durante la prigionia a Robben Island, furono almeno sei le volte in cui Mandela respinse la libertà offertagli dal governo dell’apartheid. A riguardo Mandela dichiarò: “Desidero la libertà con tutto il mio cuore, ma mi preoccupo ancor di più per la vostra di libertà… Che senso ha che mi venga offerta la libertà, se l’organizzazione del popolo rimane vietata?”
Passeggiando per le strade di Buenos Aires si incontrano edifici, pareti, muri, treni e saracinesche coperti di stickers, murales e stencil, elementi vivi di una città dove la street art è un fenomeno diffuso. Con questa forma di espressione artistica urbana, prevalentemente illegale, gli artisti fanno sentire la propria voce lanciando messaggi sociali o politici o più semplicemente lasciando la propria firma.
Grazie al suo forte potere comunicativo, l’arte di strada e in particolare gli stencil sono stati scelti come strumento per la campagna di sensibilizzazione dei diritti umani organizzata dall’associazione AMMAR (Argentine Prostitutes’ Association).
Gli stencil, realizzati dalla compagnia pubblicitaria Ogilvy & Mather, che si trovano sugli edifici agli angoli delle strade, raffigurano da un lato donne ammiccanti, in posizioni difficilmente fraintendibili, e dall’altro lato il passeggino del figlio che la donna sta spingendo. La scelta dell’angolo delle strade è significativa: sono luoghi emblematici dove le lavoratrici del sesso offrono i loro servizi e in più l’angolo permette di raffigurare la doppia realtà della vita di queste donne che, per l’86% di esse, prima di tutto sono madri, e successivamente lavoratrici.
L’associazione lotta da 19 anni per la difesa dei diritti umani e dei diritti del lavoro delle “lavoratrici del sesso” in Argentina, per cambiare l’attuale realtà di abuso, sfruttamento e discriminazione. I membri di AMMAR sono donne adulte, prostitute per scelta personale e consapevole, che lavorano autonomamente e che lottano per ottenere degne condizioni e per uscire dalla clandestinità. Al fine di raggiungere questi obiettivi si sono organizzate in un sindacato e ne richiedono il riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro in modo tale da poter beneficiare, tramite il pagamento delle tasse, dell’assistenza sociale e della pensione. Gli stencil sono la rappresentazione artistica e il mezzo per comunicare alla società la lotta da esse intrapresa per ottenere una legge che le riconosca come lavoratrici del sesso autonome, differenziando il loro lavoro dalle pratiche illegali della tratta di persone, della prostituzione minorile e adulta, e che le protegga dallo sfruttamento e dalla violenza della polizia.
In Argentina la prostituzione è infatti legale, tuttavia la legge attuale non protegge le lavoratrici del sesso dal maltrattamento e dalle molestie dei poliziotti, che avvengono ad ogni angolo della strada, e dal loro sfruttamento e inclusione nei cartelli della prostituzione.
L’associazione critica i due progetti di legge che sono stati presentati al Congresso Nazionale il 3 aprile scorso, che pianificano una modifica del Codice Penale per categorizzare come crimine il consumo di servizi sessuali. I progetti prevedono la condanna del cliente per compra di prestazioni sessuali. AMMAR considera queste misure poco efficaci, o meglio dannose, perché rendendo clandestini i clienti, le donne stesse si troverebbero in situazione di maggior clandestinità e vulnerabilità allo sfruttamento. Sarebbero infatti i poliziotti gli unici garanti dell’attuazione della legge e questo darebbe loro la possibilità di farsi pagare per non effettuare la multa, conferendogli eccessivo potere.
Le sommosse in Turchia non sembrano placarsi: Piazza Taksim continua ad essere palcoscenico degli scontri tra manifestanti e polizia, in un clima rovente che attanaglia il Paese ormai da settimane, senza accennare ad una soluzione.
Come spesso accade in queste situazioni, gli artisti e i creativi colgono l’occasione per contribuire alla causa dei diritti attraverso il loro talento. Ecco allora che anche ad Istanbul e Ankara i messaggi di protesta vengono affidati a graffiti e murales, così come accadde durante la primavera araba, e nascono così simboli di una ribellione che lascerà il segno, speriamo positivamente.
Tra questi i “pinguini”, apparsi su molti muri turchi, a rappresentare la vigliaccheria dei media nazionali, che invece di dar visibilità alla principale manifestazione organizzata in piazza, hanno trasmesso un documentario su questi esemplari.
Vicino ai pinguini campeggia il volto di Erdogan mascherato da joker e frasi slogan che ricordano l’utilizzo di gas contro la popolazione manifestante.
C’è chi invece ha voluto esprimere il proprio dissenso nei confronti del governo turco attraverso la musica di un pianoforte. Per di più si tratta di un artista italiano: lui è Davide Martello e al centro di Piazza Taksim ha intonato con il suo piano brani dei Beatles, sciogliendo per qualche minuto le tensioni tra cittadini e forze armate.
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Anche l’artista turca Sukran Moral, da sempre attiva a favore dei diritti umani, ha voluto prestare la propria arte alla cause della rivolta, inscenando una performance nel Gezi Park. La donna, avvolta in candidi drappi di lino, si è inflitta dei tagli sul ventre con una lametta, lasciando scorrere sul suo corpo rivoli di sangue, a rappresentazione delle vittime della protesta.
La scorsa notte è stata invece la volta della performance del coreografo Erdem Gunduz, il quale per cinque ore e mezza è rimasto immobile in piedi nella piazza gremita, proprio dinnanzi al ritratto dell’eroe nazionale Ataturk. La sua forma pacifica di protesta è stata pian piano abbracciata da molti dei manifestanti presenti, che hanno compreso la forza del gesto: l’immobilismo per un coreografo è infatti un ossimoro. In vari luoghi della città altre persone hanno seguito l’esempio di Gunduz, che ha avuto grande risalto anche sul Web, tanto che l’hashtag #duranadam (uomo in piedi) è divenuto in pochi minuti un trend mondiale. Il ballerino turco è stato trattenuto dalla polizia ma, una volta rilasciato, ha rilanciato l’appuntamento dell’Uomo in Piedi alle ore 20,00 di ogni giorno.
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Stime non ufficiali parlano infatti di circa 600 feriti, più o meno gravi, e tra loro spicca l’immagine di un’altra donna, la studentessa Ceyda Sungur che, con il suo vestito rosso, è stata colpita dal gas urticante lanciato dalla polizia, opponendo una pacifica resistenza.
Anche Gezi Park, dove tutto ha avuto inizio, è stato occupato dai manifestanti che lo hanno trasformato in un luogo di incontro e scambio di idee. Qui ha preso vita un albero, creato con il fil di ferro e intitolato “Gezi Speaks”, dove chiunque può lasciare dei messaggi e affidare pensieri, proprio a testimonianza di un forte bisogno di democrazia e libertà di espressione.
Ho conosciuto prima le sue opere, qualcuna un po’ dark, la padronanza delle sue tecniche, la sua forza espressiva, e dietro non c’era una donna-artista matura, ma una ragazza di 20 anni. Mi avevano incuriosito ed ho chiesto di incontrarla. Ha accettato in un pomeriggio, anch’esso un po’ dark (cielo cupo), mentre lei, Lowry (Lorenza Iacobini, nata nel 1993), è invece una bella ragazza sorridente, solare, molto socievole.
Quando è stata la prima volta che hai sentito l’esigenza di esprimerti attraverso una forma artistica?
In occasione di un compito per le vacanze, scuola media: “copiate delle opere d’arte mettendoci del vostro”, l’ho percepito come una liberazione! Ma anche alle scuole elementari avevo già vinto un premio per un disegno.
Quale è stato poi il tuo percorso artistico?
Ho frequentato l’Istituto d’Arte sperimentale di Roma, mi sono diplomata nel 2012 in Grafica Pubblicitaria e Fotografia (tema svolto per la maturità: una mappa concettuale sull’alienazione). Faccio parte di un collettivo di artisti: SinapsinArt (Collettivo Artistico Libero) che si propone di ricostituire la possibilità di espressione artistica, ridotta ai minimi termini in Italia. Lo scorso anno ho organizzato e partecipato alla ‘Fiera delle Arti’, che si è svolta nel Cineteatro Preneste occupato ‘Generazione Precaria Rendez-Vous’, dove nasce il collettivo (31.3.2012) di cui faccio parte, che ha messo insieme artisti dell’underground romano, che praticano pittura, grafica, fotografia, scultura e musica. Ho partecipato a varie expo e Live Painting in occasione di eventi, e quest’anno spero di superare la prova per iscrivermi all’ISIA (n.d.r. istituto fondato da Giulio Carlo Argan), solo 30 posti per la triennale di disegno industriale.
Perché la scelta dell’alienazione come tema per la maturità?
L’alienazione mi sembra l’attuale follia della società, la distrazione dall’essere umano, la desensibilizzazione in questa società di sola immagine, dove prevale il branco. Alienazione dai valori umani, dall’etica: esiste una maggioranza che si accontenta della televisione.
Parliamo delle tue opere. Perché questa scelta del rosso e nero, come nella tela n. 1 (uso i numeri perché molti dipinti non hanno titolo)?
All’inizio usavo i colori primari (giallo, ciano e magenta), poi ho iniziato a sfumarli per approdare infine al rosso e nero: prediligo la tela nera dove i colori rosso, giallo e bianco risaltano. Nella n.1 il riferimento è al Giappone e ai suoi demoni.
Ma chi sono i demoni che rappresenti?
I demoni che rappresento sono quelli interiori, come la gelosia, quello che ci fa soffrire, quello che non riusciamo ad ottenere, quando non riusciamo a corrispondere a ciò che riteniamo giusto. I demoni sono gli ostacoli che non riusciamo a rimuovere, come il pessimismo, l’insicurezza o la pigrizia, che poi ti portano a fare cose diverse da quelle che ti sei prefissato. Inoltre ho il gusto per il macabro e grottesco. Ho elaborato una dolorosa esperienza, vissuta indirettamente, rifugiandomi nell’arte.
Le tue tematiche, e quelle del Collettivo, sono anche di denuncia (come nella tela n. 2)?
Si, il tema qui è ‘animalista’. L’animale indossa sul collo una donna-pelliccia e il cappello è ispirato a Rembrandt.
Quali sono le tecniche che usi di più?
La xilografia su linoleum, l’incisione, i colori acrilici ma anche gli acquerelli come nella donna sdraiata con testa di fiore. Ho eseguito una serie di donne la cui testa è un fiore (n. 3), con colori luminosi, il legame della donna con la natura, dove compare anche l’elemento tribale nella grande testa disegnata sulla destra. Il mio fiore preferito è il papavero selvaggio che compare in molti miei dipinti, come nella tela n. 4.
A vederla il riferimento che viene in mente è alla pittura espressionista con il suo tratto marcato e ai colori fauve di Derain. Nella tela n. 5 un disegno a penna è incollato su tela e lo sfondo è realizzato con colori luminosi e cangianti. Ti piace fare anche allestimenti?
Si, ho realizzato una scenografia per un teatro di marionette in tempera su legno e sullo sfondo delle donne-cipresso, mentre in un’altra (n. 6) ho dipinto un paesaggio fantastico, una sorta di castello.
Tra i tuoi lavori preferiti?
La “Tentazione”, in cui ho capovolto i ruoli, Eva ha già peccato e getta la mela e Adamo-serpente la tenta, e il nudo di spalle (n. 7), è un po’ diverso dagli altri e ha una costruzione più volumetrica.
Veniamo, ora, al lavoro all’interno del collettivo.
Abbiamo organizzato la “Fiera delle Arti” il 31 marzo e, ad un anno dalla nascita del collettivo, una serata al Metropoliz (fabbrica ex Fiorucci, un’occupazione abitativa con molti bambini). Un evento riuscito molto bene con 1.300 presenze. Abbiamo mandato in onda musica di vari generi, techno, dalle 19 all’alba. Noi, in particolare, eravamo impegnati alla riqualificazione dell’ambiente attraverso videoproiezioni, corti indipendenti, expo, Live Painting, foto, performances, con 60 artisti di varie tendenze e acrobati. Il ricavato, degli ingressi ad un costo basso, è stato diviso tra il Metropoliz e i 60 artisti partecipanti. Ho partecipato all’Acrobax, centro sociale attivo (cinodromo) con serate di installazioni, come nel “Provocazioni Festival”: quest’anno il tema è stato l’Effetto domin(i)o. Ho realizzato la tela (n.8) in cui sullo sfondo c’è la città del capitale e i personaggi più tremendi: il banchiere, il rabbino, il sacerdote-anticristo etc. cadono l’uno sopra l’altro in un vortice il cui effetto negativo diminuisce fino all’individuo con un bambino in braccio che tira una pietra e butta giù il banchiere. Ho partecipato ad expo durante dei concerti (come Animal Social club). Trovo interessante l’esperienza dei TAZ degli anni ’90 (zone temporaneamente autonome), ovvero la conquista di spazi inutilizzati che si autofinanziavano e autogestivano. Collaboro anche con altri collettivi, come per es. ‘aDNA’ e ‘Cromedrop’.
Qual è il vostro rapporto con i Social Network?
Il collettivo Sinapsinart ha una pagina su Facebook, per entrare in contatto anche con artisti internazionali, personalmente uso tumblr (simile a twitter), un blog e ho una pagina su Facebook. Non abbiamo ancora un sito perché tra noi nessuno è a un livello informatico tale per realizzare un sito con una valenza artistica e soprattutto aggiornarlo.
Cosa ti piace di meno della società degli ‘adulti’?
L’ipocrisia e la finzione.
Cosa ti piacerebbe che cambiasse in Italia?
E’ un paese con un patrimonio culturale e artistico immenso ma che si sta alienando da questa che è la sua ricchezza e la sua energia. Vorrei un risveglio e una rivalutazione della cultura in senso lato, sia a livello internazionale che esistenziale, forse basterebbe rinunciare ad un po’ di televisione…
Cosa potrebbero fare i giovani in tal senso?
Creare occasioni di autogestione, dove è possibile utilizzare il riciclo, dare spazio all’artigianato e autoproduzione. Purtroppo esperienze di questo genere durano poco, la durata di un evento, non costituendo un cambiamento duraturo. La mia generazione infatti non ne fa una scelta di vita.
Cosa fai per essere indipendente economicamente?
In campo artistico lavoro con il Live Painting ma non è abbastanza e quindi part-time faccio la cameriera in un ristorante.
Cosa ti piace del Live Painting?
L’interazione con chi mi guarda: le persone che mi osservano mi stimolano a fare meglio.
Raccogliamo l’invito e continuiamo ad osservare questi giovani artisti.
Berlino è un a città in continua evoluzione: tra contemporaneità e classicismo, a partire dalla caduta del Muro e con l’unione delle due Germania attraversa ora una fase di transizione testimoniata dalla trasformazione di interi quartieri e aree industriali, diventati il fulcro creativo della città.
La Porta di Brandeburgo, il Reichstag, il Muro, il Memoriale dell’Olocausto, l’Isola dei Musei sono solo alcuni dei 170 Musei più importanti di Berlino visitati ogni anno da milioni di persone.
Segnaliamo soltatanto che tra i musei da non perdere nelle zone periferiche di Berlino vi è il Gründerzeitmuseum, fondato da Charlotte von Mahlsdorf, personaggio eccentrico tutto berlinese, probabilmente il travestito più famoso di Berlino est. Grazie a lei, possiamo ammirare la ricostruzione, fatta con l’arredamento e le attrezzature originali, di un locale storico di Berlino: il Mulackritze.
Il museo si trova nella zona Est della città, a Mahlsdorf nel distretto di Marzahn-Hellsdorf. Il Gründerzeitmuseum offre una collezione incredibile di mobili e oggetti che hanno rappresentato un periodo storico abbastanza breve, compreso fra la seconda metà dell’800 e i primi del ‘900 che si chiamava appunto Gründerzeit. Oggetti come, grammofoni d’epoca, utensili da cucina e una ricca collezione di vario genere, vengono mostrati anche nel loro funzionamento dalle guide durante le visite al museo.
Originariamente si trovava nello Scheuneviertel a Mitte, oggi fra le zone più lussuose e turistiche di Berlin, mentre all’epoca era una delle più misere. Il Mulackritze non era frequentato solo dal proletariato dello Scheuneviertel ma anche da artisti e intellettuali come Bertolt Brecht e Marlene Dietrich.
Il vero fascino di Berlino non è solo nei Musei ma risiede soprattutto nei quartieri che la caratterizzano, vera attrazione alternativa di questa città cosmopolita e creativa.
Meta ideale per chi è in cerca di un’atmosfera creativa e multiculturale è il quartiere di Kreuzberg: situato al centro di Berlino è uno dei distretti più contraddittori e dinamici della città, frequentato da artisti e creativi, un tempo era il quartiere più povero della città. Soprannominata “Piccola Instanbul” per via di della comunità Turca che vi risiede, Kreuzberg è una vera propria babele di lingue e culture diverse. Da queste parti, da non perdere sicuramente, il centro culturale internazionale più importante di Berlino: il Kunstquartier Bethanien. splendido edificio del XIX secolo, un tempo ospedale commissionato dal re prussiano Federico Guglielmo IV. Nel 1975 l’edificio stava per essere abbattuto, ma è stato salvato in extremis da gruppi politici.
Da quel momento nel Künstlerhaus Bethanien si organizzano mostre e progetti culturali in numerosi campi, offrendo interessanti mostre di avant-garde contemporanee. Il centro segue un programma per artisti provenienti da tutto il mondo per i quali è inclusa anche la residenza. All’interno vi è inoltre una scuola di musica, fotografia, cinema oltre ad un famosissimo ristorante. L’ingresso al centro e agli studi d’artista è completamente gratuito e aperto tutti giorni, tranne il lunedì.
Rimanendo sempre al centro, altro simbolo della Germania dell’est con il suo boulevard socialista costruito nel dopoguerra, quartiere operaio e profondamente industriale dopo la caduta del muro, è il Friedrichshain, che diventato anch’esso centro di attrazione per giovani, creativi, artisti e studenti che si sono insediati nei capannoni industriali abbandonati, questa area industriale è un’alternativa variegata, in cui atmosfera underground e anticonformismo si fondono in un equilibrio fresco e innovativo.
Da non perdere è l’area industriale di Raw Temple, spettacolare centro culturale e artistico a cielo aperto. L’area fu creata nel 1867: all’inizio del Novecento erano 1200 i lavoratori qui impiegati per via dell’apertura della Stadtbahn Berlin (la linea ferroviaria urbana). Dopo la caduta del muro l’area venne completamente dismessa. Ora passeggiare in questo quartiere significa immergersi in un’atmosfera ricca di creatività e colore, dominata da murales e opere di originali street artist.
Il quartiere Prenzlauer Berg è stato uno dei simboli della Germania dell’est ed emblema della resistenza contro il nazismo. Negli anni 70’ e 80’ inizia a diventare crocevia di artisti e professionisti che lo hanno reso uno dei centri più esclusivi di Berlino e una delle mete più amate dai turisti. Testimone del cambiamento del quartiere è il Museo di Prenzlauer Berg, che rappresenta, attraverso la sua collezione, tutta la storia di questa zona. Durante la passeggiata non potrete non notare Wasserturm, la Torre dell’acqua più antica della città, che portò l’acqua corrente a Berlino. La Torre circolare, fu completata nel 1875 dall’architetto inglese Henry Gill.
Da non perdere in questo quartiere , inoltre, il più grande “cinema stellare” del mondo: Grossplanetarium. Il Grande Planetario Zeiss, è stato costruito nel 1987, e la sua cupola è in realtà un grandissimo schermo su cui vengono proiettate stelle e pianeti. Le tecnologia usata nella proiezione è talmente innovativa e all’avanguardia che dà la sensazione di essere veramente all’interno del cosmo, permettendo un’esperienza straordinaria.
Girando per le strade del quartiere inoltre, vi imbatterete sicuramente in un particolare albero, che in realtà una libreria: “Book Forest Berlin”, progetto promosso dall’associazione BauFachFrau, è un’ iniziativa di bookcrossing che doveva concludersi nel 2008, ma che ancora prosegue per via del suo grande successo. Di fronte ad un popolare Caffè del quartiere sono stati posti alcuni tronchi d’albero uniti tra loro, in cui sono state ricavate delle nicchie per contenere dei testi; chi vuole può lasciare un proprio libro e prendere un altro.
Berlino offre al visitatore molteplici possibilità culturali, non solo Musei e monumenti quindi, ma una moltitudine di attrazioni come centri culturali, aree verdi, quartieri creativi e in continuo fervore, che fanno di questa città un’esperienza che lascia il segno.
Continua a dire la sua servendosi del proprio talento: stavolta a ritrovarsi dall’oggi al domani una sua creazione in città sono stati i siciliani. Blu è tornato, dunque, con la sua street art evocativa e di denuncia, come sempre legata a temi di attualità.
Infatti in questi giorni i cittadini della provincia di Niscemi stanno portando avanti la loro protesta contro la costruzione del MUOS, acronimo che indica il Mobile User Objective System.
Si tratta di un sistema di comunicazioni satellitari con onde ad altissima frequenza usate dall’esercito americano per comunicare. Questa antenna, che secondo il progetto sorgerà a pochi chilometri dal centro abitato, nel cuore di una riserva naturale, è l’ultima delle istallazioni necessarie per rendere operativo lo scambio di comunicazioni: le altre tre antenne sono situate nelle Hawaii, Australia e Virginia.
Le proteste sono scaturite dalla preoccupazione per questo nuovo ripetitore satellitare che avrebbe un impatto ambientale molto forte, data l’alta potenza delle onde, che andrebbero ad aggravare una situazione già preoccupante in questo lembo di terra, dove sono istallate altre 46 antenne.
Per unirsi alle contestazioni dei siciliani, contrari ad una concentrazione di emissioni nocive nel loro territorio, la voce di Blu non si è fatta attendere: il suo nuovo graffito rappresenta, infatti, la personificazione dell’antenna nelle terribili fattezze di un mostro che minaccia i manifestanti armati, invece, di megafoni e bandiere per combattere la loro battaglia contro le radiazioni. Ancora una volta lo street artist che ha fatto della strada la sua tela e la sua fonte di aspirazione, rifuggendo gallerie e mondanità, ha sfruttato il suo talento con fini sociali e di denuncia.
Thomas Lamadieu, alias Roots Art, è un artista davvero trasversale: nelle sue opere c’è street art, grafica, fotografia e illustrazione, tutto mixato in scorci urbani.
Il suo talento sta infatti nello scovare gli spazi giusti per radicare i suoi soggetti: è così che nel lembo di cielo tra i palazzi si staglia una grande civetta, da una pozzanghera tra i tombini spunta il muso di un gatto e sui profili dei grattacieli trova posto una combriccola di amici.
Questo è il suo sito e questa la sua Pagina Facebook
Una dipinto che ricopre l’intera facciata di un edificio nella città di Bologna. Gli street artist contemporanei non hanno alcun bisogno di commissioni altolocate ma si impadroniscono delle tele cittadine, vuote e spesso anonime, senza l’approvazione di nessuno. Il writer italiano Blu si prende questa libertà sin dal 1995 in tutto il mondo, in particolar modo nei paesi teatro di conflitti, povertà ed emarginazione sociale. Dopo anni di attività i suoi murales sono divenuti famosi per la loro creatività e, soprattutto, per i messaggi di denuncia sociale racchiusi.
La sua arte è arrivata quindi in Italia: nell’immensa parete a cielo aperto del centro culturale XM24 Blu ha realizzato un’immagine tratta dal film “Il Signore degli Anelli”, in cui i personaggi in scena si mescolano con personalità reali: oltre a Frodo, protagonista del film in questione ritroviamo anche Darth Vader, ruolo chiave in altra celebre pellicola ed è riconoscibile anche Berlusconi. Tutti i componenti del dipinto, tra cui politici e giornalisti, si accalcano tra di loro, rivolgendosi verso l’anello del potere. Il significato è racchiuso non solo nell’immagine del gioiello ritratto a colori in primo piano, ma anche dalla simbolica torre di Sauron avvolta nel drappo tricolore. Una fotografia della decadenza della società e della classe dirigente italiana.
Boniface Mwangi è un fotoreporter keniano che ha lavorato per The Standard, uno dei principali quotidiani locali, e come freelance per altre testate internazionali. La sua professione lo ha messo più volte in pericolo, tanto che in molte occasioni ha dovuto celare la sua identità: il reportage sulla violenza scatenatasi in Kenya dopo le elezioni del 2007 gli è valso il premio CNN Photojournalist of the Year award, ma anche l’arresto in patria.
Mwangi ha però proseguito la sua battaglia per la verità attraverso l’arte dei graffiti e, coinvolgendo altri streetwriter, ha realizzato ben 50 murales a sfondo politico in tutto il Kenya. Questo giovane attivista ha inoltre fondato ilPicha Mtaani, la prima mostra fotografica itinerante, allestita per le strade, in cui mostra a tutti i suoi connazionali gli scatti che raccontano le recenti vicende del Paese.
Visita il blog di Boniface Mwangi
La riqualificazione e valorizzazione degli spazi cittadini passa sempre di più attraverso l’arte e il talento degli street art. L’ultima galleria a cielo aperto è stata realizzata a Roma, nel sottopasso di via Ostiense, dove sette artisti, Martina Merlini, Moneyless, Gaia, Tellas, 2501, Andreco e Ozmo, hanno unito le forze e gli stili, realizzando degli splendidi murales che coprono le intere pareti delle gallerie. Tra questi troneggiano i tre ritratti di Antonio Gramsci, John Keats, Percy B. Shelley, le cui tombe si trovano nel cimitero acattolico di Piramide, a pochi metri dalla galleria.
I graffiti sono una delle più antiche forme di espressione artistica e comunicativa dell’uomo. Se alle origini della nostra civiltà essi erano realizzati “graffiando” la parete o la pietra con uno strumento appuntito, ora scritte e immagini formanti murales sono realizzati grazie all’impiego di bombolette spray. Ma oggi come ieri, il carattere spontaneo di questa forma di espressione ci offre tracce e testimonianze di quelle che sono le speranze, i desideri e le paure dell’uomo del passato e del futuro.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, si diffuse tra le truppe alleate il disegno di “Kilroy”, l’omino calvo con un naso prominente che sbircia di là da un muro, aggrappato con entrambe le mani, visto come simbolo del soldato che arriva per primo a segnare il territorio. Scrivere “Kilroy was here” significava affermare l’amore per la vita e allo stesso tempo per la scoperta, un modo positivo di reagire agli orrori della guerra. Al di là delle leggende legate alle origini e alle possibili collocazioni di questo graffito, che si suppone sia presente in molti posti significativi e difficili da raggiungere, quali la torcia della Statua della Libertà o un’alta trave del George Washington Bridge di New York, il messaggio di positività che questo piccolo “graffito del quotidiano” trasmette è quanto mai attuale in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo vivendo. Non a caso esso è divenuto fulcro di un interessante progetto di riscoperta storica rivolto alle nuove generazioni e promosso dall’associazione “La Città delle Vittorie” con il contributo della Fondazione CRT e il patrocinio del Comune e della Provincia di Alessandria.
Il “KILROY PROJECT” si propone di realizzare un archivio/museo on-line delle tracce scritte e disegnate sui muri e sugli edifici del territorio alessandrino prima del 1960. La raccolta delle immagini sarà realizzata da tutti coloro, scuole e singoli, che armati di macchina fotografica andranno alla scoperta di queste testimonianze storiche e parteciperanno al concorso indetto dall’Associazione. I graffiti degli uomini comuni del passato e, dunque, l’arte di strada diviene mezzo espressivo e linguaggio di comunicazione trasversale tra generazioni e culture diverse. Trovare una traccia, fotografarla e cercare di ricostruire il senso profondo che essa custodisce, è un modo per favorire la riscoperta della cultura materiale e immateriale del territorio locale e sollecitare l’accrescimento culturale delle nuove generazioni, invitandole a riappropriarsi delle proprie radici territoriali.
La riappropriazione degli spazi, pubblici o privati, come forma di protesta verso una società consumista, per ironizzare e far riflettere i passanti in modo del tutto gratuito e in uno spazio non convenzionale è, invece, il principio ispiratore di artisti della strada come Bansky o Blu. I graffiti di Bansky, realizzati soprattutto attraverso la tecnica dello stancil, sono diventati un simbolo della città di Londra (si pensi ai Rats, ai poliziotti o ai bambini), così come simbolica è la sua presa di mira dei più prestigiosi musei al mondo, dove l’artista non visto ha collocato le sue opere: nobili del Settecento con bombolette spray, dame di corte con maschere antigas, ecc. Maggiori in termini di dimensioni le opere di Blu, che arrivano spesso a coprire le facciate di interi edifici, dando loro vita e significati suggestivi, e che sono presenti in diversi paesi nel mondo.
Grazie al loro talento l’arte di strada va acquisendo sempre maggiore rilievo presso le istituzioni, ma soprattutto presso le persone comuni che condividono e si riconoscono nelle proteste, nelle speranze e nelle idee espresse dai loro graffiti.
Giovanissimo ma dal talento maturo, Agostino Iacurci, classe ’87, è un artista multidisciplinare affermato. Avrete sicuramente avuto modo di conoscerlo inconsapevolmente, dato che le sue opere sono presenti in alcuni spazi pubblici delle principali città italiane e non solo, firmati con l’inconfondibile sigla “A.I”. Noi ve ne proponiamo un assaggio.
Per conoscere meglio il talento di Agostino Iacurci potete invece consultare il suo sito.
Le città vi sembrano spoglie e adorne? Pensate che qualche monile qua e là possa renderle più graziose?
Allora vi piacerà sicuramente l’arte di Liesbet Bussche, che gioca a vestire strade, uffici e angoli cittadini con collanine, orecchini e gioielli di ogni tipo. Dai simboli di fede, speranza e carità, ai più noti fili di perle e cuori spezzati, gli elementi cui la creativa si rifà sono facilmente riconoscibili. Vi mostriamo alcune sue opere. Per scoprire le altre visitate il suo sito.
se siete alla ricerca di tutte le tendenze della street art e delle creazioni metropolitane in giro per il globo non potete fare a meno di BigArtMob, il sito all’interno del quale troverete elencati tutti i graffiti, dipinti murari, sculture più interessanti, bizzarre e di qualità, fotografate dagli utenti e caricate sul profilo personale.
una volta selezionata l’opera d’arte che vi incuriosisce di più, potrete scoprire attraverso una scheda dettagliata, la sua localizzazione all’interno della città in cui è stata fotografata. Grazie all’ausilio di Google maps, infatti, viene indicata la via e il punto esatto, così da poter programmare una tappa inconsueta da raccontare durante il vostro viaggio. Il sito è provvisto anche di un blog dove è possibile commentare le opere e di un app scaricabile per portare sempre con sé questa guida artistica particolare.
l’idea di mappare la street art, sfruttando le potenzialità del web, è sicuramente innovativa e, una volta potenziata e diffusa, potrà rivelarsi una valida alternativa sia per gli artisti alla ricerca di ispirazione che per scardinare i consueti itinerari di viaggio tradizionali. Se volete diventare parte attiva del progetto, non dovete fare altro che registrarvi e creare un profilo personale, che oltre a contenere le vostre immagini, potrà essere seguito e votato dagli altri utenti. Spesso sono gli street rtist stessi a caricare le immagini dei propri lavori
una volta scelte le opere o il profilo che volete selezionare, la strada e la localizzazione viene trovata con facilità. Tuttavia non è prevista la soluzione inversa: non è possibile scegliere la città e risalire ad un elenco di tutte le opere esposte all’interno delle sue vie.
se provate a cercare la vostra opera preferita con l’opzione street view di Google potrete rimanere delusi, perché trattandosi di graffiti e pittura muraria spesso vengono rimossi dalle autorità.
Kenny Random è un artista padovano che ha lasciato il segno su molti muri della sua città. La sua street art giocosa riprende personaggi dei cartoon come Mordillo, Snoopy, I Simpson, ma il suo simbolo è l’ombra di un uomo dal cappello a cilindro. Il successo che Kenny Random ha riscontrato ha fatto sì che tre dei suoi più accaniti ammiratori fondassero un’azienda, denominata Randomstyle, che produce accessori dal design e dalla grafica curata dall’artista stesso. Ecco a voi qualche esempio del suo talento che potete ritrovare sul suo sito personale.