Sì, il problema è proprio quello di pensare che terremoti, alluvioni ed altre dannazioni del genere non risparmieranno le smart cities, perché anche se smart saranno sempre cities e, passata l’onda della attuale moda sui cui i soliti speculatori riusciranno a fare le loro elucubrazioni e i loro profitti, ci ritroveremo con delle città digitali che avranno migliaia di sensori che serviranno a comunicarci degli stati o meglio dei valori relativi a parametri fisici di situazioni ambientali.
Ed allora vogliamo pensare a situazioni di collasso in cui sensori del genere possano darci informazioni vitali?
Ancora da escludere sono i sensori per preallarmare la popolazione sull’avvento di un terremoto, purtroppo non abbiamo ancora trovato come fare, ma i sensori per preallertare la popolazione ad esempio sull’avvento di un maremoto ci sono e si basano ormai quasi tutti sui sistemi di posizionamento satellitare, quelli dei nostri GPS che usiamo nei navigatori e nei telefonini.

Una tecnica di “early warning tsunami” chiamata Vadase e realizzata da un gruppo di ricercatori della Sapienza è stata premiata in Europa e sembra poter dare un alert relativo al movimento del suolo e alla sua entità con una velocità estrema fornendo quindi, in quei pochi minuti che separano il generarsi dell’onda dall’evento sismico, la possibilità di allertare la popolazione, come a volte avviene in Giappone. Sempre sullo stesso tema il sistema basato sui GPS installati sulle navi commerciali per realizzare una rete di monitoraggio atta a rilevare le onde di tsunami; in questo caso anche una piccola onda di 10 cm viene monitorata per produrre un avviso di pericolo imminente verso la zona che potrebbe essere colpita.
E i sensori per allertare la popolazione in caso di possibile alluvione? Anche questi possono essere realizzati ma forse pensare di prevedere le alluvioni potrà sembrare un po’ troppo, anche se i modelli meteorologici oggi hanno una precisione abbastanza elevata specie nell’arco di 1-3 giorni e i modelli idrogeologici del nostro territorio sono ben studiati e conosciuti.
Ma quello che manca è il mettere a regime tutte queste tecnologie, è ora di finirla di stupire la gente con robot, sensori, strumenti fantascientifici e simili che possono fare questo e quello, con meraviglia presunta non so di chi, visto che oggi tutti hanno competenze tecnologiche.

Quello che manca è l’umiltà di fare un passo indietro e mettere a regime tutte le recenti conquiste tecnologiche sfruttando gli investimenti effettuati in precedenza, evitando di continuare ad investire in continui progetti a seguire solo due o tre anni dopo che il precedente ha realizzato il suo “dimostratore” ma non ha portato in fondo il suo servizio alla comunità.

Renzo Carlucci è direttore editoriale della rivista Archeomatica

Nuove scosse e ancora crolli in Emilia Romagna. Stavolta a venir giù è stata la Torre dell’Orologio a Novi di Modena, tra i paesi più vicini all’epicentro del sisma di magnitudo 5.1 registrato alle 21,20 del 3 giugno.

La Torre dell’Orologio è tra i simboli di questo centro storico del modenese, edificata nella prima metà del ‘700, al suo interno custodiva l’antica campana che Alberto III Pio, signore di Carpi, donò alla comunità nel 1523.
La Torre fu posta all’ingresso sud dell’antico borgo e con la sua doppia cella campanaria era in origine priva di merli e con soli due quadranti.
E’ verso la fine degli anni ’20 che assunse il suo aspetto definitivo, dopo la ristrutturazione eseguita dall’architetto novese Pietro Pivi, che la dotò dei caratteristici quattro quadranti.

Questo monumento, già gravemente danneggiato dalle precedenti scosse, non ha retto all’ennesimo tremore venendo giù fragorosamente, per lo meno senza provocare altri feriti.
Il sindaco di Novi, Luisa Turci, nonostante la grave perdita subita dal centro storico, ha affermato ”La torre è caduta, ma noi siamo in piedi”.

La terra continua a tremare in Emilia Romagna, ma la solidarietà non si fa attendere. Sono già partite le numerose iniziative da tutta Italia per portare il proprio aiuto concreto alle popolazioni terremotate dell’Emilia Romagna. Vediamone alcune:

• Nei giorni scorsi si è diffuso l’appello sul web dell’azienda agricola Cusumaro che subito dopo la scossa del 20 maggio, ha invitato tutti a comprare le forme di Parmigiano Reggiano dop rigorosamente italiano, contenuto nei suoi depositi danneggiati dal sisma. Un modo per richiedere non aiuti economici, ma la possibilità di rialzarsi da questo terribile calamità attraverso il proprio lavoro ed impegno. Il formaggio può essere acquistato sia via mail che per telefono. Basta inviare la propria richiesta all’indirizzo mail filieracorta@arci.it per le singole persone o le famiglie; all’indirizzo mail elisa.casumaro@yahoo.it o ai numeri di cellulare 346 1779737/340 9016093 per le aziende.

 

 

 

 

 

• Per quanto riguarda le donazioni e gli aiuti finanziari immediati è stato attivato il numero 45500: inviando un sms dal telefonino viene stanziato un contributo di due euro in favore della popolazione e dei progetti di ricostruzione della zona. Per comunicare tutti i danni subiti dal patrimonio culturale, monumenti, musei e centri storici di valore artistico, il Ministero dei Beni Culturali ha attivato un’apposita casella elettronica, sisma2012@beniculturali.it a cui poter inviare tutte le segnalazioni.

 

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Confartigianato Vicenza ha aperto un conto corrente con lo scopo di aiutare direttamente tutte le aziende della regione. Si tratta del conto corrente bancario intestato a: “Confartigianato Imprese – Raccolta fondi terremoto in Emilia Romagna 2012” presso la Banca Popolare di Sondrio Agenzia 24, via San Giovanni in Laterano 51/A, 00184 Roma – Codice IBAN: IT26 Z 05696 03224 000003396X05.

• Legambiente nell’ambito dell’iniziativa Voler bene all’Italia per portare la propria solidarietà, ha proposto di creare una sinergia tra i comuni fortemente danneggiati dell’Emilia e altri paesi che possano così aiutate direttamente il comune con cui hanno istaurato il gemellaggio. Le candidature possono essere inviate a: pgi@legambiente.it e l’elenco dei comuni è consultabile sul sito.

• Il ministro della giustizia, Paola Severino ha invece lanciato l’idea di poter impiegare i detenuti del carcere della Dozza di Bologna per avviare e portare avanti la ricostruzione in queste zone. L’obiettivo è quello di far sentire utile la popolazione carceraria sia per portare il proprio sostegno che per inserire l’iniziativa nel percorso di recupero dei detenuti non pericolosi e già in regime di semilibertà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cliccando su questo link invece troverete tutte le altre iniziative per la raccolta fondi avviate dalle diverse testate giornalistiche, le fondazioni bancarie e grandi catene di distribuzione.

 

Ancora una volta le tecnologie dell’informazione si stanno rivelando fondamentali: ci riferiamo alla tragedia del recente terremoto che ha colpito l’Emilia e il Nord Italia ed agli appelli che fin dalla prima ora si sono diffusi in Rete tramite i social networks per rendere libero l’accesso alle reti wi-fi pubbliche e private, stante il congestionamento delle infrastrutture di comunicazione via telefono, SMS ed MMS (si pensi in casi del genere all’importanza degli strumenti di comunicazione alternativa via Internet, come Skype, l’applicazione WhatsApp, la chat di Facebook, Live Messenger ed altre piattaforme di Instant Messaging come strumenti di comunicazione verso l’esterno di estrema importanza, anche per far sapere dove siamo). Appelli che hanno sollecitato l’urgenza di rendere accessibili le reti wi-fi private (richiedendo ai cittadini delle zone colpite di disattivare le credenziali di autenticazione all’accesso) e pubbliche. In quest’ultimo caso i comuni delle zone colpite hanno per la gran parte agito tempestivamente, rendendo libero e gratuito l’accesso (senza id e password) alle reti wi-fi locali e provinciali (Bologna ha liberato la propria rete wi-fi Iperbole, e altrettanto hanno fatto i comuni di Modena, Ferrara, Sassuolo e molti altri).

E’ stata dunque una tragedia a riportare (tristemente) l’attenzione su un dibattito che tra gli operatori ed utenti della Rete si trascina da anni: quello del wi-fi (realmente) libero. A differenza di quanto accade in altri Paesi, in Italia tale argomento è tabù: il noto (e per taluni famigerato) Decreto Pisanu del 2005 che imponeva gli obblighi di identificazione dell’accesso per finalità di prevenzione antiterroristica, pur essendo stato abrogato lo scorso anno, non ha modificato di molto la situazione. La potente lobby dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica (per certo non interessati allo sviluppo delle connessioni wi-fi libere, a discapito della più remunerativa comunicazione dati su rete cellulare), la assai carente e limitata copertura (anche in città come Roma o Milano) garantita dalle reti wi-fi provinciali, l’approccio psicologico dei titolari di reti private (destinatari di messaggi – questi sì terroristici e pure tecnicamente sbagliati! – di allerta a non lasciare aperta la connessione wi-fi per non essere responsabili degli atti illeciti del terrorista o pedofilo di turno che agirebbe mediante l’IP identificativo dell’ignaro utente..). Sono tutte concause di una situazione che ci obbliga nuovamente a constatare l’arretratezza (culturale prima ancora che tecnologica) del nostro Paese avverso una tematica rilevante come l’accesso (davvero) libero alla Rete mediante wi-fi.

Ci voleva un terremoto per risvegliare le coscienze e (forse) per far aprire gli occhi a quanti già ora cominciano ad affermare che la “liberazione” d’emergenza delle connessioni wi-fi dovrebbe essere mantenuta anche quando la situazione sarà più calma?

Purtroppo la risposta è sì…

Tante volte abbiamo ad esempio contestato – in altri settori e per altre vicende – il grave fenomeno di legislazioni eccezionali di emergenza che – passata l’emergenza –sono rimaste nell’ordinamento giuridico come norme “ordinarie”, senza che vi fossero più gli originari presupposti che avevano portato alla loro adozione. Se si ripetesse questo fenomeno, per una volta non avremmo da contestare alcunché, poiché tutti – cittadini e Paese – ne trarrebbero beneficio.

 

Alessandro del Ninno è avvocato e professore universitario

 

 

Nonostante gli appelli lanciati a più voci non solo in rete ma anche dalle comunità locali, sembrerebbe che la parata del 2 giugno si farà anche se mantenendo uno stile sobrio.

La tragedia che ha colpito le popolazioni dell’Emilia verrà ricordata in diverse città durante le celebrazioni e molti eventi, come il concerto di Torino saranno a supporto economico degli interventi nelle zone colpite dal sisma.

Per chi volesse contribuire a dare il proprio sostegno, ecco una lista delle attività culturali nelle principali città italiane…

ROMA

La tradizionale parata ai Fori Imperiali si farà: così ha voluto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano seppur, ha ammesso, con toni più pacati: non ci saranno infatti le Frecce Tricolori sull’Altare della Patria e neppure la cavalleria e le fanfare.

Stessa sobrietà spetterà anche al ricevimento che sarà affidato, in occasione del ventennale della strage di Capaci, ad un catering che offrirà prodotti provenienti dall’associazione “Libera” di don Ciotti che opera nelle terre confiscate alla mafia.

 

FIRENZE

Torna anche quest’anno a Firenze, negli spazi della Fortezza da Basso il MUV, Festival di musica elettronica: nei padiglioni del polo fieristico cittadino saranno ospitati gli artisti principali mentre in altri spazi (Loggia del Pesce, Easy Living e Off Bar) si svolgeranno alcuni eventi collaterali. Molti gli special guest ad oggi confermati ai quali si andranno poi ad aggiungere alcune delle migliori proposte locali e nazionali della rigogliosa scena elettronica fiorentina.

A Badia a Passignano, invece, sarà organizzato un concerto per l’Unicef, il fondo delle Nazione Unite per l’infanzia. Il concerto pro Unicef del 2 giugno vedrà esibirsi l’”Ensemble Michelangelo”, sestetto composto da Stefano Margheri (flauto), Marco Lorenzini (violino), Emanuele Sellitri (violino), Laura Lumachi (viola), Sandra Bacci (violoncello) e Patrizia Pinto (arpa). L’appuntamento è alle 21. Il gruppo eseguirà musiche di Bizet, Debussy, Puccini, Sibelius, Strauss, Massenet, Tchaikovsky e Mascagni.

 

BOLOGNA

Festa Repubblica 2 giugno 2012: eventi in programma a Bologna

Sabato 2 giugno si festeggia il 66° anniversario della Repubblica. Il Comune di Bologna organizza diverse iniziative:

• 10.30 – Deposizione di corone al Sacrario dei caduti

• 11 – Piazza Maggiore – Schieramento dei Reparti delle Forze Armate, delle Forze di Polizia, dei Vigili del Fuoco, della Croce Rossa Italiana, dei labari delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma e dei Gonfaloni di Regione, Provincia e Comuni. Rassegna dello schieramento e Alza Bandiera Inno Nazionale e Inno Unione Europea. Lettura dei messaggi e celebrazione ufficiale. Esibizione Banda della Brigata Paracadutisti Folgore di Livorno

• 20.30 – Teatro Comunale (Largo Respighi) – Orchestra del Teatro Comunale di Bologna -Concerto straordinario di musiche sinfoniche. Direttore Roberto Abbado. Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti.

Presso il Centro sportivo comunale Barca di Via R. Sanzio 6, invece, saranno organizzati intrattenimenti, tornei, gara podistica, mercatino e scambio dell’usato, prodotti della terra, animazione per bambini, percorsi di educazione stradale, mountain bike, esposizioni e mostre, fiera del libro, estrazione a premi, parrucchieri ed estetisti in strada, laboratori di aquiloni, orto in bottiglia, riciclo….e tanto altro.

In Via della Pescarola si terrà la FIERA SOLIDA(le): concerti, musica e divertimento dalle 15 fino a sera. Anche tanta solidarietà con la raccolta fondi per i terremotati

 

MILANO

“Vogliamo dare la nostra solidarietà alle famiglie vittime del sisma, raccomandare al Padre coloro che sono morti, assicurare la nostra preghiera e anche il nostro sostegno materiale”, ha detto il cardinale Scola che sabato 2 giugno presenzierà il VII Incontro Mondiale delle Famiglie.

Per l’occasione e a sostegno dei terremotati, salirà sul palco la sera di sabato anche una famiglia emiliana che testimonierà la tragedia avvenuta e si farà portavoce di tante famiglie che hanno perso tutto.

Diverse, in tutto il capoluogo meneghino, le iniziative avviate a favore delle popolazioni colpite. A Fieramilanocity, è possibile partecipare all’operazione «Il Grana della solidarietà». Negli spazi fieristici, dalle 9.30 alle 18.30, saranno messi in vendita 3.000 pezzi di Grana Padano per aiutare le aziende agricole e i caseifici colpiti dal terremoto. Sempre a Fieramilanocity, inoltre, la Caritas Ambrosiana, ha attivato un punto di raccolta fondi dove tutti i visitatori possono donare il proprio contributo, mentre venerdì sera dopo l’adorazione al Duomo di Milano alla presenza di Papa Benedetto XVI sarà organizzata una colletta. Infine, tutto il cibo in sovrabbondanza (e rimasto integro) preparato dal servizio di ristorazione dell’area dell’aeroporto di Bresso per le giornate di sabato e domenica, sarà inviato alle popolazioni dell’Emilia.

All’aeroporto di Bresso, invece, a partire dalle ore 16 si svolgerà la “Fiera delle Testimonianze” che vedrà la partecipazione di tanti artisti italiani e internazionali: sul palco si alterneranno la cantante israeliana Noa, Hevia, il maestro Morricone. Con loro anche la band dei Sonhora, poi Saba Anglana, Ron, Dulce Pontes e molti altri. Ad aprire la manifestazione, cantanti e band esordienti che hanno partecipato al concorso «Giovani talenti per il Papa».

 

TORINO

“Non solo non verrà annullato, ma diventerà il simbolo della volontà piemontese di aiutare i connazionali terremotati in Emilia Romagna”. Il concerto del 2 giugno, Festa della Repubblica, si terrà regolarmente in piazza San Carlo a Torino. “Cancellarlo – sottolinea il presidente del Consiglio regionale Valerio Cattaneo – non avrebbe portato alcun risparmio tangibile: il palco lo abbiamo già pagato, i contratti con le orchestre sono stipulati e tante altre spese sono già state affrontate”.

I rappresentanti del Consiglio regionale hanno inoltre dichiarato che il Piemonte destinerà all’Emilia Romagna 100mila euro provenienti dai propri risparmi di gestione, puntando a raddoppiare questa somma con alcune iniziative.

In piazza San Carlo, il 2 giugno, verranno posizionate delle teche trasparenti, nelle quali i cittadini torinesi e piemontesi potranno, se lo vorranno, effettuare donazioni in denaro a favore delle popolazioni colpite dal sisma.

Il concerto, sarà diretto da Michele Mariotti e prenderà il via alle ore 21 con l’esecuzione dell’Inno d’Italia, cantato dal coro del Teatro Regio. A seguire brani del repertorio di Beethoven e Rossini.

 

GENOVA

Si terrà a Genova nel weekend del 2 giugno Millevele 2012, la grande festa della vela aperta a tutte le imbarcazioni organizzata dallo Yacht Club Italiano.

Millevele, che giunge quest’anno alla 26° edizione, è una veleggiata aperta a tutte le imbarcazioni a vela dai 6,45 metri in su, suddivise in undici categorie in base alla lunghezza fuori tutto..

Millevele parte sabato 2 giugno alle 11 davanti al Lido di Albaro. I partecipanti si affronteranno su un nuovo percorso a triangolo lungo 12 miglia: dopo la partenza la flotta arriverà fino a Quarto e si dirigerà quindi a girare una boa al largo nel Golfo di Genova per poi fare ritorno al Lido di Albaro per l’arrivo. La veleggiata si svolgerà in tempo reale per tutte le categorie di imbarcazioni.

 

NAPOLI

In occasione dei festeggiamenti per la Festa della Repubblica il 2 giugno, ultimo week end del Maggio dei Monumenti partenopeo, i Volontari per la Cultura del Touring Club Italiano consentono l’apertura straordinaria della Basilica di San Giacomo degli Spagnoli – Piazza Municipio – dalle ore 10.00 alle ore 17.00. Un’occasione straordinaria per far visita a questa perla preziosa del patrimonio storico-artistico della città, altrimenti non visitabile.

 

CAGLIARI

A Cagliari tutto è prontp per “DI VINO…IN VINO”, un evento che si pone l’obiettivo di sostenere, qualificare e divulgare la conoscenza della Cavità delle 5 Colonne e del Rifugio antiaereo di via don Bosco a Cagliari, attraverso la visita guidata notturna itinerante con il particolare connubio tra Vino&Cultura.

Ai partecipanti saranno offerte caratteristiche degustazioni di prodotti isolani e vini cannonau derivanti dalle tradizioni gastronomiche e vinicole del territorio isolano.

L’evento si svolgerà Sabato 2 Giugno alle ore 20.40, all’interno della cavità di Via Vittorio Veneto e delle gallerie del Rifugio interamente scavate sulla roccia. Adeguato scenario storico-culturale per ospitare un evento in cui si valorizzano prodotti e vini che hanno sicuramente forti radici nella storia dell’ isola.

 

Si era temuto il peggio per il suo parroco dopo i gravi crolli che hanno colpito la Basilica di Santa Maria Assunta, il duomo del paese: Carpi invece ha tirato un sospiro di sollievo quando è stato reso noto che, nonostante i gravi danni, il sacerdote non era rimasto coinvolto nelle frane provocate dal terremoto. A pochi chilometri da Mirandola, nella provincia di Modena, Carpi ha rischiato di perdere il suo gioiello architettonico, il suo duomo dedicato all’Assunta. Commissionata dal principe rinascimentale Alberto Pio, i lavori della splendida chiesa rinascimentale iniziarono nel 1514 sotto la direzione dell’architetto Baldassarre Peruzzi, che riprese le idee che il Bramante e il Raffaello avevano per il cantiere della basilica di San Pietro a Roma. I lavori vennero interrotti dal 1525 e ripresero nel 1606, quando furono realizzate le tre navate e la facciata in stile barocco. Solo nel 1768 venne completata la cupola: questa risultò essere troppo alta e slanciata quindi venne sostituita già nel 1771 con una più bassa. L’edificio è stato terminato e consacrato infine nel 1791. Al suo interno sono conservate diverse opere d’arte del Seicento emiliano e veneto: Teodoro Ghisi, Matteo Loves, Sante Peranda, Luca Ferrari e Giacomo Cavedoni. In queste ore sono in corso le verifiche dei vigili del Fuoco e pertanto l’edificio è ancora considerato inagibile.

Sono diverse le macerie sparse nella piazza dei Martiri di Carpi a testimoniare che i danneggiamenti hanno interessato non solo la chiesa madre: molti i pennacchi franati a terra e i vigili del fuoco hanno asportato alcuni camini pericolanti sui tetti di Palazzo dei Pio e sul Portico del Grano.

In attesa che venga effettuata una stima conclusiva dei danni riportati, vi mostriamo un video che riassume quale immenso patrimonio artistico è racchiuso all’interno del piccolo borgo di Carpi.

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Portare il lutto vuol dire rispettare in silenzio il dolore di tutti coloro che hanno perso qualcuno di importante. Se poi la persona è venuta a mancare non per cause naturali bensì per una tragica fatalità o per incuria dovuta all’incapacità di prevenire disastri spesso il lutto diventa collettivo e coinvolge un’intera comunità.

È quanto sta accadendo oggi, a poche ore dal terribile terremoto che ha colpito il nord Italia e ha provocato quindici morti ( purtroppo si tratta di un bilancio ancora provvisorio). La mobilitazione sul web non si è fatta attendere e sono in tanti a richiedere per rispetto delle vittime che hanno perso la vita sotto le macerie, di annullare tutti gli eventi previsti per la Festa della Repubblica che si festeggia il 2 giugno di ogni anno. In particolar modo il popolo della rete vuole abolire la tradizionale parata militare e devolvere i fondi previsti alle popolazioni sfollate per aiutarli in questo momento di emergenza. L’appello è quello di evitare gli sprechi inutili in un momento di crisi, in cui parte della popolazione sta vivendo questo dramma, con una grave perdita di vite umane. Su Twitter l’hashtag #no2giugno è tra i più diffusi della giornata.

La terra torna a tremare provocando crolli e danni al patrimonio archietettonico delle zone colpite. A cedere definitivamente è stato lo splendido Duomo della Mirandola, in provincia di Modena, tra i territori maggiormente interessati dal sisma.

 

Questo esemplare di chiesa rinascimentale a tre navate, è sempre stata uno dei simboli del centro storico emiliano, al confine con la Lombardia. La sua storia risale infatti al 1440, quando cominciò la sua edificazione, completata venti anni dopo ad opera dei fratelli Galeotto e Anton Pico. Al suo interno il Duomo, chimato Chiesa di Santa Maria  Maggiore, ospita il mausoleo marmoreo in cui fu sepolto nel 1565 il filosofo Antonio Bernardi.

 

A cadere anche le quattro campane che svettavano sulla torre alta ben 48 metri e il cui suono gioioso intonava da sempre l’Angelus per i fedeli di Mirandola.

 
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Dopo la scosse di stamattina, stimata di magnitudo 5.8, il Duomo ha ceduto. A rendere ancor più doloroso questo evento la notizia, ancora non confermata, che sotto le macerie sia rimasta vittima una persona.
Questo è quanto rimane di uno dei monumenti italiani che ha contribuito a delineare l’identità di un’intera comunità.

 

Tempi di ristrettezze anche per le calamità naturali. Ogni qualvolta nel nostro paese, dove l’equilibrio del territorio è delicato e forte è il rischio idrogeologico, avviene una terribile catastrofe naturale, a seguito dei primi soccorsi sul campo inizia un lungo percorso di ricostruzione che spesso non arriva mai alla fine. Le “fasi di emergenza” che seguono a terremoti, eruzioni di vulcani, alluvioni perdurano interminabili e, pur rimanendo le complicazioni e i disagi, con il passare dei giorni il clamore mediatico si affievolisce.

La riforma della Protezione Civile messa in atto dal governo tecnocratico guidato da Mario Monti aveva come scopo proprio la riduzione del periodo considerato d’emergenza, che corrisponde ai giorni in cui lo Stato si fa carico delle spese per fronteggiare le criticità ed avviare la ricostruzione. Così, il decreto di riforma della Protezione Civile pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 16 maggio prevede la riduzione di questo periodo ad un massimo di 60 giorni, prorogabili eccezionalmente per altri 40. Successivamente lo status di emergenza decade e, con esso, gli oneri da parte dello Stato. Oneri che in realtà non saranno eccessivamente gravosi. All’interno dello stesso decreto, infatti, ci sono due importanti novità: la prima attiene la “tassa della disgrazia”, ovvero il rincaro sulle accise dei carburanti che le Regioni avevano l’obbligo di applicare, in caso di emergenze da fronteggiare, che ora non sarà più un obbligo bensì a discrezione della regione stessa; la seconda riguarda l’esonero dello Stato nel farsi carico attivamente degli interventi necessari per ridurre i danni subiti dai fabbricati, case ed edifici. I cittadini, dunque, saranno chiamati a fronteggiare singolarmente queste spese attraverso la stipulazione di polizze assicurative. Queste potranno essere detratte servendosi delle agevolazioni fiscali per chi si assicura. In sostanza, lo Stato non è più in possesso di risorse finanziarie per risarcire i cittadini. E di fronte ad un aumento smisurato del costo della benzina forse aggiungere un ulteriore rincaro in termini di accise non sarebbe stato ben visto.

All’indomani del terribile terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna rileggere questo provvedimento suscita alcune riflessioni, soprattutto per la coincidenza nefasta che ci porta a confrontarci direttamente con le sue conseguenze. Premesso che si tratta di disposizioni transitorie e a fini sperimentali, forse bisognerebbe domandarsi se realmente questa era l’unica strada per limitare i costi di un’emergenza.

La maggior parte delle mal sopportate accise sulla benzina sono residui di emergenze già superate da anni, di cui non è chiaro il motivo per cui si continuano a pagare. Dal momento che non è mai stato fermato questo afflusso di denaro nelle casse statali, la strada più semplice sarebbe potuta essere quella di destinare queste accise aggiuntive, di volta in volta, alle nuove emergenze che si presentano, eliminando dalla lista le calamità superate da tempo e semplicemente cambiando destinazione a questi finanziamenti senza dover ricorrere a balzelli aggiuntivi che avrebbero messo in difficoltà le regioni. Un’ulteriore soluzione potrebbe essere quella di rivedere il calcolo dell’Iva sui carburanti, che ad oggi viene applicata sul prezzo internazionale di base sommato a quello delle accise (in sostanza il 21% di tasse viene applicato su quelle che già sono entrate fiscali).

Soluzioni che forse avrebbero permesso di non esonerare arbitrariamente in questo modo lo Stato dal suo ruolo ed evitare che ogni singolo cittadino debba ricorrere ad un’assicurazione volontaria, che in realtà proprio del tutto volontaria non sarebbe. Il territorio italiano, non essendo uniforme dal punto di vista idrogeologico e ambientale, non consente un pagamento uniforme dell’assicurazione in tutta la penisola, perché coloro che risiedono nelle zone più a rischio saranno obbligati a pagare un’assicurazione più alta rispetto ai cittadini che risiedono in zone relativamente più sicure. Per ovviare a questo problema, la soluzione prospettata potrebbe essere quella di uniformare il pagamento assicurativo in tutto il territorio italiano, a prescindere dal livello di rischio. Da volontaria pertanto l’assicurazione sarebbe più corretto definirla obbligatoria.

 

A tre anni dal terremoto che ha colpito l’Aquila abbiamo deciso di fare due chiacchiere con una giovane curatrice aquilana, Martina Sconci, per cercare di capire quale è in questo momento lo stato della cultura in una città che è stata terribilmente colpita e lacerata nella sua totalità, ma che tuttavia cerca di reagire anche attraverso la ricostruzione di nuovi spazi di aggregazione come può essere un museo.

Martina tu sei una giovane curatrice che ha deciso di tornare all’Aquila per ricostruire la città e ridare vita ad un tessuto culturale scomparso dopo il sisma del 6 aprile 2009 …ma quali sono state le tue esperienze professionali prima di ri-approdare all’Aquila?
Più che ricostruire, diciamo che cerco di dare il mio modesto contributo per cercare di rendere più vivibile questa città e soprattutto per far in modo che non muoia definitivamente. Mi sono laureata in Beni Culturali e Ambientali all’Aquila con Ester Coen e poi ho deciso di fuggire a Roma perché non mi sentivo più bene nella mia città, la consideravo una città senza futuro. Mi sono iscritta alla Sapienza e nel 2008 ho preso la Laurea Specialistica in Storia dell’Arte Contemporanea.
Ho cominciato a lavorare nella capitale sia come ufficio stampa che come curatrice di mostre all’interno di varie gallerie d’arte e nel 2010, dopo aver lavorato come Fine Arts Assistant Research all’Accademia Britannica BSR, sempre a Roma e a Londra nella Charlie Smith Gallery dovevo decidere cosa fare: rimanere a Londra, tornare a Roma o scegliere di fare qualcosa per L’Aquila. Non me la sentivo di abbandonare la mia città. Mi sentivo vicina a tutto quello che stava accadendo dopo il terremoto, soprattutto vedendo i giovani aquilani come me che protestavano per tutto quello che accadeva, sentivo di voler partecipare perché ero, e sono tutt’ora sono convinta che, per ricostruire la città, c’è bisogno di noi giovani.
Quindi sono ripartita dal MU.SP.A.C.

Ecco …cos’è il Muspac?
MU.SP.A.C. sta per Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea. E’ nato nel 1993 all’Aquila come organo strumentale dell’Associazione Culturale “Quarto di Santa Giusta” a sua volta nata nel 1984. “Sperimentale” perché attraversa vari territori culturali sviluppando quindi un’idea allargata di arte. Principalmente il MU.SP.A.C. si occupa di arte contemporanea, ma spesso, anche in collaborazione con altre associazioni culturali, vengono organizzate conferenze, presentazioni di libri, spettacoli teatrali, concerti di musica e proiezioni di film e video d’arte. C’è anche una biblioteca.

Quando avete riaperto gli spazi del museo e come?
Il 6 novembre 2011 finalmente abbiamo inaugurato una nuova sede in Piazza D’Arti con la mostra dal titolo “Le scosse dell’arte. Per riabitare e guarire”, realizzata con le opere che molti artisti di fama internazionale hanno donato per la ricostituzione della collezione permanente del museo. E’ il primo e l’unico museo ad avere riaperto dopo il terremoto. Molte opere della collezione che stavano in via Paganica, con il terremoto sono andate distrutte, altre sono scomparse ed è stato molto difficile tutelare quelle rimaste nella sede storica.
Da subito abbiamo cercato aiuti per un magazzino dove tutelarle ma, non avendo neanche più la casa, non sapevamo dove metterle e quindi molte si sono danneggiate. Comunque, grazie alle donazioni di Terna S.p.a., del Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara e della Fondazione Carispaq e grazie al grande sostegno degli artisti siamo riusciti a costruire questo nuovo spazio, ma stiamo aspettando un contributo per l’arte contemporanea dalla Regione Abruzzo proprio per concludere i lavori perché la struttura c’è ma molti lavori devono ancora essere completati.

La cultura, a tre anni dal sisma, che ruolo ha a L’Aquila?
Fondamentale, soprattutto in questo momento. E’ dalla cultura che si riparte, per qualsiasi cosa. Senza la cultura, senza l’arte, non si può ricostruire una città. Il problema più grave che c’è all’Aquila in questo momento è la mancanza di spazi di aggregazione. Ci sono le case, ma non bastano.
Heidegger diceva che per abitare non basta avere un tetto sulla testa: abitare vuol dire vivere in un luogo ed identificarsi con il proprio territorio, sentirsi parte di una comunità, incontrarsi in una piazza. Non a caso il MU.SP.A.C., insieme ad altre 18 Associazioni anch’esse impegnate nella cultura e nel sociale, hanno deciso di creare una nuova piazza: Piazza d’Arti, un posto che sta diventando sempre più importante per la città proprio perché si occupa di cultura a tutti livelli.

Quindi il nuovo Muspac e la stessa Piazza D’arti non rappresentano solo il luogo da cui tu hai trovato lo stimolo per ripartire e per esprimere la tua professionalità, ma un luogo in cui tutti gli aquilani dovrebbero ritrovare quello spirito aggregativo che solitamente è insito in una comunità e che c’era prima del terremoto…
Certo. Io ormai vivo a Piazza d’Arti. E’ lì che lavoro ed è lì che incontro le persone. D’altronde non ci sono molte alternative. Vivere all’Aquila non è facile, per nessuno. Se voglio fare una passeggiata, dove vado? Al Centro Commerciale? Piazza d’Arti è importante per la città ma questo non vuol dire che deve sostituire il centro. E’ un momento di passaggio spero. Quando e se sarà ricostruito un centro storico, Piazza d’Arti potrebbe diventare la piazza della periferia!

Quali sono stati i progetti più rilevanti realizzati dal Muspac da quel 6 aprile e quali sono i tuoi progetti futuri?
La mostra inaugurale è stata molto importante per noi e ce ne sarà anche una seconda con altre donazioni che, per motivi di spazio, non abbiamo potuto esporre nella prima. Ora stiamo lavorando all’interno di vari progetti. Uno di questi si chiama “Percorsi Migranti”, promosso dal Coordinamento Ricostruire Insieme, che prevede la realizzazione di mostre d’arte contemporanea di artisti stranieri per favorire lo scambio interculturale. Abbiamo iniziato con l’artista Alì Assaf che ha partecipato nel Padiglione Iraq all’ultima Biennale di Venezia. Il secondo appuntamento sarà invece il 12 aprile con “Videozoom: Bangladesh”: una rassegna di videoarte del Bangladesh, in collaborazione anche con Sala 1 Centro Internazionale d’Arte Contemporanea. A maggio ci sarà invece una mostra del duo di Sulmona Monticelli e Pagone e quest’estate, in collaborazione con altre Associazioni e coinvolgendo gli studenti, realizzeremo dei workshop con artisti contemporanei all’interno del centro storico per riprendere un dialogo e un confronto con la città.

Il Muspac si occupa anche di laboratori didattici per bambini. Quanto è importante in questo momento giocare con loro attraverso l’arte?
E’ molto importante. Al contrario di noi adulti, i bambini hanno la mente libera da qualsiasi costrizione e quindi hanno una creatività maggiore e una grande libertà di espressione. Creando un contatto reale e partecipato con il museo, i giovani possono imparare ed esprimersi, per sviluppare la propria formazione personale, estetica e culturale. E’ per tale motivo che il museo deve essere inteso come “luogo di esplorazione e scoperta” e non solo come “luogo di visita”. Grazie all’aiuto della Prof.ssa Rosanna Pichelli – docente della Facoltà di Scienze della Formazione all’Università degli Studi dell’Aquila – e agli studenti del suo corso, il principale obiettivo dei nostri laboratori didattici è prima di tutto quello di sviluppare le capacità di osservazione di ogni singolo ragazzo, insegnandogli a riflettere sulle proprie emozioni, a porsi domande e a cogliere i messaggi dell’artista e le sottigliezze del codice visivo, per decifrarne i significati. Con le opere dei ragazzi abbiamo anche realizzato una mostra, dal titolo “Creativity”, con lo scopo di documentare l’esperienza e allo stesso tempo di gratificare i ragazzi.

 

 

Il terribile sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile del 2009 non ha lasciato solo morte e detriti: sono i sopravvissuti al terremoto, i lavoratori, gli studenti, i giovani, gli anziani che sono oggi chiamati a risollevare le sorti di una terra che a rilento sta cercando di rialzarsi e ripartire.

Molti sono stati i progetti culturali sviluppati per i comuni de L’Aquila, molte le attività portate avanti per permettere agli abitanti di continuare a condurre, per quanto difficile, una esistenza “normale”. E allora, dopo aver parlato della distruzione dei beni culturali e di altri restauri, dei ritardi nella ricostruzione del centro storico e delle nuove vite che ripartono dalle new town, parliamo di tutti coloro i quali, grazie alla loro volontà di reagire e alle loro idee imprenditoriali sono stati in grado di sconfiggere l’immobilismo politico e burocratico.

Come hanno fatto? Serve tenacia sicuramente e una buona idea che permetta l’avvio di uno start-up. E poi servono dei soldi, difficili da reperire in quanto le banche, non avendo garanzie, non rilasciano finanziamenti.

Ed è proprio per risolvere questo empasse che Etimos Foundation, in collaborazione con il Consorzio Etimos, ABI Associazione bancaria italiana, Federazione della BCC di Abruzzo e Molise, Associazion Qualità e Servizi e Caritas diocesana dell’Aquila ha dato vita a “Microcredito per l’Abruzzo”, un importante strumento di sostegno per l’accesso al credito a tutte quelle persone che, per colpa del sisma, hanno perso gran parte dei loro averi.

Lontano da logiche assistenziali, Microcredito per l’Abruzzo si proprone come uno strumento di welfare a beneficio soprattutto dei giovani e delle start-up : ben l’80% dell’ammontare finanziato, infatti, è stato utilizzato per supportare la nascita di nuove imprese giovanili: come quella di Luca Lella, Giuseppe Marino e Francesco Lenzini, soci fondatori e co-amministratori di MEETs, una società in provincia di Pescara che si occupa di energie rinnovabili.

Grazie ad un finanziamento di 35 mila euro, la MEETs ha aperto i battenti a febbraio del 2011 e, nel suo primo anno, ha fatturato oltre 300mila euro con trend di crescita positivi per il 2012.

“Fino ad un anno fa non trovavamo una banca che appoggiasse la nostra idea di impresa – racconta Luca Lella – nonostante il riconoscimento come miglior business plan ottenuto in un concorso di idee imprenditoriali innovative organizzato da Confindustria Pescara e nonostante il settore delle rinnovabili confermasse i suoi trend di crescita. Ma poi ci siamo rivolti a Microcredito per l’Abruzzo”.

A questo punto, molti di voi si chiederanno che cosa sia il microcredito: le origini di questo dubbio si devono al fatto che, nonostante il suo successo mondiale, il microcredito non è ancora molto sviluppato in Italia rispetto al resto dei paesi europei.

Adottato per la prima volta dal premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus in Bangladesh, il microcredito è un servizio che permette anche a coloro senza opportune garanzie di accedere a dei finanziamenti. Si tratta fondamentalmente di un prestito di piccole somme di denaro rilasciate a fasce di popolazione svantaggiate che in questo modo vengono stimolate alla crescita, alla formazione e alla condivisione di progetti. L’obiettivo del microcredito è quindi principalmente quello di ridurre la povertà, alimentando la crescita individuale e imprenditoriale in maniera però non assistenziale.

Uno studio svolto dalla Fondazione Giordano dell’Amore (organismo di ricerca di Fondazione Cariplo) dimostra come in Italia si sia passati, dal 2006 al 20120 da 331 finanziamenti erogati all’anno a 2.202, testimonianza dunque di come queste iniziative abbiano realmente attecchito sul territorio e aiutato molti singoli o imprese nel percorso lavorativo.

E se oltre 3 milioni e 830mila euro di credito sono stati erogati fino ad ora per le giovani realtà imprenditoriali abruzzesi, forse possiamo affermare che il rilancio di questa terra partirà anche da qui: da coloro che fanno rete sviluppando idee d’impresa innovative e da coloro che riusciranno a rendere questi percorsi di crescita più facili e accessibili.

 

 

Filo colorato, ferri da maglia, creatività e un pochino di pazienza (se si è alle prime armi): questi sono gli ingredienti base per la rivitalizzazione di una città. Niente architetti, geometri o ingegneri; solo la partecipazione calorosa di persone con le loro pezze hand –made.

Se vi state chiedendo come questo sia possibile, la risposta è l’urban knitting, ovvero l’arte di ricoprire, avvolgere e vestire con scampoli realizzati ai ferri o all’uncinetto componenti che costituiscono il noioso paesaggio urbano che quasi tutti abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Cabine del telefono, biciclette, lampioni, alberi e automobili vengono estirpati dalla loro “normalità” e dal loro grigiume per essere fasciati in patchwork coloratissimi, che rendono gli oggetti personali e unici. In fondo è un po’ come quando si è bambini che si agghinda il proprio peluche o pupazzo per renderlo personalizzato, originale e più bello degli altri. È un atto di cura, di attenzione e anche di appropriazione, che crea un qualcosa di diverso dal giocattolo di partenza, qualcosa che rispecchi i gusti e i sentimenti personali. Immaginatevi un’azione di questo tipo su scala urbana dove è un’intera collettività, fatta da cittadini e non, a guardare la città con occhi nuovi, a volerla coccolare e colorare. A partire dal 2005,
quando Magda Sayeg, considerata la madre del fenomeno, ha realizzato il suo primo “graffito”, ricoprendo di una pezza colorata la maniglia della porta d’ingresso della sua boutique a Houston, molte città sono state contagiate da questo virus: Londra, New York, Helsinki, Riga…e finalmente tra poco anche una città italiana, L’Aquila.

Il progetto “Mettiamoci una pezza!” è a cura di Animaimmersa, associazione culturale nata nel novembre del 2009 a seguito dello spettacolo teatrale “Lettere da L’Aquila” creatosi spontaneamente nelle piazze e nelle tendopoli abruzzesi nei mesi successivi al terremoto devastante che ha colpito la regione ed il suo capoluogo il 6 aprile dello stesso anno. In occasione del terzo anniversario della data del sisma, nel centro storico della città, dove purtroppo sono ancora molto evidenti i segni del disastro, verranno disseminati fiori di stoffa e verranno ri-vestiti 100 mq di superficie urbana.
Massima libertà per quanto riguarda la lavorazione, a maglia o all’uncinetto, i filati, i colori ed il tipo di punto. La partecipazione è libera ed è aperta a tutti, basta far pervenire il proprio lavoro entro il 24 marzo. Come scrive l’associazione sul suo blog, “è un atto di amore e di provocazione”, è l’espressione condivisa della volontà di non dimenticare, di mantenere viva l’attenzione sui purtroppo ancora molti problemi che la città deve affrontare, coinvolgendo persone diverse e distanti ma legate dal medesimo entusiasmo e desiderio di cambiare le cose, mettendo in moto la creatività. Alcune mattonelle saranno realizzate a km zero, cioè utilizzando una lana naturale completamente prodotta in Abruzzo, che verrà sferruzzata dal Social Crochet, gruppo gestito su Facebook, che sarà anche presente il 6 aprile a L’Aquila per un’azione di knitting pubblico, e altri contributi verranno donati dalle organizzatrici di Knitting Relay, staffetta del lavoro a maglia partita nel 2011.

Il progetto abruzzese sta sollevando molto interesse e i consensi sono già molti; è una partecipazione attiva e generosa, di cuore. Inoltre potrebbe essere una buona occasione per avvicinarsi a uno di quei passatempi che forse era più praticato dalle nostre nonne, recuperando il piacere di creare qualcosa con le proprie mani, con un gusto genuino, che rischia di essere sommerso dalla nostra era iper-tecnologica. Su internet si trovano facilmente blog e tutorial per imparare i punti base. Quindi, amici di Tafter, non resta altro che sferruzzare e partecipare a questo interessante progetto, portando un po’ della vostra creatività e del vostro calore nel capoluogo abruzzese!

Autori per il Giappone”, è un sito nato per iniziativa della scrittrice Lara Manni. Lo spunto nasce da iniziative simili prese in altri paesi, come per esempio in Inghilterra con il sito http://authorsforjapan.wordpress.com/.
L’idea alla base del progetto è di invitare autori affermati e non (ma anche illustratori o artisti di altro tipo) a postare un breve racconto (o altro) sul sito (o meglio ad invitarli ad inviare il testo secondo determinati parametri formali, così che possa essere messo on-line).
Il “patto” proposto ai lettori è di donare qualcosa, anche un semplice euro, in cambio della lettura di qualche racconto, anche breve: qualche minuto di piacevole lettura in cambio di una buona azione.
Ovviamente le donazioni per il Giappone vengono poi veicolate da un ente riconosciuto e capace di offrire ampie garanzie di serietà e affidabilità  quale è Save the Children, che infatti si è dimostrato ben lieto e disponibile a partecipare all’iniziativa.
Si può leggere infatti sul sito qualche riga inviata proprio dall’associazione a conferma del “interesse e sostegno al progetto online “Autori per il Giappone”, nato per volontà di Lara allo scopo di sostenere le attività benefiche dedicate ai bambini e alle famiglie giapponesi colpite dalla recente catastrofe”.
Hanno aderito molti scrittori già conosciuti presso il grande pubblico e altri noti magari solo in rete, fino a tantissimi dilettanti che hanno colto l’occasione per divertirsi a scrivere qualcosa, vedendo magari di raccogliere qualche consenso o consiglio, e riuscendo allo stesso tempo a scrivere per uno scopo pratico e socialmente utile.
Le considerazioni che si possono fare su un’iniziativa del genere sono diverse e tutte sicuramente positive. In primis come un’idea semplice, sensata e propositiva possa attecchire e trovare riscontri immediati e numerosi da interlocutori anche molto diversi tra loro.
Seconda osservazione è come quello proposto ai lettori del sito sia uno scambio decisamente vantaggioso: in cambio di 10 o 15 minuti passati a leggere racconti, estratti o interessanti spunti viene data la possibilità di compiere una buona azione.
Ultima, ma non meno importante, è la considerazione su come tra le pieghe della rete, spesso vituperata, attaccata e dipinta come una finestra pericolosa su un mondo fuori controllo, sia nata un’iniziativa socialmente utile, spontaneamente umanitaria e culturalmente stimolante.

Si rimane stupiti, a volte, constatando che nonostante i progressi tecnologici e le ultime innovazioni, è la natura, sempre e solo la natura, ad avere la meglio. Forti e impietose, le stragi naturali stressano l’individuo ponendolo di fronte alla triste evidenza che tutto può finire e tutto può cambiare. Succede al Giappone in queste ore su cui tanto si è detto e tanto si è discusso. Le questioni sollevate da più parti hanno riguardato e riguardano ancora la forza del terremoto, tale da generare uno tsunami di dimensioni colossali e, ora più che mai, un disastro nucleare che muterà radicalmente la geografia e gli equilibri interni del paese nipponico.
50 volontari sono in queste ore impegnati nella tragica impresa di ripristinare una temperatura accettabile all’interno dei reattori nucleari di Fukushima le cui esplosioni, provocate dall’innalzamento della temperatura interna e dalle lesioni al nocciolo della struttura, producono fuoriuscite di radiazioni nucleari pericolose per la salute.

Migliaia di giapponesi sono ora in fila per evacuare le zone a rischio. Verranno trasportati altrove, al riparo dalla nube tossica che le piogge di queste ore stanno violentemente portando a terra con danni potenziali ancora maggiori: se le particelle radioattive presenti nell’atmosfera dovessero raggiungere il suolo, infatti, la contaminazione sarebbe totale. Gli impianti idrici e le falde acquifere non potrebbero più essere utilizzate e l’agricoltura dovrebbe cessare immediatamente la sua produzione per evitare di contagiare persone anche fuori dal raggio infetto. Nel frattempo, l’economia trema, la Borsa di Tokyo, dopo due giorni di picchiata, ha ripreso lentamente la sua attività, facendo registrare un incremento di circa 6 punti percentuali. Ma le industrie sono ferme, il mercato tecnologico, che è quello che riguarda il maggior numero di esportazioni, bloccato. Il turismo, anch’esso, completamente paralizzato con danni che si fanno sentire non solo in loco con l’impossibilità di accogliere turisti stranieri, ma in tutto il mondo, dato che il turismo giapponese è quello che da solo fa registrare un numero di presenze elevatissimo in numerosi paesi occidentali. Anche l’Italia, si è detta preoccupata delle ripercussioni che questo blocco turistico potrebbe avere nel medio-lungo termine: “perdere una componente di traffico comunque significativa in entrata e in uscita, ha spiegato Roberto Corbella, presidente di Astoi, compreso il turismo di affari, interrompere questo per qualche mese, comporterebbe dei danni molto significativi”.

Ma ciò che scuote maggiormente gli animi, non solo giapponesi ma di tutto il mondo, è appunto la catastrofe nucleare che riporta alla memoria la tragica vicenda di Cernobyl con le sue pericolose conseguenze. L’UE, che si è detta pronta ad una riflessione approfondita sul tema, ha ordinato degli stress test per tutte le centrali nucleari su territorio europeo mentre il primo ministro tedesco, Angela Merkel, ha provveduto a far cessare l’attività nucleare nelle centrali più vecchie, quelle di prima generazione. E l’Italia, che nel febbraio 2009, ha stipulato con la Francia il “Protocollo di accordo sulla materia di cooperazione nel settore dell’energia nucleare” affinché ENEL e EDF (Electricitè de France) collaborino alla costruzione di impianti nucleari di quarta generazione, ora si spacca in due. Gli italiani, infatti, che nel referendum 1987, ancora scossi dal disastro di Cernobyl che si era verificato nell’aprile dell’anno precedente, votarono contro l’energia dell’atomo favorendo la denuclearizzazione di molti comuni, avevano con il tempo maturato più confidenza con il settore, aprendo anche a possibili ripensamenti.
Ma ora la questione fa di nuovo discutere: ravvivata la memoria del disastro, gli italiani, in alcuni dei sondaggi più recenti, si mostrano restii all’utilizzo del nucleare pur consapevoli che le centrali esistono oggi in gran parte dei paesi più ricchi. La sfiducia nelle istituzioni italiane ritenute non idonee alla gestione di un settore così ad alto rischio, unita alla cosiddetta sindrome Nimby di coloro che, anche se favorevoli al nucleare non lo vorrebbero certo vicino casa propria, mantengono alto il dibattito in vista anche del prossimo referendum del 12 e 13 giugno a cui, oltre alla privatizzazione dell’acqua e alla riforma costituzionale della Giustizia, saremo chiamati ad esprimere il nostro consenso alla costruzione, entro il 2020, di centrali nucleari su suolo italiano.

Un Paese ricco di sole, di acqua, di vento, di moto ondoso, potrebbe sicuramente investire nelle energie rinnovabili, disincentivate oggi nonostante i riscontri positivi ottenuti finora: oltre 14 miliardi di euro movimentati negli ultimi anni, l’1% del Pil, lavoro concreto per decine di migliaia di ragazzi e ragazze in tutta Italia, oltre il 20% di energia elettrica prodotta con le rinnovabili, sono le cifre citate da Domenico Belli, responsabile campagna Energia e Clima. Numeri che di certo non favoriscono gli affari delle grandi lobby energetiche ma che ci inducono a pensare che un maggiore sfruttamento delle energie rinnovabili è possibile. Abbiamo dunque davvero bisogno del nucleare o forzatamente dovremmo allinearci alle scelte fatte dai maggiori paesi occidentali? Angelo Panebianco in un riflessivo editoriale sul Corriere della Sera di oggi sostiene ad esempio come la dipendenza fossile da paesi altamente instabili politicamente, caratterizzati da regimi totalitari incontrollabili e ingestibili, sia forse più dannosa del nucleare. Cosa accadrebbe, si chiede, se dovesse scoppiare una guerra in Medio Oriente rendendo indisponibile gran parte del petrolio importato? Siamo intrappolati in una morsa dunque: il rischio zero non esiste ed è paradossale dover in qualche modo scegliere se “morire indipendenti” o “farsi uccidere dai nemici”.
La terza via, quella ecologica, non sembra piacere a tanti. Forse perché non sarebbe solo lo Stato ad essere indipendente da altri paesi, ma anche gli stessi cittadini indipendenti dallo Stato. Situazione altamente scongiurata: lo Stato, si sa, è come il medico che cura il paziente ed in fondo, non può mica farlo guarire del tutto…

“Ho visitato in questi giorni L’Aquila, da un punto di vista medico sanitario. Il lavoro della Protezione Civile è stato eccellente, tornerò ad Haiti con un modello da seguire”.
A parlare è Vincent Virgo, urbanista ed architetto che collabora da sei anni con Médecins Sans Frontières, il quale però subito aggiunge: “Solo da un punto di vista medico, perché per il resto L’Aquila appare a diciotto mesi dal terremoto come una biennale internazionale e purtroppo permanente del container, il che agli occhi di un urbanista rappresenta davvero una sconfitta”.
Incontriamo l’architetto belga Vicent Virgo, responsabile dell’apertura degli ospedali di Médecins Sans Frontières ad Haiti, durante il convegno “Città e catastrofe: spazi e sensi della distruzione e della ricostruzione”, promosso a Bologna nell’ambito del SAIE 2010 dall’associazione MoMaBo e da Altotasso, in collaborazione con TRAME – Centro di studi interdisciplinari su memorie e traumi culturali dell’Università di Bologna e CUBE – Centro universitario bolognese di etnosemiotica.
La storia di cui Vincent Virgo è testimone inizia poche ore dopo le 16:53 del 12 gennaio 2010, quando l’isola di Haiti è colpita da un terremoto di magnitudo 7,3 sulla scala Richter. La capitale Port-au-Prince viene distrutta per il 90%, con un’incidenza di distruzione superiore al 60%, il che in termini tecnici equivale a dire che tutte le fondamenta degli edifici sono state compresse e che la città deve essere ricostruita integralmente. La maggioranza delle vittime è composta da donne e bambini, che a quell’ora si trovavano prevalentemente nelle case, mentre gli uomini tornavano dal lavoro.
“Sull’isola la logistica – continua l’architetto Vicent Virgo – è stata particolarmente difficile, perché non esistevano più le strade, in tempi rapidi siamo stati comunque capaci di allestire un ospedale gonfiabile di duemilacinquecento metri quadrati, a cui in un secondo tempo abbiamo sostituito un ospedale prefabbricato.  Siamo intervenuti successivamente per contrastare la diffusione del colera e attualmente abbiamo otto centri per la cura delle malattie infettive dentro e fuori Port-au-Prince e nella regione di Artibonite”.

La missione umanitaria di Médecins Sans Frontières andrà oltre l’emergenza?
In ogni emergenza umanitaria c’è un tempo dell’emergenza ed un tempo della ricostruzione e il nostro compito dovrebbe finire quando inizia la ricostruzione. Siamo stati invece costretti ad avviare la costruzione di un ospedale in muratura, perché ci sarà bisogno della nostra presenza operativa ad Haiti per almeno trent’anni. La situazione è ancora drammatica, con il terremoto sono crollati anche tutti gli edifici pubblici. Non ci sono più uffici statali a cui rivolgersi, non esiste anagrafe né catasto, le persone non intendono spostarsi dalle macerie perché temono di perdere il loro diritto alla proprietà e in questa situazione di completo caos è impossibile pensare ad una ricostruzione a breve termine.

Nell’aiuto alla popolazione Médecins Sans Frontières ha svolto un ruolo umanitario non solo dal punto di vista medico?
Nonostante lo scopo della nostra organizzazione sia prettamente di assistenza medica, Médecins Sans Frontières ha donato alla popolazione di Haiti circa quarantamila tende, insieme a cibo ed acqua, portando sull’isola navi cariche di viveri. Ha riattivato alcune fabbriche per la costruzione di servizi igienici, messi a disposizione della popolazione.

Come Médecins Sans Frontières, anche le altre organizzazioni umanitarie hanno svolto un ruolo fondamentale?
Un contributo importante è venuto da tutte le organizzazioni giunte sull’isola, come anche dalla Protezione Civile. Ho visto con i miei occhi gli italiani alzarsi prima di tutti gli altri, lavare all’alba i mezzi e a tarda sera tornare con quegli stessi mezzi irriconoscibili per quanto erano ricoperti di polvere.

Il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, giunto ad Haiti aveva messo in discussione l’operato degli Stati Uniti e la mancanza di un vero coordinamento, salvo poi doversi scusare e smorzare i toni della polemica. La tua opinione?
Mi sento personalmente di condividere le critiche di Bertolaso, il governo degli Stati Uniti ha inviato ad Haiti una grande nave ospedale, finito lo show mediatico ha lasciato gli ormeggi e non l’abbiamo più vista.

Da urbanista cosa pensi sulla ricostruzione di Haiti?
Prima del terremoto la maggior parte degli edifici era stata costruita senza le più elementari regole anti-sismiche e senza considerare minimamente l’ambiente climatico circostante.  Un  elemento che nessuno ha sottolineato è la forte presenza della salsedine nell’aria, che s’infiltra nel cemento e va a corrodere il ferro, compromettendone la resistenza. Questo è un elemento importante che ha portato al crollo degli edifici, del quale indubbiamente si dovrà tenere in conto durante la ricostruzione. Così come si dovrà tenere conto dell’atmosfera tropicale, calda ed umida, di una temperatura media annua vicina ai 28°, della stagione delle piogge e degli uragani, che peraltro è ormai imminente e ci fa temere ancora una volta per la popolazione di Haiti, che vive ancora nelle tende. Per questo i nuovi edifici dovranno prevedere appartamenti che siano rialzati rispetto al terreno, una copertura aggiuntiva che protegga dal sole e dalle piogge, insieme a soluzioni che permettano un’ottima areazione degli ambienti, costruiti nel rispetto di una normativa anti-sismica.

L’organizzazione per cui lavora, Médecins Sans Frontières, premio Nobel per la pace nel 1999, solo nei primi dieci mesi di quest’anno è stata impegnata in undici diverse emergenze sanitarie nel mondo.
Nel congedarsi, Vincent vuole replicare a quanti definiscono il terremoto come un  lungo assordante silenzio. Nella sua esperienza di operatore umanitario, il terremoto si è presentato al contrario come un assordante frastuono di urla, dolore e disperazione, che lo ha raggiunto tutte le notti, anche dopo settimane dal suo ritorno. Un dolore impossibile da dimenticare.