Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
Partita IVA 03068171200 | Codice Fiscale/Numero iscrizione registro imprese di Roma 03068171200
CCIAA R.E.A. RM - 1367791 | Capitale sociale: €10.000 i.v.
Alcuni giorni fa, il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ( MiBACT) Massimo Bray ha presentato ufficialmente la relazione elaborata per il suo rilancio da una commissione di esperti, presieduta da Marco D’Alberti, docente e studioso di Diritto Amministrativo comparato, nonché autore di uno studio dedicato a “Poteri pubblici, mercati, globalizzazione”(2008).
La crisi che ha investito “il modello italiano” dei beni culturali è ammessa e descritta in un capitolo dal titolo eloquente “Gli annosi ritardi funzionali e strutturali del Ministero”, inserito nell’impegnativo e corposo lavoro. Dopo ben quattro riforme, “i problemi che da decenni affliggono l’amministrazione dei beni culturali non hanno ancora trovato adeguata risposta, nonostante i molti i studi e rapporti, pubblicati anche da diversi organi di controllo (quali la Corte dei conti e la Ragioneria Generale dello Stato), che hanno evidenziato le numerose disfunzioni di cui soffre il Ministero. E queste sono le sovrapposizioni di competenze, le troppe linee di comando, la cattiva distribuzione del personale, in una cornice di cronica scarsità di risorse che preclude anche le possibilità d’innovazione”.
Sembra che Massimo Bray voglia invertire la rotta, affidando ancora una volta il rilancio dei beni culturali e del turismo al binomio “cultura e organizzazione giuridica”, anche se non è più l’insieme delle leggi Bottai a sostenerlo. Quest’impostazione in passato, ha avuto il suo elemento vincente nella ricerca e nel restauro, malgrado la cronica scarsità di risorse che ha afflitto il Ministero, sin dalla sua istituzione. La globalizzazione dei rapporti mondiali unitamente alla crisi finanziaria, che costringe a ridurre sempre più le risorse che lo Stato mette a disposizione, potevano essere un’occasione per riconsiderare questa visione, se, con maggiore coraggio, si fosse voluto compiere quel salto di qualità che alcuni settori del mondo della cultura auspicavano.
L’avere posto l’accento sugli aspetti organizzativi ha avuto come conseguenza il lasciar emergere una certa ansia di posizionamento nel dibattito in corso su federalismo, centralismo e conseguenze negative in termini di burocrazia, che ha investito il nostro paese, e che ha indotto gli esperti di Bray ad un’enfasi nel sottolineare la funzione del “centro”, sede dei tradizionali compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo, individuati quali onore/onere della struttura romana del MiBACT, composta da otto di Direzioni Generali, mentre la periferia del sistema è relegata a un ruolo residuale di gestione economico-amministrativa (le Direzioni Regionali), e soprattutto scientifico (le Soprintendenze), senza controllo su istituti e musei (almeno i maggiori) per i quali è prevista un’autonomia gestionale (orari di apertura e prezzo dei biglietti).
Si comprende che la riforma si gioca ancora una volta sul restyling delle Direzioni Generali compiuto tenendo conto della spending review che ha imposto la loro riduzione, nell’insieme, da 29 a 24, costringendo ad una operazione contabile di sottrazione di posti dirigenziali da una parte e di collocamento altrove, in modo che “il saldo finale” rimanga invariato. Così nonostante si sottolinei la necessità di ridurre le Direzioni Generali (spesso con sovrapposizioni di competenze), è possibile ipotizzare la creazione di una Direzione del Patrimonio e del Paesaggio che assorbirebbe le funzioni svolte dall’attuale direzione per la Valorizzazione, voluta dal governo Berlusconi nel 2009; si suggerisce la creazione di due o forse tre “direzioni centrali” con funzioni “orizzontali”: una Direzione per l’innovazione ed i sistemi informativi, una per il personale, una per il bilancio (con particolare cura- si noti- “a processi contrattuali centralizzati”). Le novità potrebbero essere la Direzione per il Patrimonio Culturale (una DG soltanto, “seppur non unanimemente condivisa” sul modello dell’Ufficio centrale degli anni’90, al posto delle due attuali per recuperare un posto dirigenziale), quella per gli Istituti Culturali (biblioteche, archivi, musei), una sola per lo Spettacolo (accorpando quindi cinema e spettacolo dal vivo), una ovviamente per il Turismo ed infine una di staff del Ministro (che curerebbe anche la pianificazione, proposta che ci fa comprendere il ridimensionamento della figura del Segretario Generale). Ugualmente rivoluzionario, seppur tardivo il connubio –riconosciuto come necessario- con settore del Turismo, anche se in attesa dell’annunciato Decreto Turismo, è presentato al momento, come una sommatoria di criticità.
Quanto sopra è un insieme d’innovazioni che hanno una rilevanza soprattutto all’interno del MiBACT, perché riguardano aspetti organizzativi relativi al proprio personale dirigenziale e non, anche se fondamentali per capire quale sia il reale interlocutore preposto a ogni singolo problema. Ma se si vuole approfondire il rapporto fra il MiBACT e il mondo che gli ruota intorno e che attende di conoscere nuovi progetti e programmi, scorrendo le pagine del documento, si nota l’ assenza di una definizione di cultura, che non sia una mera sommatoria di beni. Lacuna non da poco! Se ci fosse stata, si sarebbe potuto prendere atto che la cultura nell’Occidente globalizzato è un “bene di consumo” e che l’uso delle tecnologie digitali fanno sì che l’Europa (ma non più l’Italia) sia una delle mete preferite del turismo globale e che i settori del Made in Italy che si stanno salvando dalla crisi epocale che ha investito il nostro paese sono quelli, che accettando questa visione, si sono profondamente svecchiati e rinnovati, facendo leva sulla creatività. Il consumo culturale nei paesi più avanzati, sta operando una trasmissione di valori attraverso “attività innovative”, facendo percepire che anche la tutela “sacrosanta” passa attraverso valorizzazione e comunicazione e che la cultura può essere gradevole e garantire degli introiti, senza rimanere impantanati nel pregiudizio che tutte le attività imprenditoriali siano losche o con poca valenza sociale e che solo lo Stato possa garantire la mission di tutela.
Fra le proposte più interessanti, c’è sicuramente quella che suggerisce di assegnare a cooperative di giovani (battezzate un po’ infelicemente “cooperative della conoscenza”!) la gestione di biblioteche , archivi e musei, che, purché non si riduca “more italico” in un carrozzone per assunzioni clientelari nascoste, costituisce un riconoscimento di un mondo che va oltre la gestione esclusivamente pubblica, e che opera per la fruizione e la conoscenza del patrimonio storico artistico.
Da leggere con attenzione anche la parte dedicata alle procedure di assegnazione dei lavori, giacché volta a tutelare una serie d’imprese artigianali che rischiano l’esclusione dal mercato, nel caso di gare con importo “sopra soglia”. Senza dubbio l’esempio della vicina Francia con il “Code des marchés publics” sulla falsariga delle direttive comunitarie, offre un’idea di lodevole chiarezza e forse un modello da perseguire. Quanto all’organizzazione di mostre, la problematica va individuata non tanto nella controversia annosa che contrappone il settore pubblico a quello privato, in merito alla loro ideazione, ma in una corretta programmazione pluriennale, che eviti il proliferare di iniziative inutili, volte a soddisfare ambizioni di amministratori locali, di funzionari o di privati e che inserisca invece l’attività di mostre (che siano comprensibili e apprezzate dal pubblico), nell’offerta turistica di Comuni e Regioni.
La conclusione è che urge una visione che inserisca i temi più scottanti quali il finanziamento, gli organici, la semplificazione delle procedure in un quadro ben più ampio di necessaria riforma della Pubblica Amministrazione – dato che quella italiana è una delle più antiquate d’Europa- da compiere organicamente, anche per rimediare alle opacità, che sono sistematicamente messe in risalto dai media, espressione dell’opinione pubblica. Molti dei problemi lamentati possono essere risolti operando una modernizzazione profonda che utilizzi appieno tutti gli strumenti a disposizione per velocizzare e rendere trasparenti e imparziali le procedure, per approdare a un sistema in cui, i “servizi resi ai cittadini” siano realmente il punto di riferimento, allo scopo di offrire al pubblico un’offerta qualitativamente differenziata, prescindendo dalla difesa di posizioni di lavoro privilegiate.
La commissione riconosce anche che i servizi per il pubblico “ hanno bisogno di una nuova sostenibilità, rispetto ad una domanda profondamente mutata” e necessitano di essere inseriti all’interno di un “progetto di rilancio del sistema dei beni culturali, dei musei , dei complessi archeologici”, con cambiamenti radicali organizzativi delle Soprintendenze, che nel loro insieme –per difficoltà interne- spesso manifestano lentezze nella loro attività”. Forse il rimedio non può essere visto solo in una loro auspicabile maggiore autonomia. Se non viene compiuto un radicale cambiamento di mentalità, che investa tutti i settori del Paese, semplificando una burocrazia che è una sommatoria di funzioni regionali, provinciali, comunali e prerogative dello Stato, non sarà possibile convertirsi all’idea che la cultura è una risorsa importante che non prevede monopoli.
Anna Maria Reggiani è Direttore Generale Emerito presso Ministero Beni e Attività Culturali
Il BTO – Buy Tourism Online è l’evento dedicato al turismo innovativo che si terrà a Firenze il prossimo 3 e 4 dicembre alla Fortezza da Basso. Vero appuntamento da non perdere per i professionisti del settore, propone quest’anno tante interessanti novità. Non mancherà Alberto Peruzzini, dirigente del settore turismo di Toscana Promozione, cui abbiamo avuto modo di rivolgere qualche domanda.
Dottor Peruzzini, sta per aprirsi una nuova edizione del BTO a Firenze in cui si parlerà nuovamente di turismo e delle sue prospettive per il futuro. Cosa è cambiato, ad esempio in Toscana rispetto all’anno scorso in termini turistici?
Continua l’incremento degli stranieri sia dai mercati storici della Toscana che da nuovi mercati. Aumentano i russi che scoprono nuove zone della Toscana, tornano i giapponesi e aumentano i cinesi con un turismo legato alle città d’arte. Il nord Europa conferma l’attenzione per la campagna toscana e cerca nuove idee e motivi di viaggio in Toscana. Muovono i primi passi nuovi paesi emergenti del turismo come India e Corea del sud.
I paesi BRIC si sono avvicinati alla nostra penisola, e soprattutto in Toscana. Come spiega questo fenomeno?
La notorietà delle città d’arte come Firenze, Roma, Venezia è un fenomeno planetario che pone l’Italia tra le mete imperdibili per chi vuole viaggiare in Europa. L’Italian style offre quella marcia in più al nostro Paese per essere méta e motivazione ulteriore di viaggio, soprattutto per chi oltre o in alternativa all’arte sceglie in base ad altri desiderata quali l’enogastronomia, lo shopping, il paesaggio o il fatto di visitare luoghi resi cool grazie a ambientazioni di film, la frequentazione di vip, la presenza di brand famosi.
La Toscana vive un posizionamento particolarmente fortunato grazie a molti di questi fattori tra cui ovviamente la moda e i molti marchi di prodotto top level che esprimono nel loro nome un richiamo al territorio, produzioni cinematografiche e letterarie di grande successo (da Under the Tuscan sun alla saga di Twilight fino a Inferno di Dan Brown), vip che si rifugiano in Toscana.
E una attività promozionale nei Paesi BRIC attenta, in passato, a valorizzare e diffondere questi contenuti, prima ancora che vendere i pacchetti, ha permesso oggi di avere un posizionamento di appeal e diversificato che facilita notevolmente la richiesta da parte della domanda.
Come giudica le attività di promozione turistica delle regioni italiane? Quali sono le principali criticità in questo ambito a suo avviso e come possiamo migliorare?
La strada è quella di targettizzare; sia la domanda che l’offerta. Oggi le motivazioni di viaggio sono molto differenti, soprattutto se si pensa ai Paesi emergenti e alle nuove generazioni. Non solo contenuti però ma anche modalità di informare e di presentare l’offerta. Capire gli interessi del target e saper interpretare le motivazioni di viaggio permetterebbe di dare la giusta chiave di lettura del proprio territorio e reinterpretare la propria offerta. Ciò darà la possibilità di promuovere il giusto pacchetto ad un target mirato.
Pensiamo positivo: quali sono invece le potenzialità esclusive del nostro territorio?
Prima di tutto abbiamo un vantaggio di posizione, ovvero un brand molto forte. Secondo punto un territorio indissolubilmente legato ad alcuni valori di eccellenza (style, cultura, moda, paesaggio e natura, enogastronomia, mare..) tanto ricco da poter soddisfare gran parte delle motivazioni di viaggio. Terzo una offerta così differenziata su un territorio piuttosto raccolto e raggiungibile. Come detto prima il lavoro più importante e declinare tutto questo, uscendo da macro prodotti per proporre un’offerta dalla forte personalità.
Al BTO si parlerà di promozione turistica. Quali sono le nuove frontiere che si aprono grazie al turismo online (sharing economy, community online ecc…)
Si rafforza l’uso del web sul mercato italiano mentre è uno strumento ormai imprescindibile per gli stranieri sia per la raccolta di informazioni turistiche che per la ricerca di eventi, ricettività, etc…
Per sviluppare al meglio il turismo online anche in Italia è necessario chiedere al mondo delle imprese uno sforzo ulteriore nel creare innovazione nelle formule, nelle idee, nelle modalità e nelle proposte di viaggio.
Rafael Benitez, allenatore di calcio, spagnolo ma con lunghe frequentazioni britanniche (avendo allenato in Inghilterra per molti anni), tanto da produrre contaminazione culturale, sembra che in questo momento sia il miglior “testimonial” della cultura e dei beni culturali di Napoli e della Campania.
Rafael, detto Rafa, divenuto dopo poche ore dal suo arrivo a Napoli Rafè (trasformato ormai in Don Rafè), ha infatti già fatto visita ad alcune delle più grandi miniere d’oro e cultura campane, come il Teatro San Carlo, gli Scavi di Pompei, il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Caserta e la Cappella Sansevero, sottolineando al termine di ogni visita lo stupore per la bellezza riscontrata in luoghi, d’arte e storia, unici al mondo.
Il Gran Tour di Benitez, come è stato definito, è scaturito dalle segnalazioni arrivate dai tifosi del Napoli (e non) attraverso il suo sito ufficiale, sollecitati dallo stesso allenatore, poco dopo la firma sul contratto che lo avrebbe legato alla squadra ed alla città, a proporre un elenco dei posti più belli da visitare di Napoli e della Campania.
L’appello che è stato accolto immediatamente con gran piacere, ha trasformato i tifosi in “esperti culturali” che hanno sollecitato il loro beniamino a visitare i più bei luoghi d’arte campani. Sono piovute le raccomandazioni per mister Rafa: dalla Cappella di Sansevero agli Scavi di Pompei ed Ercolano, da Spaccanapoli al Teatro San Carlo, dalla Reggia di Caserta a Marechiaro.
E così Don Rafè non ha potuto sottrarsi alla voglia di conosce a fondo il territorio straordinario che lo ospita e, sorprendentemente, non si è limitato a visitarli “quei luoghi” e ad apprezzarne la magnificenza, ma si è trasformato in “portavoce” e “promotore” della bellezza di Napoli e della Campania e lungimirante “manager della cultura” con puntualizzazioni sulle strategie di valorizzazione.
Dopo le prime visite ecco, infatti, che una sua affermazione arriva subito in testa ai giornali ed alle discussioni sui social: “La Campania è bellissima, ma il marketing non è all’altezza. […] Luoghi come Palazzo Reale, il Cristo Velato in un altro paese, con un altro tipo di marketing sarebbero sicuramente venduti di più. Penso a Pompei, che è un luogo bellissimo ma si può vendere meglio e questo porterebbe anche lavoro e soldi al territorio”. Il risalto è stato tale da coinvolgere anche l’assessore alla cultura ed al turismo della Regione Campania, Pasquale Sommese, che cita Benitez come un ottimo “ambasciatore” e lo ringrazia per il suggerimento.
Ogni nuovo apporto di pensiero, ogni nuovo stimolo e ogni nuova opportunità per contribuire al rilancio e alla promozione del grande patrimonio culturale italiano – e campano – ben vengano!
Rafa Benitez, che ad ogni occasione utile cita la cultura e la passione per Napoli, intesa oltre la squadra di calcio, ha conquistato tante simpatie ed ha prodotto una ampia e positiva attenzione per i problemi legati alla valorizzazione dei luoghi d’arte, coinvolgendo, attirandone l’attenzione, Istituzioni, addetti ai lavori e cittadini (e tifosi!) che vivono tutti i giorni la città di Napoli ed i luoghi che la circondano, non accorgendosi – molto spesso – di tutta la bellezza che c’è intorno.
Un signore distinto e sorridente che arriva dalla Spagna (terra a cui la Campania è da sempre e storicamente particolarmente legata), che di mestiere fa l’allenatore di calcio, ha “aperto gli occhi” a molte persone provocando un grande richiamo con le sue visite, le foto e le affermazioni sui più straordinari siti d’arte della Campania. Aspettando le prossime visite, grazie a Don Rafè!
Grazie al web, moltissime sono le iniziative che permettono a lettori, scrittori, appassionati di arte cultura e letteratura di tutto il mondo di incontrarsi e conoscersi; ora anche i Comuni fanno Reti per dare vita a idee e percorsi creativi volti a valorizzare il loro territorio e i loro illustri antenati.
A Certaldo, piccolo ameno paesino della provincia di Firenze in Toscana, lunedì 21 ottobre è stata presentata in maniera solenne l’iniziativa del “Progetto Europeo Città dei Grandi Letterati”.
Alle ore 9.30, nel Palazzo Pretori a Certaldo Alto, si è illustrato il progetto che coinvolge diverse città gemellate, accomunate dalla prestigiosa peculiarità di aver dato i natali a grandi insigni letterati: Certaldo stesso patria di Giovanni Boccaccio; Canterbury (UK) di Geoffrey Chaucer, autore dello storico ‘Canterbury Tales’; Chinon, piccola cittadella sulla Loira, culla dell’umanista Francois Rabelais, celebre per Pantagruel e Gargantua; Neuruppin, in Germania, casa natale di Theodore Fontane, di cui tutti conosciamo la raccolta di favole.
Situato al centro della Valdelsa, Certaldo con i suoi 15.791 abitanti si è sbizzarrito per valorizzare il proprio territorio stringendo ormai da 50 anni forti legami di amicizia e di scambio con diversi comuni gemellati, dall’Europa al Giappone. Quest’anno, per festeggiare in modo speciale i 700 anni dalla nascita di Giovanni Boccaccio, il calendario di iniziative si è presentato assai ricco e ben organizzato.
Tantissimi eventi si sono susseguiti fin dall’inizio di quest’estate, come istallazioni, mostre itineranti, letture spettacolo, convegni e concerti che hanno coinvolto molte personalità ed artisti di rilievo; oltre a festival, seminari, iniziative, premi e concorsi che hanno contribuito ad avvicinare il giovane pubblico.
Numerosi turisti locali e stranieri hanno avuto occasione di partecipare agli ‘Itinerari culturali’ ideati per valorizzare il paesaggio storico, letterario e artistico di circa trenta Comuni toscani di tutte le province, attraverso i luoghi del Decameron: quattro percorsi nella Toscana del Trecento, passando per piccoli paesi, città importanti, colline, fiumi, boschi e montagne, guidati dalle novelle di Boccaccio.
Proprio in questi ultimi giorni, da venerdì 18 ottobre a martedì 22, nel centro storico si sono festeggiati i tradizionali gemellaggi con degustazioni di prodotti tipici tedeschi e menù cucinati dall’Accademia dei Cuochi di Neuruppin (Germania), l’apertura della mostra omaggio degli artisti stranieri a Giovanni Boccaccio con opere di pittura, grafica, scultura e si è concluso martedì con l’inaugurazione degli alberi dedicati a Kanramachi, paese gemellato del Giappone.
Con il “Progetto europeo Città dei grandi letterati”, questa rete di entusiasti Comuni propositivi si vuole impegnare ad unire forze ed idee creative per studiare possibili itinerari turistici al fine di valorizzare le opere dei loro illustri letterati attraverso percorsi, mostre, spettacoli e altre iniziative da pensare insieme.
Ed è il Web lo strumento fondamentale per la gestione e realizzazione di queste reti, grazie al quale è possibile stringere contatti e creare iniziative che coinvolgono diversi angoli del globo; rimane il problema della modalità di utilizzo dei network, in modo che siano capaci di garantire sempre qualità ed efficienza anche e soprattutto dal punto di vista culturale.
Nel grande mare magnum del web infatti sono centinaia le riviste culturali on-line, community e blog ma è di certo ben più raro incontrare piattaforme qualificate, dove celebri scrittori si aprono al grande pubblico per consigliare, invitare alla lettura e a un confronto critico, come è il caso di ClubDante, primo social network italiano dedicato alla cultura narrativa, strutturato in diverse sezioni tra cui l’Agorà, ossia l’area del forum, e l’angolo delle recensioni che ospitano nomi di scrittori importanti dall’Italia, la Spagna e paesi dell’America Latina quali Marcello Fois, Domenico Starnone, Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Paolo Giordano, Luis Sepùlveda, Paco Ignacio Taibo II e molti altri. O anche HALMA, rete letteraria pan-europea fondata nel 2006 dall’associazione Literary Colloquium Berlin che coinvolge una fitta rete di scrittori, traduttori ed editori perlopiù provenienti dall’est Europa, ma da poco conosciuta anche in Italia.
Nonostante la cosiddetta crisi, a livello locale sono per fortuna ancora tante le iniziative organizzate per conoscere e scambiarsi idee e progetti per valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico-culturale, oltre che incentivare la scoperta e la creatività delle nuove generazioni.
È importante però che non solo dal mondo di privati e associazioni ma anche da parte dei Comuni si stiano investendo molte risorse per organizzare tanti piccoli eventi culturali, di cui le “Notti della letteratura europea” e il “Festival dei blog letterari” sono esempi importanti di scelte che appaiono controcorrente rispetto al patetico adagio che si ostina a sostiene che con la cultura non si mangia.
Mettendosi insieme si può mangiare, e bene, come sembrano dimostrarci le numerose iniziative promosse dall’Associazioni e Reti di Comuni in Italia, dove Comuni uniti da identità culturali, sapori tipici, bellezze naturali, arte, storia, tradizioni o ideali, anche attraverso il web, fanno Rete per valorizzare e incentivare le proprie bellezze e potenzialità.
Intervista al Dott. Raffaele Parlangeli, delegato del Comune di Lecce per la candidatura della città a Capitale europea della Cultura 2019
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
Il territorio della città di Lecce, Provincia di Lecce, Comune di Brindisi e Provincia di Brindisi sono gli enti che insieme supportano la candidatura di Lecce a capitale europea della Cultura.
Ad oggi, dal punto di vista operativo, abbiamo ritenuto la proposta presentabile perché Lecce, città nel profondo sud affacciata sul Mediterraneo, insieme a Brindisi, crea una sinergia di porti e aeroporti capace di garantire concretamente servizi ottimali agli incoming futuri. Questa area ionico-salentina, che ha radici storiche, ci consente di presentarci come micro-macro territorio che può accogliere con porti e aeroporti i flussi esterni.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Il territorio in questo momento popone di sperimentare il ruolo dell’Europa dal basso riconsiderando una serie di modelli che sono poi le trame del nostro programma culturale. Sono modelli di riorganizzazione del territorio in funzione del cogliere le tematiche dell’industria culturale e creativa per ripensare il territorio che guadi così al futuro e all’Europa e che pensi a ciò che siamo e a quel che potremo essere.
Da qui lo slogan “Reinventare Eutopia” per proporre nuove idee e potenzialità basate su molteplici aspetti: c’è il nuovo modello di democrazia per condividere i nuovi programmi e progetti europei culturali, un diverso modo di coinvolgere il welfare e l’inclusione sociale, un ripensamento dell’educazione intesa come competenze rispettive nel campo della formazione, l’intento di risvegliare il potenziale umano giovane rispetto all’Europa, la volontà di creare opportunità e cooperazione rispetto a nuovi modelli di economia, il rispetto dell’ambiente e del territorio, ma anche la volontà di garantire la funzione di valorizzazione dei beni culturali non solo in termini statici, ma anche dinamici con le nuove tecnologie, l’avere infine una città smart che lo dimostri anche come capitale europea della cultura.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Più che mancanze si tratta di un’identità che abbiamo costruito rispetto a Lecce e Brindisi e, in questo momento la dimensione regionale, con la candidatura di Taranto, può forse porre delle incertezze, che non è da escludere si riveleranno magari opportunità nella fase successiva. L’altro limite è stato l’entusiasmo collettivo smorzato dalle tempistiche del bando: la pausa estiva ha in un certo senso raffreddato il coinvolgimento unanime su cui abbiamo puntato. Basando tutto il modello sulla partecipazione pubblica, con la raccolta delle varie istanze sociali, la stagione estiva ha distratto i cittadini che si sono concessi al nostro mare. In Bulgaria, ad esempio, la scadenza è stata stabilita ad ottobre e anche da noi tale tempistica avrebbe favorito maggiormente un riepilogo delle informazioni necessarie a preparare il dossier. Lavorare un po’ meglio con la Regione, ci avrebbe inoltre giovato di più.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
In questo momento abbiamo fatto una scelta molto forte che è stata quello di non prendersi con le infrastrutture montate in termini diretti rispetto ad infrastrutture già finanziate. Il parco progetti delle opere infrastrutturali già finanziate lo abbiamo riservato alla programmazione 2014-2020. La presentazione del nostro sistema di eventi, per un importo pari a 40 milioni di euro, si fonda su una proposta basata sul multilevel governance europeo: una quota nazionale, una cittadina, una regionale con i fondi europei e abbiamo creato un consorzio di privati che sostiene sin da ora il processo di candidatura. Tra loro molti sono imprenditori disposti ad investire nel progetto perché le ricadute possono essere importanti.
Il nostro modello è una nostra proposta culturale, che diventa proposta culturale strategica perché articolata in un programma scadenzato con una serie di progetti: ciò consente di utilizzare al meglio le risorse comunitarie provenienti dalla programmazione 2014-2020. Abbiamo già fatto richiesta affinché questo documento diventi un documento di programmazione strategica e possa interagire con tutti i livelli di governo, regionali, nazionali e comunitari.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
In questo momento c’è un grande entusiasmo perché questo progetto nasce dalle tante persone che hanno partecipato: 127 Comuni, circa 200 associazioni e ben 560 volontari, una piattaforma di capitale sociale umano difficile da disperdere. Come dicevamo, questo programma, qualsiasi sia l’esito della candidatura, può comunque essere convertito in un programma strategico 2014-2020, che di certo serve. Sicuramente la candidatura è un catalizzatore che può rappresentare un buon sistema per impiegare i fondi europei.
Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.
Che peccato! Avevamo un monumento e lo abbiamo distrutto! So bene che può apparire paradossale, ma avrei preferito che la Concordia restasse nelle acque dei Giglio.
Quel colosso bianco adagiato nelle acque azzurre era il più straordinario “relitto” del Mediterraneo e sarebbe senz’altro divenuto uno dei più importanti siti turistici del nostro Paese.
Le decine di migliaia di turisti e curiosi che per mesi hanno scrutato il maestoso relitto, attratti dal fascino lugubre della tragedia e dell’evento mediatico, in cerca di quella fastidiosa ma ipnotica aurea magica di morte, avevano già dato la misura della forza turistica del sito. Allo stesso modo i graffiti lasciati sullo scafo dai visitatori subacquei, apparsi quando la nave è stata raddrizzata, così come le numerose incursioni subacquee di cacciatori di souvenir, mostrano che di fatto, nel bene e nel male, la Concordia era già diventata un sito di turismo subacqueo. Non sarebbe stato scandaloso: la storia del turismo e dei siti archeologici è da sempre una storia di morte e voyeurismo. Danni ambientali? Non dobbiamo sempre credere alla retorica di chi ha altri interessi. D’altra parte in Italia le stesse Aree Marine Protette (anche nell’area dell’Arcipelago Toscano) sono essenzialmente luoghi turistici, in cui la dimensione del consumo turistico è essenziale, costitutiva e ineludibile.
Ed ora? Il pellegrinaggio al luogo della catastrofe e dell’italica idiozia (l’inchino, la Moldava, l’abbronzatissimo comandante…) ed ora anche dell’italica esagerazione (“un’operazione mai tentata prima”) ne faranno comunque un sito dal fascino discreto, con la complicità delle migliaia e migliaia di immagini che navigano nella rete e nel nostro immaginario. Ma anche questo sarà un turismo post-moderno: un luogo del “nulla” alla ricerca di qualcosa che c’era e ora non c’è più.
Marxiano Melotti insegna Turismo culturale e archeologico all’Università Niccolò Cusano di Roma
Sport ed economia: due mondi solo all’apparenza lontanissimi e che nascondono, in realtà, legami molto forti, soprattutto in termini turistici. Non a caso, più che di economia, bisognerebbe parlare di sviluppo del territorio, perché ogni grande evento sportivo di rilevanza internazionale è in grado di generare una ricaduta economica sul territorio. L’esempio recente delle Olimpiadi di Londra del 2012 lo ha dimostrato in pieno: a fronte di costi organizzativi spesso ingenti, la comunità che ospita l’evento sportivo può contare su un indotto molto elevato grazie al turismo, a patto che i servizi erogati siano all’altezza della situazione e siano in grado di rendere piacevole l’esperienza vissuta dagli appassionati.
A proposito di grandi eventi internazionali, l’Italia ha ospitato, poco più di una settimana fa, il Gran Premio di Formula 1, che si svolge da tempo a Monza. Il tracciato brianzolo è uno dei circuiti storici più importanti e apprezzati da chi vive il mondo dei motori, sia per il suo esclusivo layout a basso carico aerodinamico, sia per i leggendari piloti del passato che hanno corso su questa pista. In poche parole, impossibile non rimanere affascinati dall’atmosfera elettrizzante che si respira durante il week-end di gara.
Come ogni grande evento sportivo internazionale, anche il Gran Premio d’Italia a Monza è un attrattore turistico in grado di generare un elevato indotto economico sull’intero territorio milanese e brianzolo. Secondo gli ultimi dati rilasciati dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza, l’edizione 2013 del Gran Premio d’Italia è riuscita a generare, nell’arco di una sola settimana, un indotto diretto di 31,5 milioni di euro, il 2,5% in più rispetto all’edizione dell’anno precedente. Merito delle attività legate alla ricettività alberghiera (compresi campeggi, ostelli e appartamenti), stimate in 10,4 milioni di euro, e le attività direttamente connesse allo shopping, con 10,2 milioni di euro. Senza dimenticare il settore della ristorazione, in grado di generare sul territorio lombardo l’equivalente di 8,4 milioni di euro, e quello della mobilità (autobus, taxi e treni), con una stima di 2,4 milioni di euro.
E se albergatori, ristoratori e commercianti brianzoli possono contare su un indotto turistico stimato in poco più di 16 milioni di euro, anche l’area milanese deve ringraziare il Gran Premio d’Italia e i suoi ospiti, con una stima di poco più di 9 milioni e mezzo di euro. C’è anche chi sceglie di combinare la passione per lo sport a una breve vacanza all’insegna del verde e del relax, come è avvenuto nei territori di Como e Lecco, che pure riescono a generare un indotto rispettivamente di 3,4 milioni e circa 1 milione di euro.
Tutti questi dati, uniti alla stima della Camera di Commercio secondo cui il brand “Gran Premio d’Italia” varrebbe la bellezza di 3,8 miliardi di euro, dimostrano che l’evento brianzolo è un catalizzatore turistico di tutto rispetto, in grado di far respirare abbastanza l’economia lombarda. Fin qui i numeri, ma nella realtà come viene vissuto il Gran Premio d’Italia? E soprattutto, come viene organizzato? Su quest’ultima domanda, la risposta non può essere pienamente positiva. E chi lo ha vissuto in prima persona, come il sottoscritto, lo sa bene…
Partiamo dai trasporti, che sono il cuore nevralgico dell’organizzazione, considerando che la stragrande maggioranza degli appassionati si muove con i treni e gli autobus. Come ogni anno, anche stavolta gli organizzatori hanno previsto delle navette che dalla stazione di Monza portano all’interno dell’autodromo. Ma con una brutta sorpresa per gli appassionati: mentre in passato le navette erano gratuite, quest’anno è stato introdotto un ticket di 4 euro andata e ritorno per ogni giorno di utilizzo.
È buona norma che, a fronte del pagamento di un servizio che è sempre stato gratuito, questo venga erogato nel migliore dei modi. Ma in Italia, spesso e volentieri, le cose non vanno così e Monza non è da meno: navette strapiene, con lunghe file da parte dei tifosi ai capolinea, e spesso imbottigliate nel traffico (il venerdì delle prove libere non era prevista neanche una corsia preferenziale). Arrivate nel parco dell’autodromo, le navette fermano in un parcheggio distante circa 20-30 minuti a piedi dall’area del villaggio, dalla quale è possibile raggiungere buona parte delle tribune. Una passeggiata piacevole, immersa nel verde, ma per chi ha fretta di seguire le competizioni in pista diventa davvero un inferno. Paradossalmente, basta prendere un comune autobus di linea per arrivare all’ingresso Vedano, dal quale è possibile raggiungere in appena una decina di minuti l’area centrale del villaggio, spendendo, per giunta, 3 euro andata e ritorno.
Anche sui treni bisogna fare qualche appunto: possibile non prevedere treni speciali dalla stazione di Biassono – Lesmo, limitrofa a uno degli ingressi principali dell’autodromo, il venerdì e il sabato, costringendo così i tifosi ad aspettare un treno ogni ora? Una leggerezza che inevitabilmente ha portato lamentele e discussioni, soprattutto da parte dei turisti provenienti dall’estero. Situazione migliorata la domenica, giorno in cui sono stati previsti treni speciali dalla stazione di Milano Centrale a quelle di Monza e Biassono – Lesmo. Ma anche in questo caso con una sorpresa: se fino all’anno scorso questi treni speciali erano gratuiti, quest’anno è stato previsto un biglietto di 4 euro per l’andata e il ritorno. Secondo alcuni, questa soluzione si è resa necessaria per evitare che qualcuno se ne approfittasse del treno gratuito per farsi una gita a Monza. Ma se davvero fosse stato questo il problema, bastava semplicemente controllare sul binario chi avesse i biglietti per vedere il Gran Premio, evitando così un’ulteriore spesa ai tifosi.
I controlli, altro grande problema… Approssimativi il giovedì, quando gli appassionati in possesso dell’abbonamento per tutto il week-end (fino all’anno scorso bastava il solo biglietto del venerdì) hanno potuto prendere parte all’esclusivo walk-about, ovvero la passeggiata nella corsia dei box, per ammirare da vicino le proprie vetture preferite e i meccanici all’opera, a patto di riuscire a superare la tagliola degli spintoni da parte dei tifosi più incivili (dobbiamo sempre farci riconoscere!). Un walk-about travagliato, dove è regnato il caos anche per una semplice sessione di autografi, gestita in modo scandaloso e senza un’organizzazione specifica a monte. Persino i commissari di pista si sono trovati in difficoltà nel dare indicazioni precise in merito.
Parlavamo di controlli e viene da chiedersi dove sono stati durante tutto il week-end se in tantissimi hanno montato le tende a due passi dalla pista pur essendo vietato il campeggio all’interno dell’autodromo. E che dire dei tanti bagarini che hanno affollato gli ingressi principali dell’autodromo e i tantissimi truffatori che hanno cercato di spillare soldi ai più sprovveduti con il classico gioco della pallina da trovare sotto uno dei tre bussolotti?
Impossibile non rimanere infastiditi da tutte queste evidenze. E, del resto, basta dare uno sguardo alla pagina Facebook dell’autodromo per scoprire le diverse lamentele e i messaggi stizziti lasciati da tanti appassionati (anche stranieri) che, giustamente, dopo aver speso cifre ragguardevoli per vedere il Gran Premio, si aspettavano un quadro generale decisamente migliore. L’insoddisfazione genera un pericoloso passaparola negativo che, a lungo termine, può danneggiare non solo l’immagine di Monza, ma anche l’attrattività turistica del nostro Paese, che già ha subito duri colpi nel corso degli ultimi anni.
Riprendendo uno di questi commenti, i monzesi hanno tra le mani un patrimonio straordinario, ma ce la stanno mettendo tutta per perderlo. Si, perché se i progetti per fare un Gran Premio a Roma (su un tracciato cittadino) sono ormai tramontati da tempo, esiste sempre il “rischio” di spostare tutto a Imola, altro storico tracciato legato purtroppo a un evento nefasto (la morte di Senna), ma amato fortemente da piloti ed appassionati. La provocazione, a questo punto, è d’obbligo: perché non dare una chance a Imola e spingere Monza a una doverosa pausa di riflessione? Sarebbe un modo per valorizzare fortemente il territorio romagnolo, non solo dal punto di vista turistico e culturale, ma anche economico. E, cosa più importante, ne guadagnerebbe l’Italia intera di fronte a turisti ed appassionati: almeno non saremo costretti a vedere sventolare vergognose bandiere con il “Sole delle Alpi” in mondovisione sotto al podio.
Oggi, organizzare anche un piccolissimo evento diventa sempre più difficile da organizzare, eppure Luciano Vanni già un anno fa tra le pagine di facebook annunciava la sua grandiosa creazione: un “festivalone” in grande stile che, a livello di innovazione nulla ha da invidiare all’illustrissimo “Umbria Jazz”, anche se, l’impronta è completamente differente.
Parliamo di “Jazzit Fest”, evento che dal 5 all’8 settembre si terrà a Collescipoli, in provincia di Terni. Il periodo scelto, non solo contribuisce a destagionalizzare l’attrazione turistica, ma vive nell’interesse di non compromettere il percorso perugino promosso da oltre 40 anni dal più importante festival di jazz in Italia.
Proprio in provincia di Terni ebbe origine Umbria Jazz e sempre lì, lo stesso Luciano Vanni, più di un decennio fa, sfidò il suo destino fondando la casa editrice LVE con le sue rispettive riviste: “Jazzit” e “Il Turismo Culturale”. L’evoluzione di questo suo amore per la musica lo portò a confrontarsi con la regione Umbria (resa universale per il jazz) e con l’ambito dell’organizzazione degli eventi, dando origine prima a “Terniinjazz Fest” (2001-2007) e in seguito al “Gran Tour Fest” (2008-2009).
L’APPROCCIO
Agli occhi di tanti, l’organizzazione di un evento colossale da parte di un editore, lascerebbe un po’ a desiderare, ma a dirla tutta, quella degli imprenditori che navigano in prima linea nell’ambito della comunicazione e che di conseguenza ambiscono a sperimentare il panorama festivaliero, sembra diventare una considerevole realtà. Quasi certamente per uno che scrive di jazz e di turismo non sarà stato tanto difficile interagire con musicisti, critici, associazioni ed istituzioni di categoria, e proporre loro di intervenire in prima persona durante la propria manifestazione. L’abilità sta poi nell’essere imparziali, (anche se il tocco di criticità non deve mai mancare), spesso accondiscendenti e nel saper vedere oltre i personali interessi. Una buona dose di queste caratteristiche, assieme alla passione per il proprio lavoro e ai 3 anni di meditazione avranno complessivamente contribuito ad realizzare pienamente il progetto dell’editore e a renderlo così tanto innovativo. Innovativo per una lunga serie di motivi:
– QUANTITÀ
Immensa varietà della stessa proposta ideativa: 104 concerti (26 al giorno) con 450 jazzisti, 60 stand di operatori del settore nel primo reale expò di jazz italiano, “il meeting del jazz in Italia” (tra etichette discografiche, circoli, collettivi, festival, produttori di strumenti musicali, negozi di musica, etc), proiezioni cinematografiche, esposizioni di fotografia, e opere d’arte. La scelta dei repertori e degli stessi musicisti non dipende da nessun direttore artistico, tanto è vero che la figura dell’ideatore Vanni si avvale solo delle sue qualità di moderatore – coordinatore e, se vogliamo, di “project manager”.
– QUALITÀ
La parte più “seriosa”, probabilmente la più “studiata a tavolino” è dettata dalla scelta di far emergere del “nuovo” e dalla tipologia di workshop, conferenze, clinics, seminari musicali diretti da musicisti; corsi di musica, ear traning, laboratori in tema per i più piccoli; meeting ad incastro in versione no stop. Cosa che nessuno mai aveva pensato di fare dedicando in maniera esclusiva tutte le singole attività alla musica jazz.
– GESTIONE INNOVATIVA tra CROWDFUNDING, CO-WORKING e DIREZIONE ARTISTICA “OPERN SOURCE”
Realizzare un cartellone di questa portata esigerebbe di grossi costi se non fosse per il contributo singolare di tutte quelle realtà che per loro personale scelta hanno deciso di sentirsi partecipi all’organizzazione del Jazzit Fest. C ‘è chi, come la Vanni Editore offre il backline con supporto alle scuole di musica, chi mette a disposizione il proprio personale specializzato come le agenzie di management e i proprietari di jazz club. Lo staff del Fest si occuperà tra le tante cose di comunicazione, di booking in qualità di agenzia turistica, dell’intera logistica, mentre gli artisti sono giunti di spontanea volontà per esibirsi assolutamente senza alcun fine di lucro.
Chiaramente, il bisogno di disporre di una forza lavoro così professionale, di servizi importanti, tali da non condizionare la qualità e quantità dell’offerta cartellonistica, generano conseguentemente, da parte dell’ideatore-commitente, un atteggiamento tanto “elastico” e comprensivo da non voler pretendere necessariamente la partecipazione di tutti quegli artisti che, normalmente, in fase di creazione festivaliera, si vorrebbe a tutti i costi inserire nel programma.
Ecco spiegata sicuramente una delle ragioni per le quali è stato scelto di non promuovere la funzione di un direttore artistico.
– LA “CARTA DEI VALORI” E LA POSSIBILE FORMULA DI AUTOPROMOZIONE
La scelta di non chiedere neppure un euro di finanziamento pubblico, di non necessitare di un direttore artistico, di permettere agli artisti, operatori del settore e concittadini di partecipare in piena libertà ma senza cachet rientra nel codice etico della carta dei valori. Un codice programmatico – organizzativo e produttivo ben interpretabile da tutte la comunità di riferimento che a sua volta andrebbe condiviso anche con i futuri lettori ed ideatori.
Non si può per l’appunto negare l’interesse da parte di una casa editrice che si presta a questa nuova forma di comunicazione diretta (il festival-festa) di promuovere le proprie creazioni, di incontrare personalmente i propri abbonati, di generarne dei nuovi e allo stesso tempo di ottimizzare i costi e soprattutto i tempi avendo una miriade di artisti e operatori a propria disposizione ai quali poter dedicare interi articoli, di proporre loro nuove incisioni, di stipulare con essi particolari convenzioni, di stabilire accordi di sponsorship, di vendita delle pagine pubblicitarie all’interno dei propri volumi-numeri, e via di seguito. Eppure, c’è da riconoscere che l’obiettivo primordiale del JAZZIT FEST non sembra essere affatto quello di fare i propri interessi di stampa, poiché nessuno tra coloro che avrà contribuito all’iniziativa, artisti compresi, godrà di un trattamento privilegiato.
Piuttosto, i personali accordi finora stipulati dalla casa editrice verranno messi a disposizione di altri come “effetto fiera”, così da rendere insaziabile l’impegno di fare rete tra simili. Esattamente così: un’industria che opera all’interno di una fiera che non cerca solo buyers, ma fa in modo che questi interagiscano anche fra di loro! Un pensiero del resto ben condiviso e da sempre fedele alla linea editoriale.
– IL TARGET, IL VOLONTARIATO E LA FESTA-MEETING GRATUITA
Diciamo allora che non si potrebbe in realtà parlare di un festival vero e proprio, quanto di una festa impareggiabile. Un evento rivolto principalmente ai propri appassionati, operatori del settore e a chi vorrà conoscere dal vivo lo spirito e il metodo di lavoro adottato dalla LVE. Gli stessi volontari, una squadra composta da oltre 100 elementi, possibilmente aventi una media di 28 anni, saranno i primi che in cambio del contributo reso e degli sforzi economici affrontati tra viaggio e alloggio (seppur con convenzioni), avranno la possibilità di apprenderne attraverso continue riunioni il criterio operativo.
Una manifestazione studiata anche per far ampliare le proprie conoscenze e che, per le condizioni indicate, si esprime nella massima gratuità o nella facoltà di rendere un’offerta libera in base alle proprie disponibilità.
– IL “PAESE FESTIVAL-SMART CITIES” COME “ESPERIMENTO SOCIALE”
Ciò che più colpisce del pensiero di Luciano Vanni è la volontà di rendere totalmente attiva la partecipazione del territorio.
“Sei amante del jazz o no, ma sei comunque un cittadino di Collescipoli? Ebbene, sei invitato a dare una mano!”. Non è un rimprovero, né tantomeno un obbligo, piuttosto uno stimolo a fare in modo che ciascuno faccia la propria parte per il crescere della cultura, dell’economia e del turismo locale. In fondo è un grande onore quello di vedere un antico borgo medievale come Collescipoli di soli 300 abitanti mostrarsi tutt’altro che impreparato tanto da accogliere l’enorme staff organizzativo e a prestare, tra le tante cose, perfino le sedie per la platea. È un segno di fiducia ma anche di speranza che si cela dietro quell’emozionante detto: “l’unione fa la forza”.
Chi infatti diventa il primo interlocutore, oltre agli stakeholders già citati e tutto il territorio ternano, è la Pro Loco assieme alla serie di istituzioni, compresa la Circoscrizione, che si sono impegnati nell’assicurare la resa gratuita degli spazi pubblici (5 palchi tra chiese, piazze, chiostri, viuzze e altri spazi all’aperto e al chiuso), a rendere efficiente la macchina organizzativa per l’ospitalità (servizi, sicurezza, ordine pubblico, alloggi, il ristoro e trasporti), con la scusa anche di promuovere la regione con gli stand enogastronomici.
Molte realtà che sono state sostenute nella veste di startup hanno finito negli anni nel dipendere soprattutto dai fondi statali, difendendosi dietro quella volontà di fare cultura ormai troppo ripetitiva e non più unica a molti.
Che Luciano Vanni sia risuscito negli anni, magari grazie alle sue ambizioni, alla sua crescita professionale e ai suoi rapporti editoriali – istituzionali, ad affascinare tutto il paese di Collescipoli, bisogna crederci, anche perché è una persona che lavora con ingegno e senso critico. Si può anche credere all’idea che quasi tutti gli abitanti del posto ora possano amare il jazz o essersi resi conto dell’importanza dell’attrazione turistica che il suo festival possa innescare, tanto da convincere anche i più anziani compaesani a dedicare del proprio tempo per la realizzazione dello stesso e a resistere fino a notte fonda ai più striduli suoni di tromba …. ma, non è bene imitarlo senza disporre di azzeccati strumenti per lavorarci sopra, pretendendo carta bianca con il solito scopo di realizzare i più svariati sogni artistici musicali che poco hanno a che vedere con il territorio se non nel prendere per la gola la comunità più focosa con le arti più appetitose: musica commerciale e gastronomia generalizzata.
Sicuramente, Vanni, nel suo disegno progettuale intende far credere che i successi migliori si ottengono col passare degli anni, dopo aver meticolosamente studiato ed educato il proprio territorio alla vera cultura (a quella che andrebbe fatta imboccare per essere compresa), ed essersi conseguentemente reso effettivamente conto di cosa il territorio nel suo complesso desidera. Una volta aver intuito lo spirito della manifestazione e aver fatto in modo che ciascun cittadino ne comprendesse i fini e a sua volta li condividesse, allora, solo dopo, sarebbe doveroso far subentrare la necessità di generare un criterio fattibile di smart- city.
Il 19 agosto 2013 “Tafter” ha proposto alla propria comunità un approfondito dossier sul decreto legge “Valore Cultura”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto.
A distanza di una decina di giorni, proponiamo una qualche integrazione ed alcuni aggiornamenti. Il dossier IsICult / Tafter ha registrato diffusi apprezzamenti, in quanto tentativo finora unico di analisi accurata e complessiva del provvedimento: piace osservare che lo stesso Ministro Bray ha aggiunto ai suoi “preferiti”, poche ore dopo la sua pubblicazione, il Tweet con cui Tafter segnalava il dossier sul decreto legge.
Il Ministro però, ad oggi, non ha ancora ritenuto di rispondere ad alcuni quesiti che gli venivano posti, nell’economia complessiva dei commenti elaborati nel dossier.
Qualche risposta potrebbe emergere dall’iniziativa prevista nell’ambito del Festival di Venezia il 2 settembre prossimo. Non si ha più notizia degli “Stati Generali sul Cinema” che pure erano stati annunciati nell’ambito del Festival di Venezia: in effetti, l’organizzazione dell’iniziativa – secondo alcuni affrettata e soprattutto mal preparata (si segnala il caustico articolo di Stefano Pierpaoli, attivista del cinema indipendente italiano, pubblicato il 3 luglio sul blog “Consequenze Network di cultura partecipata”, dall’eloquente titolo “Il Mi(ni)stero delle Attività Culturali – Partite di giro e riunioni segrete”) – era stata frenata dagli annunci polemici “delle categorie” sul piede di guerra: i cinematografari tutti (dagli autori ai produttori) avrebbero disertato iniziative veneziane con presenza governativa, se non fosse stato prima ripristinato il tax credit.
Il 20 luglio, una ventina di associazioni del settore cinematografico italiano avevano diramato un comunicato di fuoco contro il Governo Letta, dal titolo netto e chiaro: “Il Governo impedisce l’approvazione del rifinanziamento del tax credit”, mentre tutto il Parlamento all’unanimità l’avrebbe approvato. Il presidente Letta ha detto: “Mai più tagli alla cultura, se dovesse avvenire mi dimetterei”. 45 milioni in meno al cinema, la più grande industria culturale del Paese: PRESIDENTE CHE FA?????? È incredibile! Si condanna il cinema italiano alla chiusura. Dopo che al Fus sono venuti a mancare circa 22 milioni di euro, ora si tagliano altri 45 milioni al Tax Credit, rendendo impossibile produrre cinema e audiovisivo in Italia”.
Il tono del comunicato era esasperato (incluso il maiuscolo sulla domanda retorica al premier ed i 6 punti interrogativi 6), ed aveva un sapore un po’ passatista: non sappiamo chi sia stato l’estensore della prima bozza, ma scommettiamo che abbia un passato da sindacalista. Si leggeva che la decisione assunta dal Governo avrebbe impedito “alle produzioni straniere di venire a produrre da noi, con gravissimi danni per esempio a Cinecittà, aprendo di nuovo la strada alla delocalizzazione delle produzioni italiane, mettendo a rischio di chiusura il 40 % delle sale cinematografiche, in prevalenza piccole e medie strutture, che non potranno digitalizzare gli impianti. Eppure il cinema e l’audiovisivo fatturano il doppio del trasporto aereo!!!”.
Non entriamo nel merito di queste simpatiche stime nasometriche sulle dimensioni del settore (3 punti esclamativi 3 inclusi), perché più volte abbiamo dimostrato, anche sulle colonne di “Tafter”, che una delle cause della crisi del sistema culturale italiano vada ricercata proprio nella fallacia delle analisi economiche, nel deficit del sistema informativo-statistico, e nella conseguente impossibilità di disegnare prospettive affidabili e efficaci strategie. Stile retrò a parte, il tono del comunicato era oggettivamente minaccioso. Si leggeva ancora: “Ma il Ministro dei Beni Culturali indice una assise a Venezia per parlare di cinema. Le associazioni tutte, ancora una volta unite e compatte, non parteciperanno ad alcun convegno veneziano, ritireranno immediatamente i propri rappresentanti dai tavoli preparatori degli “Stati Generali”, riterranno sgradita la presenza di chiunque del Governo voglia presenziare a manifestazioni veneziane, annunciando fin d’ora di uscire dalle sale di proiezione se questo accadesse, metteranno in campo da oggi le iniziative di lotta e mobilitazione più utili, efficaci, eclatanti, per far capire ai cittadini come l’Italia sarà più povera senza il proprio cinema”.
“Last minute”, dopo i tamburi di guerra, il 2 agosto, il tax credit è stato ripristinato, ma era effettivamente un po’ tardi per riprendere la organizzazione degli… “Stati Generali”. Il Presidente dei produttori dell’Anica Angelo Barbagallo, poco dopo la conferenza stampa di Letta e Bray, aveva espresso apprezzamento “per la svolta impressa dal Governo”, segnalando che “ora si potrà riprendere, a partire da Venezia, quel percorso di confronto e collaborazione con l’Esecutivo, essenziale per definire una politica cinematografica all’altezza dei tempi e inserita in una visione generale del ruolo della cultura nel Paese”. Ma il lavoro dei “tavoli preparatori” degli “Stati Generali del Cinema” era stato sospeso… Si è quindi deciso di procedere con… prudenza.
Il 28 agosto, l’ufficio stampa dell’Anica ha confermato quel che la Direzione Generale per il Cinema – Mibact, aveva annunciato il 22 agosto: “il Mibact, in collaborazione con Istituto Luce-Cinecittà, Anica e La Biennale di Venezia, promuove durante il Festival, per lunedì 2 settembre, un convegno intitolato “Il futuro del cinema: da settore assistito a industria culturale strategica. Dopo la stabilizzazione del tax credit e verso la Conferenza Nazionale”. Tra i relatori, vengono annunciati: Riccardo Tozzi (Presidente Anica), Angelo Barbagallo (Presidente Sezione Produttori Anica), Richard Borg (Presidente Sezione Distributori Anica), mentre l’Apt annuncia che sarà presente con Fabiano Fabiani (Presidente dell’Associazione dei Produttori Televisive)… Sono previste le conclusioni di Massimo Bray.
Il 30 agosto l’ufficio stampa del Mibac ha reso noto il programma completo del convegno: ci sembra si tratti di una semplice riproposizione di una “compagnia di giro” (le cui tesi sono note da anni), e francamente temiamo che il valore aggiunto che verrà prodotto dal convegno sarà quindi inevitabilmente molto modesto, anche per l’assenza di voci “fuori dal coro”. Da segnalare che sono previste, nell’ambito della kermesse veneziana, anche due altre iniziative convegnistiche (che forse risulteranno più vivaci rispetto alla passarella ministeriale), promosse dall’Anac, martedì 3 settembre e per mercoledì 4: la prima è intitolata “Cinema italiano oggi: Una visione strategica per i necessari provvedimenti di rianimazione” (la metafora è forte, ma efficace), e la seconda è intitolata “Rai e rinnovo conessione: Quale itinerario per un servizio pubblico?”. E vanno segnalate anche altre occasioni di dibattito, promosse dalla “triade” Mibac Dg Cinema/Istituto Luce-Cinecittà (che è ormai una sorta di “braccio operativo del Mibac, anzi quasi un ufficio interno del dicastero) / Anica (che è sovvenzionata dalla Dg Cinema del Mibac per queste attività): martedì 3 settembre (dalle 10 alle 12), presso il Mercato del Film-Venice Film Market, la presentazione del “Report attività Dg Cinema 2012”, e di “Focus su film d’interesse culturale e analisi dei sottostanti accordi di produzione”, a cura di Alberto Pasquale e Bruno Zambardino; mercoledì 4 settembre (dalle 10 alle 13), ancora presso il Mercato del Film-Venice Film Market, “Focus” sul consumo di cinema “Sala e salotto 2013: il sequel”, realizzato da Ergo Research, su iniziativa di Anica e Univideo, in collaborazione con Anec-Agis, a cura di Michele Casula; ed “Appeal e potenzialità del cinema italiano in Usa”, indagine Swg per Istituto Luce-Cinecittà, a cura di Rodrigo Cipriani Foresio e Adrio De Carolis; “L’industria dei contenuti alla prova degli Ott e delle Tlc”, a cura di Giandomenico Celata ed Enrico Menduni… Insomma, molti fuochi d’artificio.
Questa mattina è stata presentata un’altra ricerca ancora: “Schermi di Qualità tra crisi economica e rinnovamento”, curata Gianni Celata e a Rossella Gaudio. Lo studio ha messo in evidenza che gli schermi del Progetto “Schermi di Qualità” (fortemente sostenuto dal Mibac, realizzato dall’Agis, d’intesa con le associazioni dell’esercizio cinematografico Anec, Anem, Fice, Acec) concorrono in modo significativo al box office complessivo, registrando nel primo semestre 2013 un 18 % delle presenze ed il 16,5% degli incassi dell’intero mercato. La quota di mercato dei film italiani non è esaltante, rappresentando il 33 % del totale. Si segnala che il 76 % dei biglietti venduti in “SdQ” si realizza nei cinema da 1 a 4 schermi. Dati interessanti, ma, ancora una volta, manca una lettura organica, sistemica, critica: si rinnova il deficit di elaborazione strategica e di “policy” e “governance”. E… in fondo, cosa ne resterà, dopo Venezia, di tutte queste elucubrazioni e dibattimenti?! Si rinnova l’obiezione sul senso di queste iniziative convegnistiche all’interno di una kermesse come il Festival di Venezia: nella economia della macchina mediatica, la scollatura dell’attricetta di turno provoca cento volte più “appeal” del più stimolante dibattito. La domanda resta: che senso strategico ha organizzare iniziative di questo tipo, “a latere” di un festival?! Anche il dibattito più intrigante è destinato ad ottenere due righe sui quotidiani. I riflettori, in queste situazioni, sono puntati altrove.
Dai grandiosi ed ambiziosi “Stati Generali” ad una più prudente e modesta “Conferenza Nazionale”. Ah, ricchezza della lingua italiana! Ma qualcuno – non soltanto Brunetta ed i polemisti de “il Giornale” – obietterà certamente qualcosa, rispetto alla titolazione dell’iniziativa, che propone una netta dichiarazione di superamento dello status di settore “assistito”, per quanto riguarda il cinema… Sarà anche interessante ascoltare l’opinione di Fabiani, ovvero quella di un settore (la lobby debole, l’Apt) che è stato inopinatamente (cioè senza alcun criterio logico e mediologico e di politica culturale) escluso dai benefici del tax credit, avendo Bray innovato privilegiando il settore musicale… Innovazione e contraddizione.
Siamo lieti che il Ministro molto telematico abbia letto ed apprezzato il dossier IsICult, ma ci avrebbe fatto ancor più piacere ricevere un suo feedback.
Segnaliamo – en passant – la precisione comunicazionale di Bray (e della sua addetta stampa, Caterina Perniconi), che il 22 agosto ha diramato un testo come quello che segue, correlato all’ambizioso progetto di pedonalizzazione dei Fori Imperiali avviata dal Sindaco di Roma Ignazio Marino ed alla necessità di registrare il parere dell’opinione pubblica: “Mibac: precisazione in merito alle parole del Ministro Bray. In merito alle dichiarazioni del ministro Massimo Bray sui Fori Imperiali rilasciate a Radio Anch’io, si precisa che il riferimento a una consultazione dei cittadini era da attribuirsi al normale iter di coinvolgimento della popolazione le cui necessità devono essere ascoltate dagli addetti ai lavori in un processo come quello che vorrebbe la creazione del più grande parco archeologico del mondo”.
Che precisione, che accuratezza… E va notato che sempre il 22 agosto Bray ha segnalato sul proprio profilo Twitter che aveva “postato” una lunga risposta del Ministro alla “Lettera di un musicista al Ministro alla Cultura”, firmata da Anna sul suo blog Laflauta (l’anonima Anna si autodefinisce con ironia “veneziana, bionda, flautista, jazzista, maestrina di canto, amazzone, mamma… e blogger”). Bray dichiara tra l’altro che “sarebbe auspicabile un’eventuale defiscalizzazione totale dei contributi che privati o aziende conferiscono per l’organizzazione di eventi artistici”: eccellente, se si passerà dalla bella idea alla concreta norma. Si segnala che anche il Presidente della Siae, Gino Paoli, ha deciso di postare un suo commento sul blog Laflauta, innescando una interessante polemica sul ruolo della Società Italiana Autori Editori.
Abbiamo effettuato un’accurata ricerca su web, ed osserviamo che, complice forse l’agosto vacanziero e torrido, non sono molti – in verità – i commenti in relazione al decreto legge del 2 agosto.
La Confederazione Italiana Archeologi (ebbene sì, esiste anche questa… Cia!), sul proprio sito web, in un commento intitolato “L’urgenza non diventi fretta”, ha espresso “parziale soddisfazione per il decreto Valore Cultura, annunciato dal Governo e dal Ministro Bray, di cui ancora non sono chiari i particolari”, ma si tratta di un commento pubblicato il 7 agosto, prima che il testo venisse reso noto: “Accogliamo con favore il rinnovato interesse per Pompei – ha sostenuto Alessandro Pintucci, Presidente dell’associazione – ma non vorremmo che con l’istituzione di una Direzione Generale ad hoc per il sito si replicasse la situazione di commissariamento e gestione straordinaria, che tanti danni ha arrecato al centro vesuviano negli anni passati. Siamo, invece, preoccupati per le annunciate assunzioni annuali di 500 stagisti: il nostro settore ha bisogno di interventi strutturali, ci sono decine di società che stanno rischiando di chiudere a causa della crisi e centinaia di professionisti, molti più grandi degli under 35 interessati dal Decreto, che stanno pensando seriamente di cambiare lavoro o di trasferirsi in altri Paesi, con una perdita di conoscenze ed esperienze che francamente non ci possiamo più permettere (…). La sensazione è che l’urgenza del provvedimento, che pure condividiamo, sia stata tradotta in un’operazione condotta di fretta. Auspichiamo un ripensamento del Ministro su questi punti, prima del licenziamento definitivo del decreto”. Il Ministro non sembra però averci ripensato, alla luce del testo licenziato, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 agosto.
Alla presa di posizione critica – che abbiamo già segnalato nel dossier pubblicato il 19 agosto – da parte dei sindacati Cgil Slc, Cisl Fistel, Uilcom e Fials (resa nota il 7 agosto), ha fatto seguito la critica manifestata da un altro sindacato, Libersind-Confsal (che si autodefinisce Confederazione Generale Sindacati Autonomi Lavoratori) che ha scritto al Ministro l’8 agosto ed ha diramato il 12 agosto un comunicato stampa ripreso dall’agenzia Adnkronos: “Libersind-Confsal chiede a Bray di emendare il decreto “Valore Cultura” per quanto riguarda il collegamento tra accesso agli stanziamenti delle fondazioni lirico-sinfoniche e riduzione dell’organico delle stesse”, perché “non è assolutamente condivisibile l’impostazione per la quale ancora una volta a pagare i danni causati negli anni da amministrazioni “politiche” fallimentari di alcune Fondazioni debbano essere i lavoratori”. Ribadiamo che si prevede un “autunno caldo” per la lirica italiana…
Tra le questioni apparentemente meno importanti, e segnalate quasi da nessuno, va ricordato che il Decreto Legge, all’articolo 4, ha introdotto l’obbligo di prevedere la libera disponibilità online per i risultati delle ricerche finanziate almeno per il 50 % con fondi pubblici. In un intervento pubblicato sul blog Roars (Return On Academic ReSearch), Paola Galimberti si è chiesta come mai questo (apprezzabile) intervento sia stato emanato per iniziativa del Mibac e non di quello competente per l’università e la ricerca.
Gli risponde in modo accurato ed interessante l’esperto di biblioteconomia Giovanni Solimine, in un post del 27 agosto sul suo blog, intitolato “Dl cultura e accesso aperto”: “In effetti non c’è da sorprendersi, per almeno due motivi: in primo luogo, perché finora non sembra che il Miur stia esprimendo una “cultura di governo” capace di andare oltre l’emergenza e i provvedimenti urgenti, e poi perché il Dl Cultura, per quanto parziale e insufficiente, lascia intravedere un respiro piuttosto ampio, che va oltre il puro e semplice ambito dei “beni culturali” e che cerca di affrontare i temi dell’accesso alla cultura e alla conoscenza.
Attendiamo il governo – se, come c’è da augurarsi, durerà – e il parlamento a nuove e più impegnative prove: la prima è proprio la conversione in legge di questo decreto, che qualcuno potrebbe cercare di svuotare proprio per gli aspetti più profondamente innovativi. PS: senza volerci arrogare meriti che non abbiamo, mi permetto di ricordare che l’obbligo dell’accesso aperto per i risultati delle ricerche finanziate con danaro pubblico era presente tra i provvedimenti sollecitati dal Forum del libro in una lettera aperta ai candidati alle ultime elezioni politiche, che aveva trovato in Massimo Bray, poi divenuto titolare del Mibact, uno dei suoi più convinti sostenitori”. Solimine, in altri post del suo blog, manifesta giudizi complessivamente positivi sul decreto legge “Valore Cultura”, ritenendo il “bicchiere pieno al 75 %”.
Su altro fronte (cinema), sull’edizione del “Giornale dello Spettacolo” (il mensile dell’Agis) del 28 agosto, in distribuzione al Festival di Venezia, Enrico Di Mambro, riferendosi al ripristino del tax crediti a favore del cinema, scrive che “testimonia un metodo di lavoro nuovo, segnato da un concreto fattivo confronto tra le parti”. A noi sembra – in verità – l’ennesimo topolino partorito dalla montagna, ovvero dal tira-e-molla tra Governo e lobby varie, senza alcun disegno strategico di ampio respiro: un intervento utile, ma più palliativo di breve termine che cura di lungo periodo. Di Mambro enfatizza che la stabilizzazione permanente del budget di 90 milioni di euro l’anno è resa possibile dal sistema di adeguamento di copertura determinato dagli articoli 14 e 15 del decreto legge, ovvero dalle assise sui combustibili, gli alcool e sul prelievo fiscale sui prodotti da fumo. L’esponente dell’Agis lamenta che l’autorizzazione per i crediti di imposta riguarda l’attività di produzione, mentre è sospesa l’autorizzazione per il credito d’imposta per la digitalizzazione delle sale (e ne siamo lieti, dato che la “battaglia per il digitale” ci sembra benefici già abbastanza di sostegni regionali, grazie ai fondi europei: si legga l’intervento su “Tafter” del 7 agosto: “Sull’utilità della digitalizzazione delle sale cinematografiche”): “la misura, infatti, viene ancora oggi applicata in termini limitativi e penalizzanti mediante l’adozione della clausola ‘de minimis’”. Di Mambro segnala anche una corrigenda opportuna: non è stata riprodotta la norma tecnica in base alla quale eventuali “avanzi” rispetto al plafond dei 90 milioni di euro l’anno vengano destinati ad alimentari lo stanziamento della parte cinema del Fus. Forse si tratta di errori ed errorini determinati da una qual certa fretta.
In effetti, nel dossier realizzato da IsICult per Tafter, avevamo prestato poca attenzione agli articoli 14 e 15 del decreto, liquidandoli come norme tecniche di finanziamento degli interventi normativi, cioè per la cosiddetta “copertura”.
Filippo Cavazzoni, Direttore Editoriale del “think tank” liberista Istituto Bruno Leoni (Ibl), ci ha segnalato: “La maggior parte delle coperture si ottengono con l’inasprimento delle accise: questa volta non sui carburanti, ma sugli oli lubrificanti, la birra, gli aperitivi, i vini liquorosi, le grappe, i prodotti “da fumo”, ecc. Se è davvero così, mi pare davvero criticabile: perché un bevitore di birra deve finanziare il tax credit?”.
Temiamo che sia proprio così. Il quesito è saggio, ma richiederebbe un’analisi approfondita e quindi una revisione radicale del concetto stesso di “dare” ed “avere” nel bilancio dell’italico Stato, ed ovviamente non soltanto in materia di politica ed economia della cultura. Si prendi “a chi”, per dare “a chi”, con quale logica politica ed economica?! Nel caso in ispecie, le “stampelle” per il cinema (tax credit) così come il ripianamento dei debiti degli enti lirici (determinati da cattiva gestione) vengono “socializzati” a carico della fiscalità generale (qualcuno può evocare il cosiddetto “metodo Stammati”, dal nome dell’allora Ministro che, nel lontano 1977, decise che lo Stato doveva intervenire per ripianare i debiti contratti dagli enti locali con il sistema bancario: un meccanismo perverso che ha stimolato una continua espansione della spesa pubblica, le cui conseguenze stiamo ormai pagando). Ha un senso, tecnico e politico, una scelta di copertura di questo tipo?!
Sui quotidiani del 28 agosto, si leggeva che il Governo, per alimentare il fabbisogno derivante dall’abolizione (per il 2013) dell’Imu, avrebbe introdotto novelle tasse sugli alcolici (già fatto per il tax credit, appunto) e sui giochi, per garantire giustappunto adeguata copertura pro Imu. E subito s’ode il grido di allarme di Confindustria, ovvero della sua anima “ludica”: il Presidente di Confindustria Sistema Gioco Italia (che aderisce a Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici), Massimo Passamonti, ha dichiarato “che l’ultimo aumento sugli apparecchi da intrattenimento, effettuato nel 2012 per garantire una copertura di 150 milioni, ha in realtà causato una perdita di 300 milioni di minor gettito erariale” (si ricorda che il settore del gioco produce circa 8 miliardi e mezzo di euro l’anno di entrate erariali, e non ci sembra che lo Stato dedichi minima attenzione alla gravità del fenomeno della ludopatie…). Secondo Passamonti, si tratterebbe di una misura “demagogica” e “controproducente”. Chissà cosa ne pensa il Presidente di Confindustria Cultura, Marco Polillo…
In verità, riteniamo che debba invece proprio esistere un nesso logico (e finanche ideologico, quindi politico) tra le varie voci del bilancio dello Stato: che danari che alimentano il ricco e ozioso settore del gioco (e finanche del tabacco) vadano a sostenere il prezioso e delicato settore della cultura lo troviamo logico, naturale, sano (ed era, non a caso, una delle proposte che furono avanzate nel documento “Appunti e proposte per una Agenda della Cultura” elaborato dalla veltroniana Fondazione Democratica Scuola di Politica, su cui scrivemmo su queste colonne), così come sarebbe logico imporre anche al settore del telecomunicazioni, ai provider ed agli aggregatori di contenuto (Google in primis) una qualche forma di obbligo ad alimentare la filiera delle industrie creative, per stimolare la produzione di contenuti originali di qualità. Ah, modello francese che sempre invochiamo…
Non ripresa da nessuno, riportiamo anche la dichiarazione della ex Ministro Giorgia Meloni, resa nota il 2 agosto stesso (aveva già letto il testo del decreto legge?!), sul suo blog: “Il decreto legge ‘valore cultura’ del governo Letta presenta qualche luce e molte ombre. Se da un lato consideriamo positivo il rifinanziamento del tax credit per il settore cinematografico e l’apertura nei confronti degli operatori culturali privati, dall’altro prendiamo atto che il provvedimento non introduce interventi strutturali e organici per attuare veramente il principio di sussidiarietà previsto dalla Costituzione. Fratelli d’Italia, unica forza politica che ha dedicato ampio spazio alla cultura nel suo programma elettorale, è pronta ad intervenire alla Camera per modificare e migliorare il decreto”. Osserveremo con attenzione, onorevole Meloni.
Da segnalare anche un’interessante presa di posizione dell’eterodosso storico dell’arte Tomaso Montanari (autore – tra l’altro – dell’eccellente pamphlet “Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane”, Minimum Fax), che ha spiegato sulle colonne de “il Fatto Quotidiano”, il 18 agosto, perché ha deciso di accettare di far parte della (pletorica) Commissione ministeriale promossa dal Ministro Bray (ne scrivevamo anche nel dossier IsICult/Tafter) per la riforma del Ministero: “Come sanno i lettori di questo blog, non ero stato certo entusiasta del meccanismo politico che ha portato alla nomina di Bray: ma con la stessa onestà devo ammettere che, a distanza di tre mesi e mezzo, il bilancio è decisamente positivo. Bray sta rimettendo al loro posto i ras del Collegio Romano, sta rimotivando le soprintendenze, sta tenendo testa ai sindaci prepotenti (ha salvato il Maggio Musicale dalla irresponsabile liquidazione che avrebbe voluto Matteo Renzi). Ha imposto al Segretario Generale del Mibac di ritirare la pessima circolare sulla rotazione triennale dei direttori di museo e dei funzionari territoriali firmata da Ornaghi. Ha fatto anche ritirare lo stupidissimo e dannoso provvedimento sul noleggio delle opere nei depositi dei musei. Ha impedito che passasse l’idea (cara a Scelta Civica e alla sua sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni) di affidare Pompei ad una fondazione di diritto privato: e se il Parlamento non la stravolgerà (e soprattutto se il Direttore Generale sarà scelto tra i ranghi del Mibac), la struttura che il Decreto Valore Cultura prevede per Pompei ha tutte le carte in regola per funzionare”.
Ci auguriamo che la sua lettura dei fenomeni in atto non pecchi di ottimismo, ed auspichiamo soprattutto che Montanari mantenga alta la guardia. E, ancora, che la Commissione si dimostri veramente alacre, se deve concludere i propri lavori entro fine ottobre (2013). Anche se a budget zero.
Infine, ribadiamo (dopo attenta ri-verifica) che, curiosamente, il decreto legge (lanciato con il titolo-slogan “Valore Cultura”) si intitola, nella sua versione definitiva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 9 agosto, “Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo”, ma in verità non v’è 1 articolo uno dedicato al… turismo! In occasione della conferenza stampa del 2 agosto, Bray aveva effettivamente dedicato pochi secondi all’argomento, dichiarando: “C’è l’impegno a dedicare i prossimi sforzi a mettere insieme un pacchetto di importanti provvedimenti proprio sul turismo”. Ma intanto “il turismo” è rimasto nel titolo del provvedimento. Un refuso?! Una rimozione?! Un pre-annuncio?! Abbiamo già segnalato che sul suo blog la Sottosegretaria Ilaria Borletti Buitoni, il 2 agosto, aveva scritto: “Sono stati presi anche provvedimenti utili per il turismo, in particolare per rilanciare il turismo sostenibile e culturale”. Evidentemente, sono rimasti in “mente dei”, ovvero all’ultimo minuto s’è seccato l’inchiostro della penna ministeriale… Segnaliamo quel che scrive Luciano Arduino sul suo ipercritico “Tutto-sbagliato-tutto-da-rifare”, blog “di critiche costruttive sul turismo e sulla cultura”, nel post del 28 agosto “Il Decreto del Turismo di Massimo Bray, bypasserà ancora una volta il Parlamento?”, che rilancia quanto aveva già polemicamente scritto il 3 agosto “Eilturismo?”.
Ed attendiamo che la Sottosegretaria delegata, Simonetta Giordani, si manifesti.
Anche perché sempre più si diffonde il novello (orribile) acronimo del dicastero: “Mibact”, con quella graziosa “t” finale. Mentre le politiche del turismo italiano continuano ad essere abbandonate a se stesse. Ed Andrea Babbi, Direttore Generale dell’Enit dichiara (intervista al blog “Terra Nostra” di Nicola Dante Basile su “Il Sole 24 Ore”, il 27 agosto) che, su un budget di 18 milioni di euro l’anno di risorse statali, l’ente spende 17 milioni per la gestione (200 dipendenti, 80 italiani e 120 esteri), ed ha quindi a disposizione soltanto 1 milione di euro per promuovere l’Italia nel mondo. E lo stesso Babbi evidenzia la contraddizione interna, tra livello Stato centrale e livello Regioni: l’Apt Emilia Romagna ha un budget di 12 milioni di euro, il Trentino 25 milioni, 28 milioni la Sicilia. Per non dire dei 44 milioni che il governo svizzero affida al proprio ente turistico…
Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult
Scarica qui il testo del decreto legge “Valore Cultura” dell’8 agosto 2013, nella sua versione in formato Pdf pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9 agosto 2013.
2013: prima edizione della Biennale di Arte Contemporanea di Trapani. La domanda che sorge spontanea è, ovviamente, ma ce n’era davvero bisogno? La possibile risposta oscilla ovviamente in un universo dualistico che vede ai propri estremi, come di consueto, entusiastici ed oppositori dell’evento che sarà ospitato in varie sedi della città sicula fino al 30 Agosto. Le ragioni degli uni, come quelle degli altri meritano in ogni caso un approfondimento.
Iniziamo con le considerazioni comuni a chi vede con sospetto questa iniziativa:
1. Un’iniziativa di questo tipo, può sicuramente influire sulle dimensioni turistiche, già di per sé considerevoli della città di Trapani. Il rischio è che questa biennale si presenti semplicemente come un diversivo per turisti (low-cost) scarsamente interessati alla manifestazione. In tal caso sarebbe più responsabile offrire dei servizi volti a fornire un’offerta turistica particolarmente congeniale a questa tipologia di domanda.
2. La Biennale di Trapani va a inserirsi nel sempre più numeroso elenco di biennali che compaiono con una certa frequenza in giro per il mondo, coincidendo, tra le altre cose, con la cadenza della Biennale di Venezia: come potrà “vincere la concorrenza” con le manifestazioni presenti nelle altre città?
3. La realizzazione di una manifestazione come quella di una Biennale richiede sicuramente un forte impegno da parte di più attori del territorio: Pubblica Amministrazione, soggetti privati, esponenti del mondo artistico. Guardando al nostro recente passato, sorge più di qualche dubbio al pensiero che questa sinergia si presenti con regolarità, senza strappi dovuti alle differenti esigenze reciproche. Cosa accadrà, ad esempio, se si dovesse verificare un cambio di amministrazione?
Sicuramente non mancano altre obiezioni, anche se queste rappresentano i dubbi principali relativi alla creazione di una biennale, che sia ubicata a Trapani o a Kuala Lumpur, e che colgono più di una macchia di ruggine nel dinamico meccanismo che contraddistingue i progetti di sviluppo territoriale attraverso la cultura.
Chiaramente non è questa la sede per rispondere in maniera esaustiva a queste obiezioni, se non attraverso il riportare le ragioni degli altri, ossia le motivazioni che spingono gli “entusiasti” a schierarsi a favore di questa manifestazione.
1. La sostanziale assenza di iniziative culturali di rilievo, che non si limitino alla rinomata presenza del vasto patrimonio archeologico, fa sì che i flussi in entrata si concentrino più sulle esperienze legate alla dimensione di leisure time in senso stretto, con il turismo balneare in testa alle categorie. Per quanto le dimensioni di questo flusso siano in gran parte alimentate dalla presenza di rotte low-cost nel territorio trapanese, è bene ricordare che la zona è interessata anche da una forte componente di turismo velico, che, in genere, presenta caratteristiche reddituali differenti, e forte interesse per le manifestazioni artistiche. Questa duplice natura del turismo nella provincia di Trapani si specchia in modo esemplare nell’offerta delle strutture ricettive: stando al rapporto dell’Osservatorio Regionale Turistico Siciliano, nel 2010 la provincia di Trapani presentava un’offerta totale pari a 27169 posti letto, di cui il 46% rappresentato da strutture alberghiere di medio alto livello (da tre stelle in su), mentre il restante va suddiviso tra strutture alberghiere ed extra alberghiere. In questo scenario, la biennale, potrebbe rappresentare un ulteriore stimolo, e quindi una maggiore diversificazione dei flussi d’entrata.
2. La già citata concorrenza con Biennali affermatesi nel tempo, di cui quella di Venezia rappresenta chiaramente l’apice, è sicuramente una forte criticità, ma che può essere considerata anche una risorsa. Guardando alla Top-15 delle Biennali di Arte Contemporanea stilata dal sito fineart.com, nessuna di esse inaugura ad Agosto, lasciando quindi una finestra d’azione molto importante, soprattutto per una manifestazione che si tiene in una località dal forte ascendente turistico: sempre secondo il già citato rapporto sul turismo, nel 2010 la Provincia di Trapani è stata la terza per dimensioni del flusso turistico totale in Sicilia, con un totale di circa 2 milioni di visitatori. La presenza di flussi in entrata in Italia motivati da esperienze culturali come la visita alla Biennale di Venezia, può essere dunque un punto a favore per la neonata manifestazione: se questa dovesse crescere nel tempo, potrebbe essere motivo di prolungamento della permanenza nello stivale, con un itinerario che parte dalla storica Biennale per poi terminare verso quella di Trapani, che potrà offrire quei vantaggi paesaggistico-balneari che di per sé rappresentano, come già affermato, motivo di interesse turistico.
Al lettore attento non sarà di certo sfuggita una discrepanza numerica tra le ragioni riportate da una parte e dall’altra. Il motivo di tale asimmetria sta nella considerazione, personale, che vorrei portare al dibattito: ritengo infatti, che al di là dell’esito che sortirà questa manifestazione, riflessioni legate alle difficoltà di interazione tra i vari attori di un territorio siano ovviamente di primaria importanza.
Tuttavia, considerare tali difficoltà come un dato di fatto immutabile, è sicuramente un atteggiamento che ha avuto ben più di una responsabilità nell’immobilismo culturale del nostro Paese. La Chiave di Volta di tutta la questione è forse da ricercare nell’elemento, finora volutamente ignorato, che più di tutti incide sul futuro di qualsivoglia appuntamento artistico: la qualità organizzativa, curatoriale, e della selezione degli artisti e delle opere. Senza i giusti requisiti di qualità qualunque altra considerazione diviene secondaria, strumentale. In tal senso la Biennale d’Arte Contemporanea di Trapani appare sicuramente come un buon tentativo, con i suoi 77 artisti presenti provenienti da 11 Paesi differenti. Se nel futuro verranno mantenuti e migliorati quei connotati di credibilità e affidabilità degli aspetti tanto organizzativi che di selezione, ci sarà probabilmente un futuro per questa manifestazione.
Chi l’avrebbe mai detto che nell’era del capitalismo più spietato e del consumismo più sfrenato il buon vecchio baratto sarebbe tornato di moda? E, invece, è successo davvero. Solo che ad essere barattati non sono più un chilo di zucchero in cambio di una dozzina di uova, una pelliccia di pecora in cambio di una lancia per cacciare. Adesso si baratta conoscenza, esperienza, cultura in cambio di vitto e alloggio in una città straniera, di viaggi e di turismo.
È questo il nuovo modello di attività turistica low cost e “social” proposto dalla nuova piattaforma Bed&Learn. Chi è desideroso di scoprire nuove cose e di imparare, o di trasmettere il proprio sapere, chi ama viaggiare o conoscere nuova gente è accontentato sotto tutti i punti di vista.
Iscrivendosi a Bed&Learn, infatti, è possibile pubblicare un annuncio sotto la voce “Voglio viaggiare insegnando” oppure “Voglio ospitare imparando”.
Tutti noi possediamo una dote particolare, coltiviamo un hobby o siamo ferrati in un campo specifico: con Bed&Learn è possibile mettere al servizio degli altri queste nostre abilità. Scegliendo l’opzione “Voglio viaggiare insegnando” si possono indicare le attitudini particolari che si posseggono, e specificare se le vogliamo esercitare “come insegnamento” o “come servizio”. Esempio: se ho una passione per la cucina e voglio trasmetterla a chi mi ospita, segnerò la casella “come insegnamento”. Voglio solo cucinare per gli altri, cliccherò sulla casella “come servizio”. Se sono molto disponibile e socievole, sbarrerò entrambe le caselle. E così via.
Le esperienze che si possono mettere a disposizione sono svariate e per tutti i gusti: si va dalla scrittura creativa al giardinaggio, dalla rilegatura di libri all’insegnamento della filosofia occidentale, dalla scultura alle tecniche di meditazione. Prima di annunciare le proprie doti, è necessario inserire il luogo che si vuole visitare e il periodo prescelto, sperando che le nostre perizie tecniche interessino a qualcuno.
Se si sceglie l’opzione “Voglio ospitare imparando” ci si dichiara disponibili a incontrare qualcuno che ci offra il servizio o l’insegnamento da noi richiesto. In cambio, chi ospita può mettere a disposizione vitto e alloggio, solo vitto, o un servizio da guida turistica per le via della città.
Questo innovativo portale, quindi, – opera di un gruppo di ingegneri di Chieti – ha lo scopo di mettere in stretta correlazione domanda e offerta, senza passare per terzi intermediari, permettendo, così, un notevole risparmio economico. Non a caso il sito è consigliato anche a Bed&Breakfast, associazioni culturali o ditte che lavorano molto con l’estero che, usufruendo della piattaforma, possono ricevere notevoli vantaggi, in maniera divertente e low cost.
Esempio: sono un B&B e decido di diventare un BeLearner. Potrei invitare a trascorrere, gratuitamente, un soggiorno nella mia struttura qualcuno che mi possa insegnare una lingua straniera, che mi aiuti con dei lavori di manutenzione o riparazione, che spieghi a me e ai miei avventori come cucinare un piatto tipico del suo paese, e via dicendo.
D’altra parte iscriversi e pubblicare un annuncio è facilissimo, impiega davvero poco tempo ed è gratuito. Presto verrà introdotto un sistema di feedback post esperienza, per rendere l’avventura da BeLearner più sicura e controllata. Per cominciare, bisogna tenere in mente che, come scrivono sul sito, “essere un BeLearner è un modo di vivere” e il primo insegnamento da assimilare, se si vuole partecipare, è quello di Mark Twain: “Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite.”
Estate, tempo di vacanze e di cartoline…
Cosa? Non spedite più da tempo le cartoline? ahiaiai…pensate infatti che c’è chi con le cartoline ci ha creato un vero e proprio business “artistico”: stiamo parlando di Mr Bingo, artista londinese che ha avuto un’idea tanto ingenua quanto fruttuosa. Sempiterno birichino, Mr. Bingo si divertiva da scolaretto ad inviare cartoline offensive ai suoi compagni di classe. Perchè non farlo anche ora, ha pensato? Ecco quindi venire alla luce un progetto artistico, dall’allusivo titolo “Hate mail”.
“Mi sono reso conto – dichiara l’artista – che le persone si divertono moltissimo ad essere insultate e sono addirittura disposte a pagare per essere insultate da un anonimo”. Con stile, intendiamoci.
Le cartoline sono infatti delle piccole opere d’arte corredate da disegni e da informazioni personali che vengono recapitate direttamente a chi le richiede oppure ad amici e conoscenti, fornendo qualche succulenta informazione.
Ne volete mandare una al vostro capo o alla suocera mentre siete in vacanza?
Cattivoni che siete…(se non dite che ve l’abbiamo suggerito noi, ecco il sito da dove si possono ordinare)
Ah, visto il successo del progetto, è possibile anche acquistare un libro con le cartoline già spedite. Lo trovate su Amazon
Se volete vederlo all’opera, ecco il video di presentazione
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=DdGANtnGus4]
Strade invase da ciucci e biberon, negozi pieni di fiocchetti rosa e blu, vetrine tappezzate dai volti di una coppia che si abbraccia felice, in dolce attesa, dolciumi decorati con bon bon e scarpine da neonato. No, non si tratta di un incubo per chi odia il rosa e lo zucchero, o di un sogno per chi ama Hello Kitty e i cuccioli. È il volto reale che ha assunto Londra negli ultimi tempi.
Se pensavate, infatti, di essere scampati alle Royal Wedding del 2011, siete stati ingannati. Da nove mesi a questa parte impazza la Royal Baby mania. Il/la bambino/a più famoso (e atteso) del mondo sta per nascere, e Londra sembra essere invasa da una frenesia incontrollabile di maternità, voglia di festeggiare e di… comprare!
Sì perché il Royal Baby, già prima di nascere, è più potente dell’intera famiglia reale. Solo la sua attesa ha fatto svuotare portafogli e tasche degli inglesi amanti della corona e dei turisti in cerca di souvenir a tema “premaman”, per la gioia di commercianti e rivenditori. Passeggiando per le strade di Londra è possibile acquistare: un bavaglino a righine fucsia con lo stemma della corona “Born to rule”; un libro di ninna nanne che sulla copertina riporta la scritta “Shhh, Don’t Wake the Royal Baby” e una simpatica regina Elisabetta che si paracaduta chi sa dove con un marmocchio tra le braccia; innumerevoli piattini con decori a tema “royal baby”, inclusa una versione con Winnie The Pooh; una confezione speciale di biscotti a forma di biberon, orsacchiottino, calzettina, carrozzina, scatolina delle sorpresine; monete commemorative del lieto evento; e poi ancora tazze, portachiavi, ciondoli, magliette, etc, etc, etc. D’altra parte persino i genitori di Kate, i Middelton, hanno percepito l’andazzo da “gallina dalle uova d’oro” e hanno pensato per il loro sito di prodotti per feste, Party Pieces, una linea completa di piatti, posate, forchette e chi più ne ha più ne metta, intitolata “Little Prince”, “Little Princess”.
Se poi, fino a qualche tempo fa la follia collettiva scaturita da fame di gossip e sperticato affetto per la famiglia reale, si esplicava solo nel mondo della gente in carne ed ossa, oggi la febbre da bebè targato Kate e William si respira, anzi si inghiotte proprio, anche sul web. Impazzano le pagine facebook, gli ashtag, i like, i tweet, i siti – seri o faceti – ma la trovata più divertente, scellerata e inquietante assieme è la app pensata da Apple. Sì, avete capito bene, esiste una Royal Baby App che si presenta così: “Benvenuti nella Royal Baby App, una celebrazione del felice giorno di Kate e William. Potrai scaricare gratuitamente le prime foto del nuovo nascituro e dei suoi genitori felici. Riceverai anche le ultime news, i Twitter sull’evento e molto altro”. Un’occasione imperdibile…
Come se non bastasse, l’attesa del Royal Baby alimenta anche la fame di scommesse che caratterizza gli inglesi. Pare siano state già puntate 1 milione di sterline, per indovinare la data precisa della nascita, il sesso del bambino, il suo peso. Ma soprattutto quello che diverte di più è scommettere sul nome. Sono sulla cresta dell’onda i nomi Alexandra, Diana, Elizabeth, se nascerà femmina, se sarà maschietto i nomi più gettonati sono George, James e… Beckham!
Di certo per gli inglesi il Royal baby scenderà dal cielo con una cicogna e un bel po’ di manna. A quanto pare, l’introito che il/la piccolino/a porterà al paese ammonta a 300 milioni di euro. E notevoli sono anche gli influssi benefici che il lieto evento sta avendo sul turismo verso Londra. Un albergo si è attrezzato con una sala a tema “bimbi regali” che riporta foto e ritratti di William ed Harry da bambini; altri alberghi pensano a sconti e agevolazioni per le coppie o le donne in dolce attesa. Anche il Museum of London si è fatto trascinare dall’ondata di entusiasmo e ha organizzato la mostra “Royal Arrival” che raccoglie cimeli dei passati nascituri regali.
Il bebè era atteso per il 13 luglio e c’è chi dice che si stia facendo aspettare troppo. Noi siamo sicuri, invece, che, come per tante altre cose, il prolungarsi dell’attesa renderà il momento della sua nascita ancora più dolce e sospirato, sperando che la maggior parte delle aspettative su di lui vengano scaricate in questi frenetici giorni di attesa, permettendogli quanto meno di vivere dei rilassati primi giorni di vita.
Tra gli appuntamenti più attesi dei festival di cinema c’è sicuramente l’Ischia Film Festival, unico nel suo genere, in quanto prevede un concorso, a livello internazionale, dedicato alle location cine-turistiche, unendo quindi i temi cinematografici con la cura e la valorizzazione dei territori.
Tante le sezioni, dal “Primo piano”, dedicato alle pellicole che hanno dato spazio alle location come elemento primario, a “Location negata”, una sezione speciale per chi dedica il racconto a territori violati da civiltà e diritti, da “Location sociale”, in cui la focalizzazione delle location mette in risalto le problematiche economiche e sociali, a “Scenari”, con corti e documentari provenienti dalle terre più lontane.
Ad aprire il Festival, nella stessa serata del 29 giugno, due illustri ospiti.
Benoit Jacquot ha presenta il suo ultimo lungometraggio “Les adieux à la reine”, con Diane Kruger nelle vesti della Regina Maria Antonietta, ambientato in uno dei luoghi di cultura più belli del mondo, la Reggia di Versailles.
Angelo Cretella, dopo il successo dello scorso anno, in cui fu protagonista con “Corti”, ambientato nel centro storico – patrimonio UNESCO – di Sant’Agata dei Goti, ha portato invece per l’edizione 201 3 del festival “Emilio”, cortometraggio ambientato nel Salento, in una location tanto difficile, quanto suggestiva. “Emilio” è nato dal basso, con un crowdfounding sostenuto da più di cento persone che hanno collaborato donando una quota di partecipazione.
Di “Emilio”, della produzione dal basso, ma soprattutto della splendida location in cui è stato girato ne abbiamo parlato con Angelo Cretella, protagonista di una intervista inedita, una tweet-intervista, con domande e risposte in 140 caratteri.
@svoltarock: Ciao Angelo, innanzitutto come stai?
@cretange: appena rientrato dall’@IschiaFilmFest quindi, a parte un po’ di nostalgia, direi benissimo.
@s: Secondo anno consecutivo all’IFF, più felice perché partecipi ad un grande festival o perché trascorri qualche giorno ad Ischia?
@c: sono felice che le due cose stiano insieme.
@s: Chi è (o meglio chi rappresenta) #Emilio?
@c: #Emilio è la purezza, l’incontaminato che per molti diventa il sinonimo del “fesso” da vessare e di cui approfittare.
@s: (da buono a “fesso”, il salto spesso è breve..) Perché #Emilio in Salento?
@c: il Salento, terra meravigliosa, preserva ancora degli aspetti primordiali come le forze contrastanti che volevamo rappresentare.
@s: Quali sono i luoghi del Salento dove avete girato che ricordi con maggiore affetto?
@c: la cava di bauxite di #Otranto è difficile da dimenticare così come le strade dritte e desolate e le masserie abbandonate.
@s: A proposito di Puglia, a Otranto, com’è stata l’accoglienza? cc @RegionePuglia @pugliaevents
@c: c’è stata una grande partecipazione delle persone. Questo anche grazie al grande lavoro della @RegionePuglia e @ApuliaFilmComm
@s: Ho trovato un @nandupopusss (leader dei Sud Sound System, band storica pugliese, ndr) versione-attore di ottimo livello. Come lo descriveresti in 140 caratteri.
@c: @nandupopusss ho scoperto, oltre all’artista che conoscevo, un uomo generoso che lotta per la sua terra. E’ decisamente bello!!!
@s: Differenze evidenti tra “condurre” attori non professionisti o grandi esperti come Leo Gullotta in “Corti”.
@c: dirigere Gullotta è stato come fare un’alta scuola di formazione e c’era poco da “dire”. Un’esperienza messa in campo con Emilio
@s: Rispetto al crowdfounding per Emilio,maggiore soddisfazione o ansia nel sapere che più di cento persone hanno investito su di voi?
@c: avere 120 piccoli produttori ha aumentato la mia ansia. E’ stata un’esperienza di condivisione fantastica. Grazie a @betapdb
@s: Già in mente la location del prossimo lavoro? Nel Sud Italia (dopo Sant’Agata dei Goti ed il Salento) c’è imbarazzo della scelta.
@c: il Sud è una miniera di bellezza nonostante le continue violenze subite. Mi piacerebbe un’isola. Colpa dell’@IschiaFilmFest
@s: Fare cultura, associando cinema, territorio, turismo, è così tanto difficile qui in Campania?
@c: è la cosa più semplice ma la politica è distratta e incapace. Qui anche le “macerie” attrattive rischiano di polverizzarsi.
@s: abbiamo finito! Chiudiamo con un pensiero positivo! Ce la facciamo a portare “in alto” la cultura, sotto tutte le varie forme?
@c: non ne sono sicuro ma è un dovere provarci fino alla fine per allenarci alla bellezza e “restare umani”
@s: perfetto, alleniamoci tutti i giorni alla bellezza e “restiamo umani”! Grazie Angelo, alla prossima, magari a mare da @nandupopusss!
@c: Si al mare con @nandupopusss e delle belle dreher gelate. Grazie a te @svoltarock.
Viaggiare, conoscere nuovi territori, ampliare i propri orizzonti, assaporare nuove culture. Molte persone si mettono in viaggio per esplorare, scoprire e sperimentare il diverso, guardare con i propri occhi gli scenari conosciuti attraverso i media, riconoscere le icone di fama internazionale, assaggiare sapori autentici.
Una startup nata nel 2012 offre al turista interessato una possibilità in più per testare l’autenticità, far conoscenza con le persone del luogo e provare la vera cucina, quella domestica, preparata e offerta nell’intimità di casa. Stiamo parlando di EatWith, la versione culinaria di Airbnb, un portale che consente ad aspiranti host e guest di entrare in contatto fra loro, conoscersi e condividere un’esperienza unica nel suo genere.
L’idea è nata ad un giovane di Tel Aviv, Guy Michlin, quando un giorno, nel corso di una vacanza in Grecia, si è ritrovato a cena presso una famiglia che non conosceva, con la quale era entrato in contatto attraverso conoscenze più o meno dirette. L’esperienza ha preso una piega così positiva che, una volta ritornato a casa, ha subito iniziato ad pensare a come rendere disponibile a molti quella che per lui era stata un’occasione per conoscere persone interessanti e assaporare l’autentica cultura greca.
Poche cose come i prodotti tipici locali e le ricette di chi di giorno in giorno vive il territorio sanno comunicare l’identità del luogo con tanta immediatezza. La possibilità di trovarsi faccia a faccia con le persone che vivono i diversi Paesi può aprire a conoscenze interessanti, confronti stimolanti e inediti punti di vista su quello che s’immagina essere una certa cultura o un certo contesto. All’altro capo del filo, l’host può coltivare il suo amore per la cucina, ricevere persone provenienti da ogni angolo del mondo direttamente nel proprio salotto e condividere con loro i suoi piatti preferiti, facendosi testimone della sua cultura e delle sue passioni.
EatWith offre una proposta sociale e culinaria che per le sue caratteristiche si pone in estrema antitesi rispetto ai ristoranti turistici, i cosiddetti tourist-trap, omologati come la raffigurazione globalizzata delle icone cittadine, dal Colosseo al Ponte di Rialto. E il web, ancora una volta, offre l’infrastruttura che permette di unire punti lontani, aprire a possibilità inedite e testare nuovi modelli di business.
La community ad oggi è attiva in due Paesi e una città: Israele, Spagna e New York. Accedendo al portale, fra le altre cose, è possibile filtrare le varie proposte a seconda dell’area, del tipo di esperienza che si è interessati a provare – tourist, local o age 40plus – e, chiaramente, al tipo di cucina e il range di prezzo. Dalla cucina italiana, a quella vegetariana, a quella Kosher le proposte sono numerose e per ogni host è possibile visionare il profilo, leggere le recensioni degli utenti, vedere le fotografie di casa e dei piatti proposti. Ogni host ha una sua storia, che viene raccontata anche grazie ai suoi piatti, e il cibo diviene la base su cui costruire un dialogo culturale e personale, che nasce dai prodotti del territorio, prosegue attraverso le ricette di casa e arriva al turista, offrendogli uno spaccato della realtà autentica del Paese in cui si trova.
E’ una webzine che si occupa di turismo cercando di proporre contenuti selezionati, con un taglio diverso rispetto agli altri portali assimilabili.
L’intento principale è la chiarezza, si riflette nello stile estetico come nei contenuti.
Babele non vuole raccontare tanto dei luoghi ma delle modalità di viaggiare, di muoversi, di conoscere territori. In questo è esplicativo il pay-off “alfabeti di viaggio”: sottolinea come interessi il “come” più del “cosa”, capire i modi di essere diversamente turisti, più che parlare di mete vacanziere o località esotiche.
Lo stile è essenziale e nitido, sia graficamente che contenutisticamente.
Dal punto di vista estetico si ricerca la pulizia delle linee, lo sfondo bianco fa da contrasto ai colori delle foto, l’organizzazione è ordinata e intuitiva.
I contenuti affrontano da diverse prospettive il significato odierno dei turismi: i Fatti e l’Almanacco aggiornano e chiariscono normative e numeri, la sezione Techviews è dedicata a tecnologia e innovazioni, i Punti di Vista e le Storie danno respiro a considerazioni tecniche e ad esperienze personali.
La semplicità. Il sito si presenta fruibile e agile, sia nella navigazione che nella lettura.
Non si teme di sacrificare un po’ la quantità a favore di un approccio mirato e chiaro.
Come ogni nuovo nato, Babele – alfabeti di viaggio, deve ancora sfoderare le sue carte migliori: le diverse sezioni saranno via via arricchite, in un viaggio che coinvolgerà anche i lettori.
La semplicità e l’originalità, ma anche l’approccio analitico ed emotivo insieme, rispetto ad un settore importante come quello del turismo e del viaggio.
Coloro che sono interessati a orientarsi nel mondo attuale del turismo e del viaggiare, che vogliono scoprire, ma soprattutto comprendere, le nuove mete.
Trovate Babele – alfabeti di viaggio all’indirizzo www.babelemagazine.com
Suona la sveglia e con gli occhi ancora appiccicati di sonno guardi intontito l’orario: sono già le otto! Correndo esci da casa e riesci a prendere per un pelo la metro iper-affollata che ti porta a lavoro, l’ultimo lembo della giacca incastrato tra le porte, il tuo viso pericolosamente vicino a quello di un amante di aglio e cipolla. Per molti habitué della metro la situazione giornaliera si presenta così.
Esiste, però, anche un altro tipo di metro in cui i viaggiatori sono sì milioni, ma hanno l’opportunità di godere della bellezza di capolavori dell’arte. È quello che succede a Mosca, dove un intero treno è stato trasformato in una galleria che contiene ben 35 dipinti che vanno dal XVII al XXI secolo, i cui originali sono conservati al Museo di Ryazan, nella Russia occidentale.
Questo treno, chiamato “Watercolor”, suggestiva galleria d’arte in movimento che parte dalla stazione Partizanskaya, è stato inaugurato per la prima volta nel 2007 e da allora ha ospitato cinque differenti mostre, con capolavori provenienti dai principali musei di Mosca e di San Pietroburgo. “Watercolor” è un’iniziativa che incanta non solo i turisti curiosi ed esploratori, ma anche e soprattutto i numerosi pendolari che ogni giorno prendono la metro. La galleria su rotaie si è rivelata un modo intelligente e innovativo per promuovere l’arte, educare alla cultura e al bello, intrattenere e meravigliare i passeggeri.
La metro di Mosca è stata inaugurata nel 1935 per volontà del Comitato centrale del Partito Comunista. Ad oggi si tratta di una delle metro più lussuose e frequentate al mondo, con una media di 8 milioni di passeggeri al giorno. La metropolitana di Mosca non offre ai suoi frequentatori solo le bellezze di “Watercolor”, ma anche i lussi artistici delle sue stazioni, ricche di pitture, sculture, decorazioni, e la possibilità di viaggiare su altri treni particolarissimi: ci sono “Reading Moscow” e “Poetry in metro” che sono riservate ai grandi scrittori e poeti della letteratura russa e internazionale, di cui riportano illustrazioni e citazioni; “National home guard” e “The Battle of Kursk” sono, invece, a tema storico e commemorano momenti cruciali della storia moscovita.
La pratica di unire l’arte ai mezzi di trasporto pubblici non è, però, prerogativa esclusiva della capitale russa. In Europa, la nordica Stoccolma vanta una metro incantevole, le cui stazioni riprendono ciascuna un periodo significativo della storia dell’arte, dall’archeologia alle avanguardie. La “tunnelbana” di Stoccolma, progettata negli anni ’70 dall’artista finlandese Per Olof Ultvedt, è stata definita la più lunga galleria d’arte al mondo, esibendo oltre 100 km di opere, di circa 150 artisti.
Fuori dai confini europei spiccano le stazioni metro di Dubai e Toronto. A Dubai la metro è un gioiello di tecnologia e design: è completamente automatizzata, e affascina con le sue forme futuristiche, flessuose e luminose. La subway di Toronto è famosa per la “Museum Station”, una stazione che richiama l’esposizione permanente del sovrastante Royal Ontario Museum. È decorata con totem, sarcofagi egizi, elementi architettonici romani che regalano al viaggiatore una sensazione affascinante e particolare.
Ma non bisogna andare per forza così lontano per rimanere a bocca aperta di fronte alle meraviglie artistiche di una metro. Nel 1995, l’amministrazione comunale di Napoli, sotto il coordinamento artistico del critico d’arte Bonito Oliva, ha dato vita a “Le stazioni dell’arte”, un progetto ambizioso che ha trasformato le stazioni della metro di Napoli in gioielli d’arte contemporanea, fruibili da tutti i passeggeri. Si possono incontrare installazioni, mosaici, sculture, decorazioni di Sandro Chia, Luigi Ontani, Sol Lewitt, Mimmo Paladino, Mimmo Rotella, Mario Merz, Gilberto Zorio e di molti altri artisti, sia affermati che emergenti. Questa iniziativa nasce da ragioni di estetica e di comfort, ma anche dalla volontà di innescare un processo di riqualificazione delle zone sovrastanti le stazioni, spesso in stato di degrado.
C’è poco da fare, l’arte è uno strumento potentissimo che trasforma in “oro” tutto quello che tocca: l’oro della cultura e del bello, a servizio del funzionale e del confortevole.
La foto che non può mancare nell’album dei ricordi è quella che ritrae il monumento simbolo della città: la Tour Eiffel. L’angolazione prediletta per fotografarla è quella al di sotto della grande struttura, di fronte, al di là della Senna o dagli Champ-de-Mars. Questo colosso di oltre 320 metri è visibile anche a grandi distanze, perciò non mancherà in uno scatto panoramico di Parigi, a meno che, ovviamente, non vi saliate sopra.
Altra foto immancabile sarà quella della splendida cattedrale gotica di Notre Dame, con i suoi rosoni colorati, le guglie e l’affaccio sul fiume.
Vi perderete nel voler immortalare gli Champs Elysees, l’Arco di Trionfo, Place Vendome, il Moulin Rouge, il Sacre Coeur, Les Invalides e i tanti altri monumenti che rendono unica questa elegante capitale.
Non sottovalutate tuttavia scorci più inediti.
Soffermatevi ad osservare gli artisti all’opera lungo la collina di Montmatre, e non perdetevi il muro dei “Ti amo”, realizzato da Frédéric Baron e Claire Kito, in place des Abbesses, dove sono raccolte 311 dichiarazioni d’amore scritte in 250 lingue diverse.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=dLgA6ppP9gY]
Numerosi anche i cimiteri monumentali, come quello di Montmatre, appunto, quello di Montparnasse, dove sono sepolti Charles Baudelaire, Samuel Beckett, Alfred Dreyfus e Man Ray, e meritevole anche quello du Pere Lachaise.
Se vi siete spinti fin qui, siete vicini a Rue Belleville, dove lungo la strada potrete ammirare alcune opere dello street artist Ben Vautier, oltre che numerosi negozi etnici del quartiere multiculturale. A metà della via entrate in Parc de Belleville, con giardini terrazzati e moderni che offrono una vista privilegiata sul resto della città.
Sulla riva destra della Senna potrete scoprire il quartiere Le Marais, l’unico che conserva ancora le architetture prerivoluzionarie. Tra le intorno a rue des Rosiers, rue Vieille du Temple e rue Pavée c’è ancora la comunità ebraica parigina, con negozi e ristoranti tipici di questa cultura. Il quartiere è inoltre ricco di boutique di stilisti emergenti.
Offrono interessanti soggetti anche i mercati parigini: segnaliamo quello di Belleville, dai banchi con oggetti esotici, quello di Convention, il più grande per quel che riguarda prodotti alimentari, il Marché aux Timbres, in cui è possibile trovare libri di ogni genere e il Saint-Ouen specializzato in antiquariato e moda vintage.
Lungo la Senna è caratteristico passeggiare tra libri, riviste e cartoline dei Bouquinistes, venditori ambulanti che dispongono i loro banchi in fila.
L’atmosfera romantica ma all’avanguardia che si respira a Parigi merita un soggiorno degno di nota. Scegliere l’alloggio giusto in una città grande come questa, può diventare impresa ardua. Ma non lo sarà se seguirete i nostri consigli. In fondo, li abbiamo provati direttamente assieme agli amici di hotel.info e quindi vi potete fidare.
Prezzi contenuti e alta qualità siono i requisiti fondamentali presi in considerazione per la nostra selezione.
Inutile dirvi che il primo hotel che vi proponiamo, è anche quello che avrete l’opportunità di vincere partecipando a (S)Barca e Vinci 2 – Boarding Boat, il nostro esclusivo concorso fotografico. Che aspettate? Ancora indecisi?
Hi-Matic Hotel***
Albergo ecologico e colorato progettato da Matali Crasset, l‘Hotel Hi Matic sorge tra la vivace Place de la Bastille e il famoso Cimitero del Père La chaise, e propone camere in stile contemporaneo con docking station per iPod.
Tecnologia e confort sono le parole d’ordine della struttura: materassi in memory foam, TV satellitare, connessione Wi-Fi gratuita nonché un sistema di check-in automatico, che consente di accedere alla struttura 24 ore su 24, e distribuisce gratuitamente tè e caffè biologico dalle 05:30 alle 12:00.
In posizione centralissima, l’hotel dista appena 400 metri dalla Stazione della Metropolitana Charonne e solo 1 minuto a piedi dalla fermata dell’autobus n° 76, che vi condurrà direttamente al Museo del Louvre.
Hotel Minerve***
Situato in un edificio in stile haussmaniano di fronte al Palais de Mutualité, a 210 metri dalla stazione della metropolitana Cardinal Lemoine, l’Hotel Minerve a 3 stelle è il punto di partenza ideale dal quale cominciare a scoprire la romantica Parigi.
Decorata con arazzi e pareti in pietra, la sala ristorazione dell’Hotel Minerve è rinomata per la sua abbondante colazione a buffet.
A soli 300 metri dalla fermata della metropolitana di Jussieu, l’Hotel Minerve dista 600 metri dai Giardini Botanici e 10 minuti a piedi dalla Cattedrale di Notre Dame.
Best Western Diva Opera***
Nel cuore di Parigi, a due passi dall’Opéra Garnier e dalle Folies Bergères, il Best Western Hotel Diva Opéra è un hotel nuovissimo dall’aspetto riservato, artistico e ultra contemporaneo.
Situato in un’elegante dimora parigina totalmente riorganizzata in boutique hotel questo hotel vi farà rivivere la Parigi delle dive, dei grandi magazzini e delle boutique chic.
Grand Hotel Amelot***
Situato a soli 700 m dalla Piazza della Bastiglia, il Grand Hôtel Amelot, offre tutto il necessario per regalare ai propri clienti un soggiorno perfetto in quel di Parigi, grazie anche alla sua ubicazione nel cuore della città e vicinissimo a luoghi celebri come Piazza della Repubblica o il quartiere di Marais.
Il servizio wi-fi è disponibile gratuitamente nella hall dell’albergo.
Hotel Angely***
Situato a 400 metri dal Canal Saint-Martin e dalla Place de la République, a 10 minuti a piedi dal quartiere parigino di Marais, l’Hotel Angely offre un bar e la connessione Wi-Fi gratuita.
Decorate con tratti dai colori vivaci, le camere sono dotate tutte di aria condizionata e TV satellitare a schermo piatto.
Pane, saccottini al cioccolato e croissant fatti in casa sono le specialità della colazione, che può anche essere servita in camera. Cosa desiderare di più?
Parigi: solo a pronunciarne il nome si stagliano nella nostra mente immagini romantiche, opere d’arte e monumenti magnifici, storie e racconti di altri tempi.
La Ville Lumiere è del resto da sempre cuore pulsante di creatività e innovazione – è la patria della Rivoluzione, la culla di nuove forme artistiche e punto di riferimento per quel che riguarda la moda. Proprio per questo suo carattere abbiamo voluto sceglierla come meta premio del contest (S)Barca e Vinci 2 – Boarding Boat.
Il 9 giugno, presso il Circolo degli Artisti di Roma, il pubblico voterà tra le opere fotografiche in gara, decretando il fortunato vincitore che dovrà preparare la valigia. Ad attenderlo un hotel tecnologico vista Bastiglia!
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=K20_frEKN_w]
Vogliamo perciò proporvi un modo inedito di visitare la città, che per il suo eclettismo offre variegate chiavi di lettura. C’è la Parigi per gli innamorati, quella per gli esperti dell’arte, gli appassionati di storia o i modaioli alla ricerca di grandi eventi, ma c’è anche la città che si mostra in tutta la sua bellezza, i suoi dettagli e gli scorci indimenticabili, quella che è possibile conservare, oltre che con i ricordi, solo armati di macchinetta fotografica.
E’ del resto tra la Senna e Notre Dame che nacque l’arte fotografica, con Niépce e Daguerre prima, con Nadar poi, e numerosi altri appassionati della camera oscura, affascinati dagli ineguagliabili soggetti parigini. Tra tanti Robert Doisneau, Cartier Bresson, Atget.