Turismo, nuove tecnologie, smart cities, saranno d’ora in poi al centro di una progettazione condivisa con la metodologia European Awareness Scenario Workshop. Il Parco Scientifico Tecnologico San Marino-Italia (PST) è in progress e indaga le peculiarità delle aziende del territorio per leggere le esigenze dei sistemi sociali di riferimento. Entro fine anno verranno presentati tutti gli elementi per disseminare domanda di innovazione provocando sviluppo ideativo. La fase di start up appena avviata tuttavia è un momento cruciale poiché non esistono modelli predefiniti.
L’appello alla concretezza per i progetti che investono i due Stati, Italia e San Marino, condiviso nel colloquio estivo al Meeting di Rimini tra alcuni Ministri dei due paesi descritto come intenso e franco, sembra aver dato impulso significativo al lungo percorso PST (nato nel 2007). Dopo la firma dell’Accordo Quadro fra l’Associazione Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani (APSTI) e la Repubblica di San Marino, ora si passa all’avviamento. Comitato di indirizzo strategico, programmi concertativi, quattro Commissioni che opereranno due mesi: ecco l’alba di un progetto Parco scientifico e tecnologico italo-sammarinese di terza generazione quale hub internazionale.
La capacità d’innovazione di un territorio è il risultato di un complesso di relazioni tra attori e istituzioni che congiuntamente creano, accumulano, trasferiscono, conoscenze e tecnologie. Così alla ricerca della definizione del modello più idoneo e di scenari, in termini di destinatari, tipo organizzativo, raccordo layout spazio-funzione, il Comitato di indirizzo è al lavoro con una serie di incontri. Per arrivare entro l’anno alla firma dell’Accordo formale di concertazione occorre animare alcuni tavoli di dialogo con i rappresentanti delle categorie economiche sammarinesi e quelli delle imprese interessate, coi rappresentanti degli enti territoriali e delle associazioni di categoria delle Province e delle Regioni italiane limitrofe. Un percorso complesso ma doveroso considerato che ricerca e innovazione sono due facce della stessa medaglia che richiedono dialogo, gestione del consenso, governance ma presuppongono politiche, strategie e strumenti fortemente differenziati.
Il Parco che può rappresentare un acceleratore di competitività delle imprese deve essere concepito come un polo di un sistema costituito da soggetti che si integrano. In effetti una sfida operativa è quella di costruire modelli d’integrazione, una rete e organizzare il trasferimento di conoscenze. Ma c’è molto di più in gioco. Ridisegno del paesaggio, terreni da urbanizzare, espansione, infrastrutture, partecipazione, regime fiscale ad hoc, strumenti di politica sociale e del lavoro particolarmente favorevoli. La cooperazione con la rete dell’APSTI, che metterà il proprio know how, conforta e potrà avere effetti considerevoli per la proiezione internazionale.
Non avrebbe tuttavia senso perseguire un generico insediamento di imprese innovative senza un indirizzo specifico. Turismi e nuove tecnologie ICT, Smart communities e smart cities saranno d’ora in poi al centro di una progettazione condivisa con la metodologia European Awareness Scenario Workshop (EASW). Conoscenza, innovazione tecnologica, giustizia sociale, partecipazione democratica costituiscono asset competitivi. Il livello d’innovazione, come processo di costruzione sociale, sarà il differenziale che distingue il grado di sviluppo della cultura materiale di un luogo.

In Abruzzo è finalmente venuto il momento di progettare il futuro, di programmare la rinascita materiale ed immateriale dei luoghi. Uscita di scena la Protezione Civile, infatti, e sostanzialmente superata la fase della prima emergenza, si pone ora, per Regione, Provincia e Comuni colpiti dal sisma, il problema di definire contenuti e regole per la ricostruzione del patrimonio pubblico e privato, dando attuazione a quanto già stabilito nei decreti del Commissario Straordinario (il presidente delle Regione), coadiuvato dall’Unità di Missione di recente costituzione.
Il tema non è di poco conto perché si tratta di ripensare anche radicalmente l’assetto del territorio, la localizzazione ed il funzionamento delle attività, il che pone naturalmente non solo questioni legate alla dimensione fisica degli interventi, ma anche a quella del senso e del con-senso rispetto alle operazioni da attivare. E’ ormai chiaro che il processo di ricostruzione da avviare deve essere condiviso dagli operatori economici e dalla comunità locale (che ne rappresentano i principali attuatori) e deve porsi obiettivi di sviluppo, definendo nuovi scenari di crescita – sicura e sostenibile – per l’intero sistema territoriale aquilano.
A tal fine, l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) e l’Associazione Nazionale Centri Storico-Artistici (ANCSA) hanno siglato un accordo di cooperazione per l’attivazione di un Laboratorio Urbanistico per L’Aquila (LuAq). Lo scopo è quello di fornire alle amministrazioni locali un contributo di carattere essenzialmente metodologico, attraverso il dibattito tra esperti, tecnici, amministratori  e portatori di interessi locali, in una delicatissima fase di programmazione della ricostruzione. Il Laboratorio si offre come luogo di incontro e di scambio, per la cultura urbanistica nazionale ed internazionale,  sul tema della ricostruzione di luoghi di eccezionale valore non solo sotto il profilo storico-architettonico, ma anche economico, sociale e culturale, e si propone come punto di riferimento nel corso del tempo di attuazione ed implementazione degli interventi: raccogliendo e diffondendo conoscenza; operando una ricognizione delle risorse esistenti; coinvolgendo figure di rilievo del mondo culturale e professionale; proponendo soluzioni applicative ed operative ai diversi problemi che la ricostruzione di questo importantissimo sistema di centri storici pone.
Nell’ambito di questa attività, è stata programmata una serie di workshop tematici ad inviti con lo scopo di individuare criticità e proposte, da svolgersi all’Aquila. Ad esempio, il seminario del 27 maggio su “La ricostruzione dei centri storici” coordinato dalla prof.ssa Manuela Ricci (direttrice di Focus, centro di ricerca  della Sapienza, Università di Roma che si occupa specificamente della valorizzazione dei centri storici minori ) e dal prof. Walter Fabietti (docente di urbanistica all’Università di Chieti ed esperto di politiche di prevenzione antisismica), che guarda all’intero sistema territoriale dei centri storici dell’Aquilano e si focalizzerà sui temi della ricostruzione nella logica della prevenzione, del riavvio dello sviluppo economico, della costruzione degli strumenti di intervento (perimetrazioni e piani di ricostruzione).
All’incontro interverranno esperti e professionisti che si confronteranno sulle criticità che il tema pone sia in termini generali, la ricostituzione di un luogo “annullato” da un evento catastrofico, che peculiari, in relazione all’individuazione, da parte del Governo e del Commissario Straordinario, di specifici strumenti di intervento e di sostegno.

Scarica il testo dell’accordo

Intervista a Marialivia Sciacca – responsabile della parte video e collaboratrice dell’associazione Piccolo Formato

bolognina1L’associazione fotografi Piccolo Formato, con il contributo della Fondazione Carisbo e del quartiere San Vitale, ha dato via nel 2007 ad un particolare tipo di progetto video fotografico sulle trasformazioni urbane della città di Bologna dal titolo “Infrazioni, stratificazioni, confini”. Di cosa si tratta esattamente?
Il progetto “Infrazioni, stratificazioni, confini” nasce con lo scopo di monitorare la città e i suoi spazi urbani, con una particolare attenzione rivolta non tanto ai centri storici veri e propri, quanto a tutte quelle zone che una volta venivano considerate periferia e che oggi invece, viste le numerose trasformazioni di cui sono protagoniste, si possono considerare parte di quella che viene chiamata “città diffusa”. Le trasformazioni che osserviamo di volta in volta attraverso il mezzo video e attraverso la fotografia riguardano sia il livello nazionale (ad esempio le profonde mutazioni provocate dall’insediamento della linea ferroviaria ad alta velocità Milano-Napoli), che quello locale, toccato da cambiamenti fisici, architettonici e sociali che hanno interessato, per questo progetto, la città di Bologna. “Infrazioni, stratificazioni, confini” ha come focus l’osservazione e la documentazione di queste zone in maniera continuativa e diffusa, fornendo una panoramica coerente e approfondita delle realtà analizzate.
Il primo esperimento che abbiamo condotto con l’associazione del Piccolo Formato ha avuto come protagonista la zona di Scandellara: da un workshop di fotografia si è passati all’osservazione pratica grazie alle numerose passeggiate per le vie del quartiere che hanno permesso ai partecipanti di testare con mano la complessità di questo luogo e di dare vita a degli scambi concreti tra chi quei luoghi li vive e chi, invece, li va a conoscere per comprenderli.
Tutto il materiale raccolto e prodotto in questo workshop, durato circa 6 mesi, è quindi confluito in una mostra presso la sede del quartiere San Vitale, in cui sono state esposte al pubblico le gallerie di immagini realizzate e un documentario esplicativo.
La seconda zona presa in considerazione è quella della Bolognina, su cui lavoriamo già da un anno e su cui abbiamo intenzione di continuare a lavorare ancora per diversi mesi. La prima volta che siamo andati lì, infatti, era ancora tutto in costruzione: la sede del Comune era ancora un cantiere aperto così come lo era la linea ferroviaria dell’alta velocità. Oggi la sede del Comune è stata completata e tutte le attività vi si sono trasferite e la linea ferroviaria è stata inaugurata. È ora, quindi, che inizia la trasformazione che più ci interessa, quella che riguarda le reazioni della popolazione alle novità del territorio. È per questo che pensiamo che proprio sulla Bolognina dovremo restare fissi con le nostre macchine fotografiche e videocamenre a monitorare la situazione ancora per diversi anni.

Prima Scandellara, quindi, e ora la Bolognina. Quali sono le principali differenze tra queste due zone? Sono così diverse l’una dall’altra?
Bologna ha un centro storico che, come tutte le altre città italiane, è ristretto, ma anche circoscritto. Dal centro si dipanano poi le porte e i ponti che conducono ai quartieri esterni, quelli che una volta venivano considerati periferici. La Bolognina si trova proprio a ridosso del centro, vicino al ponte della stazione, quindi appena fuori dal cerchio. Scandellara, invece è molto più distante. Questi elementi credo servano per spiegare le profonde differenze, sia a livello sociale che a livello architettonico, che ci sono tra i due quartieri.
Bolognina è abitata principalmente da extracomunitari, instaurati lì da moltissimo tempo. Tra tutti, i più numerosi sono i cinesi che da 15-20 anni portano avanti attività commerciali di tutti i tipi: dai ristoranti ai laboratori tessili. Numerosi sono poi gli eritrei, anche loro ben integrati e ben equipaggiati a livello commerciale: parrucchieri africani, mercati di prodotti tipici campeggiano un po’ in tutta la zona. Infine, a delineare un ulteriore stratificazione sociale, vi sono i Rom, che rappresentano l’insediamento più recente, e che hanno occupato praticamente tutta la parte che era stata demolita in precedenza e hanno costruito le loro abitazioni tra le macerie. Il grande mercato ortofrutticolo, una volta simbolo del quartiere, è stato spostato altrove ed ora rimane al suo posto il centro sociale Xm24 che cura molte attività culturali e ricreative tra cui quella del mercatino dei produttori biologici che vendono direttamente al pubblico e sede inoltre della street art bolognese capitanata dall’artista Blu, personaggio molto conosciuto per i suoi graffiti e la sua arte di strada.
Scandellara è, invece, molto diversa. Non ha una stratificazione sociale così ricca e differenziata. È tagliata da una tangenziale, il cui fulcro è rappresentato da un gigante mercato dell’Est dove si vende di tutto, dalle roulotte ai prodotti tipici dell’Europa orientale, e circondata da costruzioni popolari simbolo della speculazione edilizia degli anni ’80 che, improvvisamente, si confondono in mezzo a vecchie ville e case di campagna abitate da contadini e aventi nella parte anteriore diversi campi coltivati, che si protraggono fino a sotto la tangenziale stessa. Le trasformazioni a cui è soggetta Scandellara sono, quindi, prevalentemente architettoniche.

comunitaeritreaDue workshop, una mostra, tanto materiale fotografico e diversi video realizzati sul campo, il tutto corredato da un sito internet molto interessante e dinamico. Qual è il messaggio che volete comunicare con questi diversi mezzi di divulgazione? E quale è stata la risposta della cittadinanza a queste iniziative?
L’osservazione a cui giungiamo attraverso l’arte della fotografica o quella cinematografica è qualcosa di profondamente diverso da quello che è il mero monitoraggio dell’amministrazione comunale, ad esempio. L’aspetto artistico di queste contraddizioni e trasformazioni negli spazi urbani, è il punto di vista che prediligiamo sempre e comunque e con il quale andiamo a scorgere le interazioni e le sinergie che prendono vita tra nuove realtà sociali e territoriali. Se molto spesso ci troviamo di fronte a delle situazioni in cui “il nuovo” si fonde con “il vecchio” senza dare luogo a cesure o conflitti, è pur vero che, altrettanto spesso, questo non accade e ciò che ne risulta è un continuo scontro per il dominio dello spazio pubblico.
Andare a riprendere queste situazioni con il mezzo artistico è stato un momento di grande apprendimento per noi e, successivamente, un momento di grande partecipazione per la popolazione stessa. Io, non essendo bolognese di nascita, ho scoperto e osservato con il tempo quanto i bolognesi siano attenti a ciò che accade intorno a loro. È qualcosa che, provenendo dalla provincia, non avevo mai notato altrove. Credo sia anche per questo che l’amministrazione comunale sia tanto sensibile a questi temi organizzando laboratori partecipati e mettendo a disposizione della cittadinanza strutture come l’Urban Center, un vero e proprio spazio di dialogo e informazione sulla città e il territorio.
In tutti e due gli incontri che abbiamo organizzato per la cittadinanza, la risposta è stata molto positiva, andando ad evidenziare un attivismo che è tipico di Bologna e della sua popolazione.
Io, curando la parte video, sono stata molto a contatto con la gente, intervistando le persone e andandole a conoscere. La cosa che mi ha colpito è la voglia di queste persone di esprimersi, molto spesso semplicemente per additarsi l’un l’altro portando alla luce un margine di intolleranza che non può essere trascurato: il cinese, il Rom, il tunisino così come il punkabbestia o lo spacciatore di quartiere, vengono visti in maniera arbitraria come soggetti da isolare, non capendo che in realtà sono semplicemente componenti di una trasformazione ben più grande e profonda, che coinvolge tutto il territorio a livello culturale e strutturale.

Qual è stata invece la risposta degli enti locali, delle amministrazioni alla vostra iniziativa?
Il Comune di Bologna ha cominciato finanziando il progetto Spazi Urbani nella sua fase iniziale.
Questo anche perché si è andata creando una sinergia con il PSC (Piano Strutturale Comunale), un piano sul quale il Comune sta lavorando e che ha dei punti di contatto con il nostro progetto. Gli enti locali in generale si sono mostrati molto interessati alla nostra iniziativa che poteva essere per loro anche un ulteriore strumento di monitoraggio del territorio cittadino. Quello che vogliamo però evitare in tutti i modi è di diventare un mero strumento di comunicazione per il Comune. La nostra osservazione è oggettiva e artistica, non istituzionale. Abbiamo libertà e autonomia per un’indagine che ha come fulcro principale l’arte, non la politica territoriale. Altrimenti ci ridurremmo ad essere una cassa di risonanza dell’Urban Center e questo non avrebbe molto senso.

Nel vostro progetto sembra quasi andiate a tracciare una sorte di confine tra quelle che definite le “diverse Bologna”: quella rurale, quella industriale e quella contemporanea, commerciale. Il vostro progetto si concentra solo sull’osservazione o si spinge anche verso l’intervento attivo in queste zone?
Nel momento in cui andiamo con la macchina fotografica o con la videocamera a conoscere queste zone e i loro abitanti c’è sempre interazione. Quella è imprescindibile ed è la base per la creazione, in futuro, di laboratori di arte urbana che coinvolgano i residenti: la formula è “ti propongo di fare qualcosa mentre anche io lo sto facendo” ed è secondo me quella vincente.

Il fenomeno dell’immigrazione, ad esempio quello della comunità eritrea, è stato immortalato da diversi fotografi e, tu stessa con un video che stai preparando sulla Bolognina, incontri diversi residenti provenienti da diverse realtà sociali. Le persone che avete coinvolto si sono prestate senza indugi a questo progetto?
Personalmente, durante la realizzazione del video ho incontrato delle difficoltà, ma meno di quanto si possa immaginare. Alcune volte ho preso degli appuntamenti per delle interviste, ma è stata una cosa molto rara. Molto più spesso mi sono ritrovata a condurre delle interviste assolutamente non programmate che, mi sono resa conto, offrono uno spaccato di vita molto più autentico e naturale. Ho trovato delle persone ben disposte al dialogo, anche tra gli stranieri. Tranne i cinesi, che non sono riuscita ad intervistare nonostante la mia insistenza. Invece, i nordafricani e i bolognesi stessi parlano anche per ore davanti alla videocamera montando delle atmosfere interessanti e spontanee.
Gli altri ragazzi che collaborano con me e si interessano della fotografia hanno utilizzato spesso anche altri metodi. Alcuni hanno contattato i leader delle varie comunità che hanno parlato delle loro attività sociali, ricreative e religiose fornendoci delle informazioni interessantissime a corredo delle fotografie scattate.
Matteo Montanari, invece, che si è occupato di fotografare i Rom, ha notato come, ad esempio, all’inizio ognuno di loro chiedesse dei soldi per essere fotografato. Poi un giorno, mentre faceva un ritratto ad un suo amico sassofonista che suonava in quest’area completamente abbandonata e dismessa, si sono fatti immortalare gratuitamente e con entusiasmo, trascinati dalla musica che è, per questi luoghi, un evento insolito e strano.

Il progetto della Bolognina quindi, vi terrà impegnati ancora per qualche anno. Avete anche altre idee in cantiere?
Il 14 marzo ci sarà la serata di chiusura ufficiale dei workshop con la presentazione dei video e delle gallerie fotografiche a sfondo sociale.
Tra poco partirà un altro workshop sul tema della decentralizzazione e dei nuovi flussi di trasporto, argomento di grande attualità soprattutto dall’ingresso a Bologna del Civis, il nuovo autobus che percorre tutta la città, dal centro alla periferia, ad emissione zero.
In autunno ci saranno poi una serie di iniziative concentrate in una settimana e diffuse in tutta la città: esposizioni multimediali, incontri e dialoghi con il pubblico, mostre e proiezioni video saranno al centro di un evento in cui la protagonista non sarà solo Bologna ma anche altre città, a livello nazionale e internazionale.
Questo evento sarà un po’ una summa del lavoro svolto da Piccolo Formato che, quest’anno festeggerà anche il suo decennale.

Foto di Matteo Montanari e Francesco Flamini

Per approfondire:
www.spaziurbani.it

viaggiatori-di-noteIntervista con Valentina Nastro – Direzione organizzativa Viaggiatori di Note

Viaggiatori di note è il primo evento in Italia , anche dal taglio internazionale, dedicato ai viaggi e alla musica. La manifestazione punta a valorizzare e promuovere il fenomeno del turismo musicale, una forma particolare di turismo culturale che coinvolge numeri consistenti e tipologie diverse di target. Ci spiega come è nata l’idea e le caratteristiche di questo evento?
Lo spunto ci è venuto da una buffa considerazione su una canzone di Daniele Silvestri, “La paranza”: ci siamo chiesti se questo avesse incrementato il turismo sull’isola di Ponza. Piano piano ci siamo resi conto che in quello che dicevamo poteva esserci in fondo una verità e abbiamo cominciato ad approfondire il fenomeno della musica come motivo di viaggio; è stato poi una conseguenza naturale scoprire come il turismo musicale sia un aspetto importante del turismo culturale. La musica e il turismo sono legati in maniera strettamente diretta: capita che si viaggi per visitare il luogo dove è nato, vissuto e persino sepolto il proprio idolo ma anche per concerti e grandi eventi, sempre più spesso legati alle tradizioni e al folclore locali. Quello musicale è probabilmente l’unico ambito del turismo dove l’offerta non riesce a soddisfare tutta la domanda.
L’evento Viaggiatori di note è stato articolato in quattro giorni che hanno visto sfilare ed esibirsi musicisti e scrittori, ma anche confrontarsi e riflettere chi il turismo lo fa e chi la musica la organizza. Sede della manifestazione è stato il vecchio carcere mandamenatale di Ischia Ponte

 

Nel primo workshop dedicato al turismo musicale, tenutosi all’interno di Viaggiatori di Note, si sono incontrati gli operatori turistici e i responsabili di associazioni culturali, festival e teatri. Lo scopo – si legge da comunicato – era l’individuazione di itinerari che portino i turisti verso le destinazioni musicali. Quali sono state le conclusioni? Si può azzardare a fare una previsione sugli sviluppi futuri del settore?
Music Tourism Workshop è partito come un esperimento a cui hanno partecipato realtà nazionali ed internazionali. In Italia, ad esempio, ci sono tantissimi territori il cui attrattore principale è proprio la musica: basti pensare a Torre del Lago di Puccini, a Busseto con tutti gli itinerari Verdiani, o anche a realtà come La notte della Taranta, durante la quale ogni anno nel piccolo paese della Grecìa salentina, Melpignano, si radunano circa centomila persone provenienti da ogni dove per scatenarsi nel ballo della tradizione salentina.
Sicuramente il turismo musicale è un settore in espansione e in Italia esistono già dei tour operator specializzati che si occupano solo ed esclusivamente di questo. Molti operatori ritengono che sia una occasione da non farsi sfuggire, un mercato giovane ancora tutto da esplorare. Per la prossima edizione del Music Tourism Worskshop, che si terrà a Ischia sabato 6 giugno 2009, punteremo anche alla partecipazione di rappresentanti d’oltreoceano interessati a “vendere” l’Italia musicale. Ci sarebbero da citare casi molto interessanti di collaborazione tra realtà diverse. Uno per tutti è  l brand “Note in Viaggio”, a cura del tour operator Alderan e dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nato con lo scopo essenzialmente di far viaggiare il pubblico dell’Accademia accompagnato da studiosi ed esperti. Oltre agli enti locali e ai Tour operator, ad entrare in campo ci sono anche forme diverse di imprese, culturali e non: una buona scuola di musica od un conservatorio che nell’ambito di festival e rassegne propongono stage formativi importanti sono in grado di attirare numeri consistenti di musicisti.
A Liverpool, per esempio, hanno aperto un luxury hotel “Hard Day’s Night” ispirato interamente ai Beatles e alle loro canzoni; a Las Vegas esiste una “wedding chapel”, chiamata “Viva Las Vegas” dall’omonima canzone del mitico Elvis, dove ogni anno arrivano migliaia di persone per sposarsi con la benedizione del fantasma del compianto Presley; tantissimi turisti vanno a Buenos Aires solo per ballare almeno una volta in una delle tante storiche Milonghe, locali dove si balla il tango.

Quali tipologie di turismo musicale  può annoverare? C’è quello legato ai luoghi o legato al genere musicale, ecc… Quale comparto del settore è più florido? Citi qualche esempio…
Sicuramente il comparto meglio strutturato è quello che riguarda la musica classica e lirica. Gli itinerari sono tantissimi e il turista musicale viaggia per seguire la rappresentazione, il cantante o il direttore d’orchestra preferiti..
E’ in relazione a questo comparto che è possibile avere maggiori stime sul fenomeno perché a raccogliere i dati sono i tour operator. Il concetto di turismo musicale è molto allargato, nel senso che è un ambito abbastanza vasto e ci sono esempi, come dire, nobili e “meno nobili”.
Come detto, c’è quello legato ai luoghi di musicisti e compositori – gli esempi sono tantissimi; per citarne alcuni la Dublino degli U2 o la Liverpool dei Beatles o la Salisburgo di Mozart -, quello legato al genere musicale- la Notte della Taranta già citata ne è un esempio-, dal reggae al rock al folk. E poi ci sono gli itinerari legati ad Elvis Presley, luoghi di vita e di morte.
Senza andare lontano ritornando all’idea buffa di Ponza e la Paranza, Daniele Silvestri, ospite alla prima edizione, ci ha raccontato che in effetti il sindaco dell’isola lo ha chiamato ringraziandolo e dicendogli che dopo la sua canzone il flusso turistico era aumentato.

Profilo del turista musicale tipo?
La cosa interessante è che turisti musicali attraversano un po’ tutti i target, dai giovani dei grandi raduni rock ai 30-40 anni appassionati Jazz per arrivare agli over 60 dei grandi festival lirici e classici. Tutti attratti dalla musica di qualsiasi genere e pronti, chi più chi meno, a incrementare un indotto economico di tutto rispetto.

Spesso il turismo musicale è legato al singolo evento – al concerto del cantante famoso che mobilita centinaia di migliaia di persone – e ai viaggi verso le città tappe del tour.  Un “turismo” non sistematico…Ci piacerebbe analizzare quel turismo musicale che riesce a sortire effetti sia materiali che immateriali sulla location in cui si svolge. Cosa pensa dell’aspetto che vede legati musica e territorio?
Time in Jazz è un esempio virtuoso e Berchidda, il paesino dove si svolge, ha ormai la sua popolarità. E’ ovvio che per avere un tale successo ci vogliono ingredienti che funzionino e non ultima, in questo caso, la popolarità del suo direttore artistico Paolo Fresu.
Gli effetti di questa operazione sono ovviamente un indotto economico importante e la nascita di nuova occupazione. In tutto questo Berchidda ha acquisito un valore aggiunto, il valore percepito che la rende un posto da vedere ed un posto in cui esserci, per dirla impropriamente quasi una moda. Ma gli esempi sono tanti , piccoli o grandi non ha importanza.

Quello dei festival o dei grandi eventi rimane la soluzione ancora valida e vincente per il turismo musicale, o le prospettive guardano altrove?
Come si diceva, non ci sono solo i festival ed i grandi eventi, in alcuni casi basterebbe sfruttare promozionalmente la musica per attrarre turismo. Ci sono paesi in cui la musica rappresenta una parte importante dell’immaginario collettivo che andrebbe sviluppato e alimentato. Napoli ne è un esempio significativo perché per circa un secolo la sua immagine è stata indissolubilmente legata alla musica tradizionale napoletana conosciuta in tutto il mondo. A chi non sarebbe piaciuto andare a Napoli e assistere ad un concerto? Ma qui c’è qualcosa in più e lo dimostrano i fatti…esistevano all’inizio del 900 persino delle cartoline musicali dove venivano riprodotti, tanto per citare un caso,  il Vesuvio e il mare sullo sfondo con davanti il pentagramma e le parole di “O’Sole mio”- canzone che ha portato la capitale partenopea ad essere nota dappertutto. Lo stesso fenomeno caratterizza  Buenos Aires con il tango o a San Paolo con il samba o la bossanova.

“Nel settore del turismo culturale la musica rimane uno dei più forti attrattori culturali ed ha un immenso potere di promozione. È probabilmente anche quello più diffuso, più completo e appagante rispetto alle classiche tipologie di viaggio culturale” … Esistono ricerche specifiche in merito? Può consigliarci approfondimenti a riguardo?
Purtroppo non c’è quasi nulla in merito se non qualche dato rilevato dagli enti pubblici, anche per questo motivo abbiamo voluto creare un convegno all’interno di Viaggiatori di Note per iniziare il confronto e provare a mettere dei punti fermi sul fenomeno.
Inoltre ci stiamo adoperando per avviare una collaborazione con alcune Università per cercare di affrontare in maniera sistematica e scientifica le dinamiche del turismo musicale.
Speriamo di poter dire qualcosa in più nella prossima edizione di Viaggiatori di Note, sempre ad Ischia dal 4 al 7 giugno 2009.

www.turismomusicale.it