Anche la statistica può sorprenderci. Da un paio d’anni i dati relativi alla domanda di cultura spiazzano gli analisti: sembra che tutto crolli, eppure la domanda di esperienze culturali nei musei e nei teatri, l’acquisto di opere d’arte, le aste di fotografie, video e dipinti contemporanei, registrano una crescita inedita e certamente inaspettata.
Evitiamo di farci intrappolare nei luoghi comuni (“la cultura non si mangia”) e ragioniamo senza pregiudizi. Nel mondo che si sta estinguendo, la cultura è stata il fronzolo muscolare di una borghesia proterva e convinta di aver trovato la verità; simbolo di status, sintomo di eccellenza, segno di superiorità, quella cultura è stata foraggiata dal denaro pubblico, è stata di fatto esentata da qualsiasi valutazione critica, ed è stata biecamente collocata nella pista della rincorsa al successo: dalle mostre blockbuster ai concerti dei tre tenori, purché ci fosse un pubblico vasto e possibilmente genuflesso, sembrava che anche la cultura adottasse le opzioni manifatturiere.
Il mondo va altrove, per fortuna. E il desiderio di bellezza, già emergente negli scorsi anni e ben più eclatante in tempi di vacche magre, disegna la nuova mappa della società contemporanea e futura; magari si può fare a meno di capi griffati, di vacanze artificiali, di auto ingombranti; ma se ci priviamo della cultura perdiamo l’unico vero specchio cui riferirci per capire chi siamo.
Certo, il fenomeno è complesso, ma qualche ipotesi si può fare. Va detto che solo per pochi (e in via di estinzione) l’acquisto di un’opera d’arte è un investimento finanziario; possiamo anche conoscere la curva delle quotazioni, ma nessuno può più valutarne con certezza l’evoluzione futura; i musei stanno perdendo il ruolo di certificatori di qualità, l’arcipelago creativo si muove e dunque produce molti segnali talvolta contraddittori, il pubblico più attento guarda più alla partecipazione che non alla proprietà. L’arte e la cultura (dai quadri agli e-books, dalla musica alla danza) sono diventati (finalmente!) la risposta più acuta e appropriata alla nostra ricerca di senso, ossia di direzione. Dove andiamo? Che cosa guardiamo? In che modo viviamo?
Il coagulo di idee e desideri che risiede nel cuore delle opere d’arte e dei prodotti culturali è l’unica possibile guida che può accompagnarci fuori da un mondo ormai putrefatto e verso orizzonti tutti da esplorare. La cultura, in questo senso, è il paio d’occhiali che ci aiuterà a renderci conto e dunque a fare le nostre scelte; se mancasse rimarremmo paralizzati dalla nostalgia. Ecco perché la società e gli individui che la forgiano sono così attratti da quello che sembrava un sistema minoritario e straccione, e che adesso appare in tutta la sua complessa potenza: è l’unica cosa che descrive con eloquenza la natura umana e le sue dinamiche; è l’unica attività che distingue gli umani dal resto del regno animale; linguaggio, gerarchie, dominio, lotta, seduzione, responsabilità: ogni specie animale ne è caratterizzata; soltanto la specie umana ha la cultura e il desiderio di bellezza come simbolo e atmosfera. Teniamocela stretta.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro