Nuove minacce per il cinema in Italia, dopo decenni di sofferenza: si muove con difficoltà in un mercato complicato e forse troppo veloce, si dibatte tra maglie burocratiche rigide e ostacoli finanziari, ha ceduto il posto a banche, supermercati e parcheggi, e adesso si becca pure l’IMU commisurata ai metri quadri; inutile dire che l’imposta va a gravare sui proprietari e non certo sui produttori; gli oscuri ma indispensabili mediani del mercato cinematografico ne vengono colpiti, i disinvolti guru dello star-system non se ne accorgono nemmeno. E’ un problema? Certo, ma soprattutto è l’ultima dose di un lungo processo che ha debilitato l’industria del raggio di luce in movimento.

Già nel 1936 l’economista Keynes diceva: “L’arte va liberata dal fardello della tassazione”, intuendo che lasciar crescere il sistema culturale può produrre benefici altrimenti impossibili. Noi ci ostiniamo a governare l’arte come un ufficio pubblico, gonfiando il petto con slogan a buon mercato e al tempo stesso ignorandone la delicata unicità. Quanto gettito può produrre l’IMU pagata dalle sale cinematografiche? A che cosa ci impone di rinunciare? Se c’è una cosa che manca tuttora in questa decadente provincia dell’impero è proprio la strategia, unica zattera che può salvare la cultura italiana.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro