Per rilanciare l’Arts Council inglese, l’allora governo britannico negli anni Novanta chiamò l’amministratore di Granada (autogrill e alberghi): grande clamore, quanto grande successo. Si lavorò benissimo con tecniche aziendali ma su contenuti culturali. Speriamo che anche Resca sia di parola. Anche il suo arrivo è stato in Italia molto chiacchierato, ma il piglio è decisionista e il governo sembra avergli dato strumenti e risorse per agire. A chi si occupa di economia della cultura non dice cose nuove: “marketing, pubblicità, creare valore, accoglienza”. Ma qui non si tratta di essere originali ma di riuscire a smuovere le acque. Ci sta dando numerose speranze che una buona e pianificata regia nazionale e la giusta motivazione e preparazione dei direttori dei musei possa essere la corretta combinazione per il rilancio delle strutture italiane. Personalmente credo che sia una questione culturale in senso individuale: se gli operatori sono disposti a cambiare passo e ad innovare si può creare una consistente domanda di cultura ed avere efficienza nei processi ed efficacia nei risultati. Non c’è un esempio che dimostra il contrario, dalla riapertura del Museo di Portici a Ercolano, che con un allestimento scenografico contemporaneo richiama l’attenzione di decine di migliaia di residenti in poche settimane, a biblioteche come Sala Borsa di Bologna, oppure la Palatina di Parma che riconoscono il valore dell’impresa sponsor; per non parlare dell’Auditorium Parco della Musica o dell’operazione di apertura al pubblico della Villa Romana di Palazzo Valentini a Roma curata da Piero Angela. La cultura si autorealizza con il pubblico, la si metta in condizione di essere comprensibile, riconoscibile e attraente.

 
Fabio Severino è vicepresidente dell’Associazione per l’Economia della Cultura