Evidentemente un’istituzione che parla ai cittadini, che discute, che si spoglia e si fa osservare nella sua nudità è un elemento di democrazia, trasparenza e presupposto per quell’oggettività dei comportamenti necessaria proprio per l’essere, l’istituzione, amministrazione della cosa di tutti. Così fa il Ministero, che in uno specialissimo grand tour approda nel sud Italia e mostra le sue carte, racconta i suoi processi, dialoga con il territorio (Beni culturali: continua “Cultura a porte aperte”. Terza tappa in Puglia dal 7 al 9 ottobre). E va bene, anzi benissimo. Per la prima volta, anche per mezzo di alcuni inediti opuscoli, veniamo ad avere un’informazione completa sulla spesa del Mibac in ogni regione (spese in conto capitale, fondi gioco del lotto, fondi dell’Accordo di programma quadro, ecc.), sulla struttura funzionale della Direzione Regionale e delle Soprintendenze, sappiamo quali sono le politiche dell’amministrazione regionale e come queste si integrino con le politiche nazionali. E poi, troviamo una rilettura delle attività realizzate negli ultimi anni, dalle Direzioni Regionali del Mibac, per linea politica di intervento (tutela, ricerca, promozione, valorizzazione, ecc.) e una ampia illustrazione dei moduli disponibili, presso le sedi territoriali, per l’accesso ai servizi.

Poi ripenso a quando, a luglio, andai con il mio collega Roberto Ferrari al Victoria and Albert Museum di Londra per alcune interviste con i più alti responsabili della struttura (concesse con un giro di mail della durata totale di 8 minuti!). Lì scoprimmo che si misurava: il numero di visitatori, il numero di accessi al sito web, il numero delle visite degli under 16, il numero di bambini partecipanti ai laboratori didattici, la percentuale di persone che raccomanderebbero la visita, i ricavi generati dal prestito delle opere in territorio extra UK, la quota di autofinanziamento, la riduzione delle impronte di carbonio (carbon footprint). Oltre ad un’altra ventina di indicatori prettamente numerici che, sintetizzando i risultati, rappresentano la base sulla quale si fonda l’accordo di finanziamento tra il Ministero e il Museo (oltre che, spesso , la sua politica di comunicazione).
Ma questa è l’Inghilterra, si dirà. Beh, simili processi di misurazione li trovammo poi in Spagna (sito archeologico di Mérida), Francia (Museo Quai Branly), Germania (Pergamon).
E dal confronto che ora ho in testa io traggo un piccolo insegnamento: la migliore condizione di trasparenza e oggettività (e quindi, se vogliamo, di democrazia) è la dimostrazione numerica (perché i numeri non si discutono) della capacità delle nostre istituzioni di aver raggiunto il risultato che la collettività chiede loro: soddisfare dei bisogni pubblici in condizioni di efficienza. Magari anche con una modulistica così così!

Marcello Minuti è economista della cultura