accessibilita turismoSe turista è chi trascorre almeno una notte in una località differente dalla propria residenza, la destinazione scelta è pur sempre, o quasi, un luogo che accoglie stabilmente un numero ben maggiore di persone. Se lo osserviamo da questa prospettiva, il nodo dell’accessibilità “turisticamente aggettivata” presenta dei limiti evidenti e provocatoriamente si potrebbe affermare che il problema sarebbe, per così dire, semplice da risolvere: basterebbe eliminare le barriere architettoniche nelle strutture ricettive e almeno per le disabilità motorie avremmo chiuso il cerchio.
Purtroppo la questione è ben più ampia, un turista all’interno di una destinazione si sposta con i mezzi pubblici, siede in un ristorante, visita un museo. In questo senso non è altro che un residente temporaneo. Rendere completamente accessibile una struttura alberghiera senza che lo sia anche il contesto avrebbe quindi un bassissimo impatto sulla competitività e forse contribuirebbe ancor più a ghettizzare alcune categorie. Per questo occorre inquadrare il problema in un tema più generale di diritti di cittadinanza, che coinvolge sì gli operatori economici ma nella scia di un impegno delle Istituzioni in grado di  recepire, innanzitutto culturalmente, la questione sul tappeto: ciò si deve tradurre in opere pubbliche, infrastrutture e servizi pensati sempre per un’utenza la più ampia possibile, i cui capitolati e progetti includano come primo valore quello dell’universalità della fruizione.  L’esigenza di rendere più accessibile il nostro territorio è ulteriormente acuita dall’invecchiamento della popolazione: secondo la Banca Mondiale nel 2030 gli over 60 nell’area Ocse passeranno dal 18 al 30%. Le implicazioni di mercato (anche turistico) sono evidenti. Il principale obiettivo deve quindi essere quello di “pensare accessibile”: poi, come esternalità positiva, questo renderà possibile nel tempo anche un turismo per tutti.

Massimiliano Vavassori è Direttore Centro Studi del Touring Club Italiano