Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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La notizia del 22 gennaio è di quelle da prima pagina: il Ministro Bondi ha nominato Vittorio Sgarbi curatore del Padiglione Italia della prossima Biennale d’Arte di Venezia del 2011 e supervisore degli acquisti delle opere d’arte del MAXXI di Roma e le prime dichiarazione da lui rilasciate in proposito hanno già riempito le pagine dei giornali.
Senza voler entrare nel merito delle qualità del personaggio, si vuole qui richiamare l’attenzione ad un altro aspetto della vicenda, in linea con le usanze nostrane. In tempi in cui è tornato d’attualità il tema ormai abusato degli italici “bamboccioni”, cullati dalle famiglie e restii (secondo i loro detrattori) a lasciare le comode tane domestiche, i soliti noti occupano a tappeto gli spazi disponibili, in ciò aiutati dai nostri pavidi amministratori pubblici che assegnano nomine (e, spesso, le relative ricche prebende) a coloro i quali, pur già oberati da impegni e cariche di varia e impegnativa natura, garantiscono a loro avviso i risultati richiesti dalla funzione assegnata.
E’ lo stesso principio per cui il Segretario Generale del Mibac, andrà in pensione ai primi di marzo e, si dice, subito dopo assumerà l’incarico di Soprintendente archeologo a Roma, o per cui l’ottuagenario Gian Luigi Rondi è stato nominato Presidente della Fondazione Cinema per Roma. Insomma, senza voler in alcun modo mettere in discussione la competenza e le capacità dei personaggi citati, che rappresentano solo alcuni, più evidenti e recenti casi (una punta dell’iceberg) della fossilizzazione del sistema italiano, ci si chiede quale possa essere il destino di una società che non è capace di rinnovare se stessa. Per chi gira il mondo è sconfortante osservare giovani coetanei stranieri in posizioni di responsabilità impensabili per gli omologhi italiani, nell’età in cui si è giunti ad un buon livello di preparazione e si è pronti a confrontarsi con gli impegni professionali, con la giusta carica di entusiasmo e con buona predisposizione all’innovazione e alla scoperta di nuove strade e metodologie di lavoro. Da noi no, tutto questo non accade, vuoi per età o per bulimia da incarico e presenzialismo. I soliti noti o i brontosauri occupano a tappeto e senza lasciare alcuna possibilità di intromissione gli spazi in cui le nuove generazioni avrebbero il diritto di dimostrare cosa sanno e vogliono fare. Certo, a fronte dei lavori cosiddetti “usuranti” quello culturale può essere definito “rigenerante”, non tanto perché non stanchi o affatichi il lavorarci, quanto piuttosto perché è caratterizzato da continue novità, cambi di prospettive di ricerca e incontri interessanti che generano un costante e positivo rinnovamento. Tutto questo aiuta a non far sentire gli anni e a limitare gli effetti dell’invecchiamento e la stanchezza, soprattutto intellettuale, ma da ciò a chiudere sistematicamente le prospettive delle nuove generazioni ne passa. Quali soluzioni possibili e praticabili? La nozione che potrebbe essere approfondita è un’ulteriore declinazione di “ecologia della cultura” e sostenibilità del sistema. Un appello ai soliti noti di confrontarsi con un giusto equilibrio tra buon senso e misura nei consumi. Un’accorata invocazione ai nostri decisori pubblici sul coraggio di guardare oltre al carnet d’adresse dei soliti noti e accorgersi che oltre ai bamboccioni ci sono molti giovani preparati e seri, pronti a confrontarsi e a mettersi in gioco laddove i soliti noti, vuoi per carichi di lavoro troppo impegnativi o scelta deliberata, sono poi spesso costretti a lavorare (o a far lavorare loro collaboratori) troppo velocemente o distrattamente.
Emilio Cabasino è docente di Economia della cultura all’ Università della Tuscia