Non è sempre stato così, ma oggi l’industria culturale è, seppur con qualche sospetto, comunemente celebrata. I dubbi intellettuali che essa sia il mezzo per una massificazione e una decadenza del senso sono messi al margine, altrettanto vale per il dibattito riguardo alla sua funzione civile, alla sua influenza sulla sfera pubblica. Restano, più pragmaticamente, incertezze relative alla sua dimensione “sovrastrutturale”, alla fragilità dei suoi mercati, e a queste si risponde con un rimando alle sue conseguenze ambientali, alla sua possibile funzione di risveglio cognitivo capace di rilanciare economie bloccate dall’incapacità di differenziarsi.
C’è il dubbio che si vada diffondendo una certa unilateralità di percezione e forse è utile domandarsi cosa ha condotto a questo stato delle cose?
Certamente negli ultimi quindici anni, il mondo delle produzioni culturali seriali è stato investito da almeno tre grandi, consecutive, rivoluzioni:
•        la rete – che ha ristrutturato radicalmente i sistemi di produzione, distribuzione e fruizione di cultura proiettando nell’arena competitiva attori, modelli, consumi nuovi ad un ritmo e con una intensità impensabile;
•        la crescita urbana – e il necessario, brusco ripensamento dei modelli di sostenibilità delle città che si sono per così dire abbarbicate alla capacità di job and meaning creation delle industrie culturali e delle produzioni simboliche;
•        l’espansione dei consumi culturali nelle aree emergenti del pianeta (Cina, India, Russia, Brasile e America Latina) –   con la conseguente espansione degli accessi e delle domande.
La sovrapposizione dei loro effetti ha gettato nuova – e positiva – luce su un processo che nella sua essenza – e senza alcun giudizio – è stato di radicale mercificazione (commodification) del segno e del senso.  Le industrie culturali sono quindi oggi un riferimento , ma anche un problema interpretativo di grande rilevanza. Non mancano infatti i segnali di reazioni avverse non ultimi quelli legati alle critiche del sistema dei diritti di proprietà intellettuale….Certamente la direzione che sarà scelta sul piano pratico e interpretativo lascerà tracce importanti sull’evoluzione complessiva del capitalismo e della sua società civile.
 
 
Stefano Baia Curioni è direttore della laurea Specialistica di Economia per l’arte e la cultura in Bocconi (Cleacc-Acme)