Abolizione dell’IVA sui libri e sui dischi, e sua omogeneizzazione al resto d’Europa per gli scambi di opere d’arte. Istituzione di un programma nazionale di restauri e interventi secondo priorità e rischio. Introduzione di un sistema di parametri gestionali per il sostegno dello spettacolo dal vivo. Autonomia organizzativa per i musei, ruolo tecnico per le Soprintendenze, finanziamento determinato dalle attività realizzate. Insegnamento della pratica musicale nelle scuole di tutti i gradi. Riabilitazione di stabili dismessi come sedi per la lirica, la danza, l’arte contemporanea. Digitalizzazione degli spazi culturali.
Ecco, di tutto questo non c’è alcuna traccia nella legge finanziaria appena partorita, non senza ambiguità, dal Governo. In perfetto allineamento con il resto, c’è stato per qualche ora un taglio sommario dei fondi per gli istituti culturali, prontamente rientrato. Connesso con i tagli del Fondo Unico e con il decreto sulla lirica, mette comunque in risalto qual è la strategia di questo governo sulla cultura: nessuna. Le colpe? Come sempre diffuse: direttori e dirigenti arroccati sull’esistente, sindacati miopi e corporativi, esperti distratti, politici velleitari e semplicistici. Si stava meglio prima? Decisamente no. Se oggi può apparire legittimo tagliare i fondi a tutti (ed è una mossa soltanto becera), ieri è sembrato doveroso foraggiare una miriade di finte associazioni e fondazioni perché studiassero a fondo il proprio ombelico (ed è una tattica veterodemocristiana).
Con la cultura è sempre così, o è sacra e intoccabile o è inutile e dannosa. Possibile che non venga in mente a nessuno che ci sono Traviate sublimi e Traviate schifose? Che la ricerca è sempre benemerita, ma forse ci sono gruppi di buontemponi che non la sanno fare e con i fondi pubblici si limitano a far la spesa, come se si potesse pretendere l’anticipo della legge Bacchelli? A qualcuno verrà in mente che in tanti enti culturali una percentuale strabordante di dipendenti non fa assolutamente nulla? La cultura va difesa a oltranza, pienamente d’accordo. Ma siamo sempre sicuri che di cultura si tratta?

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro