Il nuovo decreto legge n.78 del 2010 impone minuziosamente e quasi indiscriminatamente tagli lineari in ogni angolo della pubblica amministrazione.
Andando oltre le apparenze e i pregiudizi e leggendosi le 85 pagine del nuovo decreto, gli interventi previsti sono in fondo quasi tutti pertinenti nel rispondere al titolo di: “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”.
Purtroppo la finanza pubblica è ancora profondamente afflitta da una grande dispersione di risorse, e nell’immediato l’unica soluzione per fermare l’emorragia è tagliarne il flusso. Certo si tratta ancora una volta di un approccio semplicistico ai problemi, non da ultimo scevro di miopie, come la chiusura dell’ETI. Questo approccio politico ai problemi strutturali forse rincorre la speranza che “necessità faccia virtù” e che quindi una minore disponibilità di risorse per svolgere le stesse funzioni obbligherà le amministrazioni pubbliche ad una migliore organizzazione e sopratutto ad un orientamento all’efficienza. Ma quest’ultima è sollecitata solo per via indiretta e così la seconda parte del titolo del decreto non sembra rispettata: in esso non vi è nulla che contribuisca alla competitività economica, se non l’alleggerimento della macchina che comunque non lo è per principio. Infine il tanto discusso comma 24 dell’art.7 che prevede una riduzione del 50% dei contributi in favore di istituzioni, tra cui molte culturali, sembra solo un atto di superficialità. Sebbene sia doveroso recidere il cordone ombelicale con le tante organizzazioni che proprio non ne vogliono sapere di diventare grandi, appare pretestuoso che, a prescindere di chi esse siano, si preveda il taglio delle risorse.

Commento redatto dall’Associazione per l’Economia della Cultura