Il Senato approva il decreto sulla lirica, e si riaccende il gioco delle parti. Il Ministro annuncia enfaticamente di aver salvato “la lirica dalla bancarotta, tutelando e rinnovando una delle tradizioni più importanti della cultura e della storia nazionale”. Il sindacato annuncia ulteriori proteste e mobilitazioni, asserendo che “il decreto è illegittimo e incostituzionale” e che “colpisce le prerogative sindacali nazionali”. I lavoratori delle fondazioni e i loro sostenitori, sparsi un po’ per tutto il Paese, portano avanti l’iniziativa “Portatori sani di cultura”, suonando gratis e provando a sensibilizzare un’opinione pubblica già di per sé piuttosto lobotomizzata.
Alcuni punti vanno chiariti: il decreto, seguendo una tradizione legislativa inveterata, non fa che apportare correttivi parziali e superficiali che incidono sul versante finanziario (nel bene e nel male) ma lasciano immutata la questione centrale: come organizzare la creazione e la produzione di teatro musicale per il prossimo futuro? Come andare incontro, magari anticipandole, alle aspettative di un pubblico sempre più vorace di musica ma renitente ai riti d’antan? Dal canto loro, i professionisti delle fondazioni difendono la propria posizione (il che è del tutto comprensibile), ma fondano la protesta su un presupposto di omogenea qualità tutto da dimostrare.
Ci sono musicisti di prim’ordine ma anche alcuni pestacchioni e stonati, nel variegato panorama delle orchestre liriche, e ciò vale per i corpi di ballo, per il comparto amministrativo e per quello tecnico. Non c’è da stupirsi: in un settore eterogeneo come quello musicale e culturale è davvero sbagliato immaginare (e desiderare) che domini l’uniformità.
Ma sotto il generoso manto della tutela da assicurare alla cultura tutto viene perdonato. Così, il tentativo di mettere una pezza sulle molte falle della lirica viene rigettato. Figuriamoci quello che accadrebbe nel caso – auspicato da trent’anni, ma tuttora fantascientifico – di una vera riforma sostanziale, che adegui la lirica e la sua produzione alla società contemporanea. Così, anche se il decreto passasse, come è ragionevole prevedere, si sarà fatto solo un piccolo passo per assicurare una sopravvivenza avventurosa a un settore sempre più fragile e velleitario. C’è tempo fino al prossimo 29 giugno, e comunque vada dall’indomani i problemi della lirica resteranno tutti lì: nelle nostre tasche di contribuenti. Sancti Petre et Paule, orate pro cultura.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro