Entro in questo canyon fatto di giganti, per dire la mia su un museo che – crisi, sfortuna, contingenza? – si dice non sia più sostenibile, da un punto di vista economico e gestionale. I bombardieri puntano il bersaglio, lo mettono a fuoco e poi attaccano: il museo va chiuso.
Ma ecco che interviene la contraerea: aspettate, attenzione, il museo è una  via verso il dialogo interculturale, arca di civiltà, momento di socializzazione e crescita. Il museo è un tapis roulant che trasporta verso la felicità. Il che – per me – è più che condivisibile.
Ma tra quante generazioni? E la politica, lo sappiamo, chiede ritorni spendibili nell’arco temporale del mandato elettorale: 5 anni – quando va bene. E’ questo il piccolissimo particolare che segna in modo indelebile il profilo delle politiche culturali del nostro Paese. Eventi, tagli di nastro, aperture. In questo caso, una chiusura.
Il che è molto più facile da comunicare, per i ritorni elettorali che può generare, di quanto non lo sia un nuovo programma di efficienza, razionalizzazione e autofinanziamento di un piccolo museo locale.
E dinanzi a questo attacco, tra i vari colpi sparati dalla nostra contraerea (i manga si o no?), mi sembra che i nostri Alleati giochino un ruolo come sempre decisivo. Quando, con la signora Anna Somers Cocks, dichiarano: creiamo flessibilità nelle voci di ricavi, diversifichiamo il rischio, creiamo nuovi prodotti e vendiamoli. Insomma, rastrelliamo soldi.

Marcello Minuti è economista della cultura