Il processo federalista unitamente alle misure di controllo della spesa pubblica, ripropongono ciclicamente ormai da molti anni la questione del contenimento dei costi nella Pubblica Amministrazione.
Una questione che nel caso italiano assomma alle rigidità oggettive del patto di stabilità la sostanziale debolezza strutturale del Paese, segnato da un indebitamento eccezionale e da lunghi periodi di crescita modesta.  
In questo quadro, i vincoli del Patto di Stabilità, hanno non solo determinato una contrazione delle spese pubbliche, ma hanno inevitabilmente inciso sulla capacità di crescita del Paese, sfibrando quel tessuto di spesa virtuosa che innesca processi di sviluppo, perché incide sul capitale futuro e pone le basi per attivare nuove e ulteriori risorse per la crescita.
Se per un verso, è stata questa una strada fin qui obbligata e necessaria, d’altra parte appare evidente come la crisi attuale suggerisca un generale ripensamento del complesso della finanza pubblica in particolare locale, su cui pesantemente hanno inciso le manovre recenti, con l’indebolimento dell’autonomia fiscale e finanziaria di Comuni e Province (si vedano le analisi contenute nel Rapporto di Finanza Locale 2009, AAVV). 
Nello specifico, crediamo ormai “urgente” una riflessione sul sistema di regolazione del Patto di Stabilità cui assoggettare gli Enti locali nelle politiche di sviluppo territoriale. E’ ormai “urgente” il ritorno ad concetto pieno di “razionalizzazione” della spesa, che è cosa diversa da semplice “risparmio”, distinguendosi da quest’ultima per l’enfasi posta sulla qualità delle medesima e non (o non solo) sulla sua quantità: il semplice risparmio (taglio) argina la criticità contingente, aiuta a far tornare i conti, ma non aiuta a far ri-tornare la crescita. Se a questa si vuole puntare, infatti, il problema non è (o non solo) quanto si spende, ma come si spende.
Allora: perché non immaginare, ad esempio, forme di esclusione dal computo del Patto di talune risorse economiche impegnate dagli Enti locali per l’attività di progettazione finanziata (1)?
Allo stato dell’arte, infatti, le quote di co-finanziamento degli Enti locali rispetto a progetti finanziati sia da altri enti pubblici sia da istituzioni private (es. fondazioni di origine bancaria) entrano nel computo del saldo finanziario assunto a base di riferimento per il calcolo dell’obiettivo annuale, al pari di qualsiasi altra spesa, senza tenere nelle dovuta considerazione la particolare natura delle spese in esame, in quanto capaci di generare un effetto moltiplicativo del bilancio dell’ente. Esse, infatti, permettono di accedere, secondo il meccanismo del cofinanziamento, a risorse aggiuntive (per un importo a volte pari a quello impegnato), facilitando così il raggiungimento degli obiettivi dell’intervento (in campo culturale e sociale, tipicamente) e minimizzando l’impegno per l’ente; si tratta di fattispecie che spesso impongono una qualità progettuale (e quindi di spesa) raramente rintracciabile nei normali processi di programmazione pubblica. In questi casi, evidentemente, la spesa si moltiplica per effetto di risorse altre e può incidere in maniera più significativa sui processi di crescita.
Discorso simile potrebbe essere fatto per le risorse che gli Enti locali dedicano a progetti “di rete” e ciò risultati da operazioni di integrazione politico programmatica con altri enti locali del territorio, attivando spazi di economia e sviluppo su area vasta, travalicando il proprio angusto confino politico-amministrativo.
Per questo, ci piacerebbe trovare sotto l’Albero almeno una ipotesi di futura modifica “dell’automatismo quantitativo” del Patto di Stabilità che, introducendo un meccanismo qualitativo, sappia premiare e non (come ora avviene) inibire politiche spesa oculate, responsabili e strumentali ad attivare nuove economie e possibilità di investimento e crescita. Inutile dire, che la possibilità di escludere dal calcolo del Patto di Stabilità le spese destinate a progetti di cofinanziamento, magari selezionando i campi di intervento (includendo certamente gli ambiti del sociale, della ricerca, della cultura), avrebbe effetti importanti sulla finanza pubblica, in termini di nuove risorse per gli investimenti, migliore qualificazione della spesa degli enti locali (vincolando la spesa ad un progetto di investimento), incentivo per gli Enti locali a migliorare la proprio attività di pianificazione e programmazione dei medio periodo, offrire occasioni più definite di collaborazione tra pubblico e privato.

Chissà se tra le molte letterine…Babbo Natale avrà tempo di leggere anche questa!

(1) Si noti che ciò, già avviene per alcune tipologie di risorse. Il comma 7-quater dell’articolo 77-bis del decreto legge n. 112/2008, introdotto dall’articolo 4, comma 4-septies, lett.a), del decreto legge n. 2/2010 prevede che non siano considerate nel saldo finanziario 2007 assunto a base di riferimento per il calcolo dell’obiettivo2010, le risorse provenienti, direttamente o indirettamente dall’Unione Europea, nonché le corrispondenti spese correnti ed in conto capitale. Tale esclusione opera a partire dal 2010.

Alessandro Hinna è ricercatore, da oltre un decennio svolge attività di studio e formazione nel terzo settore

Questo articolo è stato redatto in collaborazione con Roberto Ferrari