Per il mondo della cultura, il 2011 appena cominciato si configura come un anno decisivo. E’ evidente che, con la fine del 2010, siamo alla fine di un ciclo, e come sempre in momenti come questo bisogna confrontarsi soprattutto con le criticità. In apparenza, l’aspetto più rilevante dello scenario attuale sembrerebbe il taglio delle risorse pubbliche per la cultura. Ma questo taglio è la conseguenza di una crescente marginalità della cultura nel tessuto della società e dell’economia italiana: in altri paesi, anche a fronte di crisi più gravi della nostra, la cultura è stata tagliata molto meno oppure affatto. La vera sfida sarà quindi quella di riportare la cultura all’interno della vita e dei pensieri del nostro paese.
E’ una sfida che richiede una vera e propria ‘offensiva della formazione e del coinvolgimento’ culturale dei cittadini, che deve interessare tutte le istituzioni culturali, per costruire un pubblico nuovo per la cultura che non passi attraverso le fumose e obsolete formule della valorizzazione all’italiana, centrate in sprezzo del ridicolo sul modello della ‘cultura grande evento’ ormai vecchio di vent’anni e ricalcato sulle logiche dell’audience televisiva, quanto piuttosto attraverso la riappropriazione del ‘saper fare’: saper leggere un libro, saper leggere un quadro, saper utilizzare i suoni, le immagini, i testi per saper raccontare meglio a noi stessi e agli altri chi siamo, chi vogliamo essere.
Per apprezzare i percorsi di senso prodotti dagli altri, i grandi artisti, i grandi talenti creativi, che sono in grado di offrirci prospettive sorprendenti sul mondo in cui viviamo, se solo sappiamo guardare, ascoltare.
I dati ci dicono molto chiaramente che la cultura riceve attenzione e risorse in quelle società in cui le persone vengono considerate, e si considerano, non tanto pubblico più o meno pagante, quanto membri di una comunità di pratica che produce idee con energia ed entusiasmo, e assorbe golosamente quelle degli altri. Da noi questo modo di ragionare sembra ormai inconcepibile, è vero, ma se è così il problema è nostro, tutto nostro. Sarebbe ora che anche il nostro paese si decidesse ad entrare nel XXI secolo, nel secolo dell’economia della conoscenza.

Pier Luigi Sacco è Professore ordinario di Economia della Cultura, Università IULM di Milano