La riapertura del Teatro delle Muse ad Ancona, il cui edificio fu abbandonato dopo essere stato pesantemente danneggiato durante la guerra, è stato un evento capitale nella storia della città. Come a Bari per il Teatro Petruzzelli, la città di Ancona ha creduto nel recupero del Teatro nonostante la complessità tecnica del restauro, il costo di investimento elevato e un contesto storico che avrebbe sconsigliato l’apertura di un grande contenitore culturale sia per le dimensioni del bacino d’utenza, sia per la situazione economica del territorio non florida. La Fondazione Teatro delle Muse di Ancona ha dovuto battersi per la sua sopravvivenza sin dall’anno della sua creazione, non disponendo in partenza di un contributo statale adeguato ed analogo a quello delle altre città italiane capoluogo. Le difficoltà esistenti non hanno scoraggiato i responsabili pubblici che hanno dato vita alla Fondazione e quest’anno, nell’approvare i documenti di bilancio per l’anno 2010, hanno pubblicato anche un “bilancio sociale”, un documento che misura le quantità e la qualità delle relazioni esistenti tra l’impresa culturale e l’intera collettività anconetana, fornendo un quadro per quanto possibile puntuale e trasparente della complessa interdipendenza tra i fattori economici e quelli sociali. La Fondazione, grazie alla stabile e stretta collaborazione economica ed istituzionale che lega tutte le più importanti istituzioni culturali dello spettacolo operanti in città, ha dato vita ad una programmazione culturale ampia e diversificata – dalla musica lirica a quella sinfonica, dalla danza al balletto, dalla prosa al teatro ragazzi, oltre ad attività culturali e sociali non di spettacolo – che ha avuto luogo in tre sale tecnologicamente avanzate (le due del Teatro delle Muse e quella del Teatro Sperimentale), per un complesso di 890 aperture e una partecipazione di quasi 100.000 spettatori. Questa intensa attività è stata garantita nonostante la diminuzione di ricavi dal 2008 al 2010 del 19,9%, causata in larga parte dalla contrazione del contributo pubblico (-24,2%), a fronte della quale la Fondazione ha dovuto rispondere con una riduzione in due anni dei costi del 26,2%, tenendo così sotto controllo il deficit gestionale, segnando un valore negativo ma 10 volte più basso di quello medio indicato tra il 2003 e il 2008. La maggiore efficienza economica della Fondazione è stata ottenuta attraverso un più rigido controllo dei costi del personale, da una messa in comune dei servizi con altre istituzioni culturali (quelli di comunicazione), dall’espansione delle attività di commercializzazione (affitto sale, caffetteria, ecc.). Il bilancio sociale, come altri documenti analoghi, mette in luce i benefici economici prodotti dalla Fondazione prodotti dall’occupazione diretta ed indiretta (10.893 giornate lavorative erogate), dalle attività turistiche indotte dall’ospitalità degli artisti e degli ospiti (29 mila euro), dal fund-raising (le sponsorizzazioni raggiungono un onorevole 7% dei ricavi complessivi). Gli effetti sociali e territoriali sarebbero stati ancora più elevati qualora si fosse tenuto conto di benefici esterni non direttamente collegabili alle funzioni produttive, abbandonando il puro approccio aziendale, che è il limite di questo come di molti altri bilanci sociali. Alcuni di questi benefici sono monetari: gli spettatori non residenti passano del tempo in città attivando la filiera commerciale ed alberghiera; la valorizzazione del Teatro delle Muse ha certamente influenzato i valori immobiliari di quella parte del centro storico in cui è localizzato (è, ad esempio, il caso dell’Auditorium a Roma), depressi storicamente dal rapporto complesso di questa parte della città con il porto. Altri benefici quantificabili economicamente non sono monetari o non si traducono “immediatamente” in moneta: si tratta dell’arricchimento personale degli spettatori in quanto persone e in quanto lavoratori, dell’accesso allo spettacolo ad una platea più vasta di spettatori appartenenti a categorie svantaggiate, dell’estensione della diffusione del piacere e del gusto verso tutte le forme di arte dello spettacolo da parte dei giovani (il pubblico del futuro). Qualora si tenesse conto di questi effetti, non solo sarebbe stato possibile giustificare il modesto deficit annuale – già in larga parte sotto controllo -, ma anche l’ingente investimento di recupero del Teatro. Come è noto, le attività culturali, non possono sostenersi economicamente in pareggio di bilancio, lo spettacolo dal vivo non costituisce un’eccezione. Il Teatro delle Muse è un patrimonio irrinunciabile per la città di Ancona, un luogo intensamente frequentato dalla cittadinanza, un presidio delle attività culturali di elevata qualità in un contesto storico che vede il Governo purtroppo impegnato a trovare nel settore culturale una voce di bilancio da destinare ad altri scopi (sanità, sicurezza, ammortizzatori sociali, missioni militari all’estero), credendo poco al valore sociale della cultura, ancora meno a quello economico che è invece consistente quando lo esamini e lo si misuri scientificamente. Per questo l’esercizio del Teatro delle Muse è importante perché riafferma il principio che la cultura accresce le persone, che è uno strumento straordinario per la coesione sociale ed il senso civico e che persino l’economia locale ne guadagna, in forma diretta ed indiretta e nel lungo termine. I responsabili pubblici responsabili del Teatro sono giustamente molto attenti all’efficienza, per evitare sprechi oggi ingiustificabili alla luce dei tagli più che lineari del Governo. Tuttavia, anche l’efficacia ha effetti economici molto importanti, per questo si fa cultura, musica e teatro: non dimentichiamolo sull’altare di principi puramente contabili e orientati al presente.

Alessandro F. Leon è economista della cultura