Partiamo dall’assunto che nelle più grandi società democratiche del mondo, l’affluenza alle urne negli ultimi anni è diminuita in modo costante e progressivo e che il tema referendario, dopo gli anni boom del sostegno del partito radicale, ha progressivamente perso il suo appeal tra i nostri concittadini.
Le basi appena esposte non sono altro che dati rintracciabili e verificabili ovunque, così come i numeri che ruotano attorno al tema sostegno del prodotto culturale (tengo a sottolineare  prodotto culturale e non Cultura in senso generico).
Fornire un parallelo tra la minore partecipazione ai grandi temi del nostro paese e la costante disattenzione della cittadinanza attiva al nostro patrimonio artistico e paesaggistico, può fornire una grande opportunità di razionalizzazione delle risorse e di impostazione metodologica su come costruire produzione culturale attenta alle esigenze della domanda.
In un paese cresciuto e diviso tra elite e nuovi arricchiti, due categorie sociali troppo impegnate dalle loro cause per mostrare realmente attenzione al bene comune, la colpa per un paese incapace di guardare oltre i propri interessi e incosciente del baratro che sta li a pochi passi, non è della classe politica, né di quella economica.
La colpa è di tutti noi. Noi che abbiamo passato quarant’anni a “delegare” qualcosa a qualcun’altro o a pensare che non potevamo da soli essere artefici di un cambiamento. Ma se è vero che il cambiamento è necessario storicamente, è giunta l’ora di riprendersi quel primo bene di un popolo, perso alla fine degli anni Sessanta, che è la dignità e la consapevolezza della cittadinanza.

Stefano Monti è direttore editoriale di Tafter