Ci piacerebbe tanto assistere alla presentazione di progetti, di visioni e scenari credibili sul miglioramento del settore culturale. Invece sembra che la classe dirigente, sia politica che amministrativa, non sappia che fare e quindi, in periodi di ristrettezze economiche, la fantasia più alta è quella di tagliare e accorpare, col solo risultato di azzerare il lavoro di tutti, qualsiasi esso sia e generare confusione e dispersione.
Il nuovo D.L. 98/2011, nell’art.14, prevede la soppressione di Cinecittà, e la nascita di un nuovo istituto con minori competenze e deleghe. Senza entrare nel merito di quanto funzionava il primo e quanto può risolvere i problemi del comparto il secondo, è difficile dall’esterno intravedere un disegno strategico, che dovrebbe invece sottintendere a qualsiasi operazione amministrativa. Trattandosi di beni pubblici, dovrebbe essere un obbligo la condivisione e l’approvazione. L’anno scorso, abbiamo assistito alla soppressione dell’Eti e all’attacco di altre istituzioni (tra cui l’Isae confluito nell’Istat). Può essere che l’obiettivo sia solo quello di risparmiare qualche soldo di affitti, utenze ed emolumenti? Più volte sono usciti dei conteggi puntuali e i risparmi ottenuti risultano veramente irrisori, nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro, a fronte di un Paese che spende per la rappresentanza di Quirinale e Parlamento qualche miliardo di euro, pari allo 0,2% del PIL. La giustificazione pubblica di tali azioni incolpa sempre i dipendenti, tacciati grossolanamente di lassismo e incompetenza. Ma senza un progetto, senza obiettivi, senza continuità amministrativa, senza certezza di budget, non si può fare molto di meglio: i margini di miglioramento di efficienza sono veramente esigui, dei palliativi. Più che andare sempre dal muratore per far dare una rimbiancata, si provasse a rivolgersi all’architetto o all’ingegnere e pensare a qualcosa di più strutturale, di più ampio respiro.

Fabio Severino è vicepresidente dell’Associazione per l’Economia della Cultura