Dopo ben 13 anni di onorata carriera Ales, la società del Ministero dei Beni Culturali, è stata ritenuta, dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici non idonea ad ottenere gestioni di servizi senza partecipare alle gare. Fin qui direi che la cosa può avere una sua coerenza, soprattutto in luce di come procedeva la gestione della società (e come molti operatori del settore avevano fatto notare negli anni passati, invano).
La cosa che però trovo ancora più particolare e degna di nota è il fatto che a spingere l’autorità a valutare la questione Ales sia stata Confcultura, l’associazione che riunisce i concessionari dei servizi museali. Tra i suoi vari associati, se andiamo a scorrere la lista, troviamo i grandi player del settore: Civita, ad esempio, che per molti anni è stata governata da un uomo, Gianfranco Imperatori, legato a Maccanico e Rutelli e organismo che ha gestito la maggior parte delle Iniziative culturali del Mibac nel passato.
Fu lo stesso Imperatori, poi, ad essere Amministratore di Ales, eppure mai l’associazione Confcultura ha mostrato annotazioni di rilievo sulla sua conduzione che indubbiamente da sempre non è stata delle più accorte, con i suoi stipendi fuori tetto, assunzioni senza logica precisa, ecc.
Molti sono stati gli appelli negli ultimi anni – esattamente dal 2001 – sulla gestione di Ales e sul suo ruolo specifico: articoli sui giornali,  proteste dei sindacati… ma tutto è rimasto inerte ed immobile.
Dal 2009, anno in cui è venuto a mancare l’uomo che aveva gestito Ales e Civita, le cose sono cominciate a cambiare: da luogo inattaccabile e fornitore del peggiore clientelarismo, Ales è diventata una società debole, inutile. 
Sembrerebbe paradossale, ma ritengo che la strada migliore da percorrere sia quella di continuare a dare in affidamento diretto tutti quei piccoli o medi siti culturali poco remunerativi per il gestore, ma fondamentali per la funzione che Ales deve ricoprire: dare occupazione a persone svantaggiate o con lunghi periodi di precariato. Il Ministero deve quindi avere la forza delle sue idee e dei suoi uomini e capire che non tutto si può privatizzare, soprattutto con gare che hanno ancora molti lati oscuri, e difendere società da essa partecipata, garantendone fino in fondo la funzione sociale per cui era stata costituita attraverso una migliore gestione di questa stessa. Sono convinto che il Ministero stia già operando per questa strada.

Stefano Monti è direttore editoriale di Tafter