Il Ministro Galan ha recentemente enfatizzato sui giornali l’inserimento del patrimonio culturale e dello spettacolo dal vivo come oggetto di finanziamento del 5 per mille, che sarebbe quel provvedimento che consente ai cittadini italiani, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare fondi ad enti ed istituzioni no-profit operanti nei più svariati settori del sociale, del socio-assistenziale, della ricerca scientifica di base ed applicata, della ricerca sulla salute e della cultura.
La ratio  della norma è analoga a quella della defiscalizzazione del mecenatismo culturale: lo Stato, pur confermando un impegno per sostenere la cultura, non decide la destinazione e lascia le famiglie libere di optare il merito delle opere di bene. Il risultato di questa politica, già in atto da anni, è quello di avere prodotto un’enorme dispersione dei contributi, in media poche centinaia di euro, ripartiti su decine di migliaia di beneficiari, con l’emersione di alcuni “campioni” nazionali molto noti (ad esempio, la Fondazione per la ricerca sul cancro di Umberto Veronesi) che ricevono ogni anno decine di milioni di euro, grazie anche a costosissime campagne pubblicitarie. Lo spettacolo e la cultura non saranno mai in grado di gareggiare ad armi pari con le istituzioni no-profit, poiché non sono preparate ad organizzare campagne di “fund raising”, nonostante i reiterati suggerimenti degli esperti del settore ad investire più risorse nella formazione di una reputazione eccellente. Oltre ad alimentare concreti dubbi sull’efficacia del 5 per mille, su questo provvedimento aleggia da tempo una possibile azione di controllo da parte della Corte dei Conti, poiché si dovrebbe verificare, qui come in tutta la spesa pubblica, se le risorse siano state utilizzate in modo legittimo.
Tuttavia, vi è una contraddizione di fondo nel 5 per mille: il contribuente farà fatica a comprendere perché destinare il 5 per mille ad un organo dello Stato, che per definizione dovrebbe già avere una dotazione finanziaria pubblica adeguata, piuttosto che ad istituzioni senza fini di lucro che competono strenuamente per la raccolta di risorse presso il pubblico, pena l’insostenibilità e la sopravvivenza quotidiana. Per il settore culturale, delle due l’una: o si costruisce un sistema pubblico, sul modello europeo, che persegue finalità ed obiettivi pubblici per la cultura ed allora le iniziative del 5 per mille hanno poco senso – o lo hanno ma solo per iniziative molto mirate, di importanza non primaria per lo Stato, come ad esempio il sostegno all’associazionismo culturale; oppure si privatizza tutto, come negli Stati Uniti e si incentiva indirettamente le attività degli enti culturali no-profit tramite appropriate defiscalizzazioni e 5 per mille. In pochissimi pensano, tuttavia, che il modello americano sia effettivamente fattibile e/o migliore di quello europeo.
Le strade per trovare risorse aggiuntive per la cultura sono purtroppo ben altre. Il Ministro Galan, che appare assai dialogante ed aperto al confronto con gli operatori culturali e con le istituzioni, avrà il difficile compito di innalzare il merito della cultura nei confronti di chi ha il controllo delle risorse, che ne ha volontariamente determinato il declino, che si è sottratto al confronto sugli esiti nefasti della riduzione della cultura nel nostro paese, per la collettività e per le generazioni future.

Alessandro F. Leon è economista della cultura