È curioso notare come ci si interroghi sull’appropriatezza di regole che limitino l’anonimato su Internet quando di fatto questo non è mai realmente esistito. Ogni dispositivo che utilizziamo per accedere ad Internet lascia un quantità infinita di tracce dirette ed indirette che ci rivelano con incredibile accuratezza.
Internet è sì un’intricata rete autostradale dell’informazione, ma l’ingresso e l’uscita dal casello ci assegnano un’identità virtuale (IP) che di fatto permette di ricostruire sempre la nostra identità ed il nostro viaggio.
Oltre a questo, le abitudini di navigazione, dettate dai nostri gusti, lasciano un’impronta (digital fingerprint) che permette di evidenziarci tra i miliardi di utenti in modo inequivocabile.
Infine il ribaltamento dell’approccio al media, dal voyeurismo occulto di nickname aspirazionali delle prime chat alla sovraesposizione egocentrica dei vari Social Network ha permesso di raccogliere l’elemento mancante alla profilazione perfetta degli utenti: le loro interazioni.
Sulla base di queste premesse la scelta di imporre la tracciabilità degli utenti non rappresenta che una salutare presa di coscienza della necessità di regolamentare una realtà nuova della società moderna, impedendo a soggetti privati forti di non condividere con il mondo civico elementi fondanti della comunità e della sua struttura sociale.
Su due temi contrapposti ma altrettanto ingenui come la tracciabilità come misura anti-crimine e la censura come strumento di repressione va precisato che nessun sistema è controllabile e l’entropia della verità è irreversibile.

Gabriele Morano è esperto in new media e mobile entertainment