Il fenomeno degli indignados presenta diversi aspetti in cui noi sociologi della complessità possiamo inzuppare le opinioni senza il timore di rimanere a bocca asciutta.
Che i giovani di 20 o 30 anni siano in larga parte senza la possibilità di immaginare un futuro è cosa nota, una condizione inevitabile e assodata per la politica di destra e sinistra che infatti non gli dà peso, una noia per l’opinione pubblica, e neanche distrae gli stessi giovani dall’inutile autodifesa dell’eterno presente.
Soprattutto non fa notizia. E porta sfiga parlarne. Nega le fondamenta di una Repubblica ignava fondata sul gioco d’azzardo.
Si deve dare atto alla crisi di aver portato una novità nella formula a effetto zero del “tiriamo a campare” nazionale. Si tratta dell’introduzione di circa 600.000 variabili di 40-50 anni di colpo senza lavoro o scivolati nella precarietà abituale ai più giovani. Spesso i ‘nuovi giovani’ sono i padri dei senzasperanza di cui sopra. Ora anche loro si sentono giovani e perduti, si vedono proporre occupazioni di tutte le sfumature che vanno dal grigio al nero, contratti capestro, umiliazioni delle loro competenze. Le nuove 600.000 variabili ragionano però differentemente, non sanno usare la Playstation, e sanno cos’è un’altra politica. Taluni si erano colpevolmente assuefatti (o venduti) al principio tautologico del “senza idee si vive meglio” ma ora tentano di reagire (secondo la formula detta del “quando l’acqua arriva al”).
I due blocchi generazionali si stanno saldando, si scambiano energie e anticorpi, molti utili e positivi. E fortunatamente si vede nelle piazze e nei movimenti, fin nella canzone che ha vinto San Remo. C’è poi qualcuno che picchia duro affinché questa saldatura non avvenga e il futuro non appartenga al progetto di molti, ai diritti di tutti.
“Non chiediamo il futuro, ci prendiamo il presente”, era l’assunto più potente degli incappucciati scesi in piazza a frantumare il movimento degli indignados. Test linguistici e socioculturali hanno provato che non esiste formula più profondamente conservatrice e filogovernativa. Il Paese da troppo tempo si prende il presente erodendo il passato e negando il futuro.
È da questo ‘peccato originale’ che almeno un paio di generazioni devono riuscire a prendere le distanze per rileggere la realtà, riconoscere la propria bellezza e le proprie forze, dominare la complessità, chiedere e progettare il futuro.

Samuel Saltafossi è sociologo della complessità