In un periodo di crisi economiche e finanziarie i governi si preoccupano di mettere in sicurezza i conti pubblici e si affannano quotidianamente a controllare i differenziali tra i tassi di interesse dei diversi buoni del tesoro europei. Noi italiani siamo nella top ten degli osservati perché abbondiamo di materia prima (i Titoli di Stato appunto).
In questo contesto la notizia pubblicata dal Giornale dello Spettacolo ci riporta ad una drammatica realtà della quale i più si erano quasi dimenticati: la cultura e la creatività sono considerate due attività che producono ricchezza, almeno in Europa, e per questo motivo sono finanziate.  Il nostro nuovo governo appena insediato, finora si è guardato bene dal pronunciare simili stranezze. Non si è fatto ancora cenno alle politiche culturali che ci aspettano nei prossimi mesi.
L’Europa invece investe 1,8 miliardi di euro nei prossimi 7 anni per finanziare la cultura e la creatività (quasi il 40% in più!) e ci sembrano talmente tanti che i dettagli sembrano scomparire.
In definitiva in Europa ci sono oltre 502 milioni di persone, è come spendere 3,60 € a testa nei prossimi 7 anni. I fondi si orienteranno molto di più a settori produttivi industriali (come il cinema, l’audiovisivo, la moda, ecc.) e meno al patrimonio (musei, biblioteche, ecc.) o allo spettacolo (musica, danza, teatro, ecc.). Qualche protesta in Europa c’era stata ancora prima di questo annuncio e i dati appena pubblicati non fanno altro che confermare le preoccupazioni espresse da molti stakeholders (uno fra tutti l’European Cultural Foundation),  in particolare si era già osservato lo squilibrio interno cui ho accennato.
In ogni caso la notizia dovrebbe aprire, almeno in Italia, altri argomenti di dibattito: non basta sapere quanti soldi ci sono e cosa andranno a finanziare piuttosto bisognerebbe capire come ci si attende che tali risorse portino sviluppo e reddito, si tratta quindi anche di monitorare i finanziamenti concessi e di capire quanto hanno effettivamente contribuito a creare ricchezza. Un secondo argomento di dibattito, forse meno attuale ma altrettanto importante, sarebbe capire se i nostri rappresentanti, in Europa e non, abbiano intenzione di finanziare solo beni e attività culturali che producono reddito a breve termine. Infine bisognerebbe capire quanti di questi finanziamenti finiranno nelle casse italiane vista la nostra incapacità di rastrellare risorse europee.
Così come per i Titoli di Stato abbiamo anche una buona abbondanza di patrimonio culturale. Non sarà il caso di preoccuparsi di calcolare anche uno “spread culturale” cioè un differenziale tra il valore dei nostri investimenti in cultura e quello dei nostri partners continentali?
Giulio Stumpo è economista