Certo è che per la gestione e salvaguardia del nostro patrimonio sono state fatte molte proposte che negli ultimi anni hanno spaziato dalla legge Ronchey che, pienamente recepita dal successivo Codice dei Beni Culturali, permise di affidare la gestione di spazi con concessioni a privati per poi arrivare all’utilizzo dei fondi derivati dalle lotterie, fino alle attuali tendenze di cedere in gestione interi complessi monumentali e siti archeologici famosi.
A Roma vennero effettuate pesanti chiusure delle aree archeologiche e ad oggi i cittadini romani ne pagano ancora le conseguenze avendo in pratica l’impossibilità di attraversamento a piedi proprio delle aree centrali. In questo scenario, il caso del recupero delle terme romane di Fuorigrotta  ci fa riflettere sul fatto che i cittadini intervengano tirandosi su le maniche per riappropriarsi e  prendersi cura del proprio territorio.
Le alternative possibili per la conservazione e trasmissione ai posteri di queste importanti testimonianze non sono molte e spesso le opinioni degli archeologi vanno verso la più semplice, documentare cioè e ricoprire di nuovo gli scavi allo scopo di garantire la sua conservabilità nelle stesse condizioni in cui è arrivato fino a noi. Tra l’ipotesi di chiusura totale, che non favorisce appieno la conservazione come sembrerebbe (basti pensare alla forza del danno da inquinamento ambientale-aria) o una apertura totale che quanto meno consentirebbe di mantenere le “rovine” vivendole, una azione come quella dei cittadini di Fuorigrotta si inserisce forse opportunamente e potrebbe essere vista anche come un’attività campione, sempreché non si scivoli solo verso una sorta di nuova proloco avanzata.

Renzo Carlucci è direttore editoriale della rivista Archeomatica