Due recenti pronunciamenti, l’uno in fase cautelare del Tribunale di Milano, l’altro della District Court of New York, hanno avuto una ampia eco nel mondo artistico, concernendo entrambi casi di elaborazioni creative realizzate da artisti sulla base di opere di precedenti artisti o fotografi.  In entrambi i casi, pur sotto le diverse normative nazionali, il giudice ha valutato l’esistenza di un diritto di libera ispirazione, citazione e parodia di una opera precedente da parte di un artista che propone una sua “versione” o rielaborazione creativa.
Ed entrambi i giudizi si sono conclusi con la esclusione della “libertà di copiare” anche se da parte di artista, quando l’opera successiva non è che, fondamentalmente, riproposizione dell’opera precedente. 
Altri casi peculiari, da poco decisi, hanno visto soccombente l’artista che realizzava (nella specie con la tecnica della classica pittura ad olio su tela) “copie” di fotografie di altro autore.
Chi segue da vicino il mondo del diritto, quello d’autore non fa eccezione, sa bene che l’ordinamento, come le tecniche, è in continua evoluzione e adattamento alla società, sia questa la società “dell’immagine”, “dell’informazione”, “dei nativi digitali” o dei “social network”.
I giudici sono semplicemente chiamati a dare interpretazione delle norme, coerentemente con il tenore letterale di quste ultime, ma anche con la “ratio legis”, che è quel “valore” degno di tutela, tutela appunto per realizzare la quale vengono predisposte le norme. 
Non sorprende quindi che l’eccesso di “duttilità” e “malleabilità” dell’immagine, una volta digitalizzata e manipolata con programmi di elaborazione fotografica (effetto della tecnica e della diffusione dell’informatica), imponga agli interpreti del copyright una “contro-spinta” maggiormente protettiva di quanto la norma intende proteggere: il risultato creativo di una attività intellettuale artistica. 
Bisogna essere rigorosi nello stabilire quello che si può e – soprattutto NON si può fare con quanto oggetto di “proprietà intellettuale” altri.  Anche se il “manipolatore” è a sua volta Artista, autore di un nuovo e – in parte – diverso prodotto artistico.
In questi contesti, poi, appare cruciale verificare se l’opposizione del “primo” artista all’uso della sua opera quale vera e propria “materia prima” di un’opera del “secondo” artista, sfoci nella “inibitoria”, che significa la nullità della opera derivata, con perfino il sequestro e la sua distruzione, ovvero nell’asserire la nascita di una obbligazione risarcitoria, scenario che si risolve poi nella valutazione del “prezzo del consenso”, ovvero della ricostruzione in base a precedenti o per presunzioni, di “quanto” il primo artista avrebbe preteso dal secondo per l’utilizzo indiscriminato della sua creazione artistica quale “matiére brut” di opera del secondo.  A tale somma sarà rapportata la “condanna”. Tra l’altro la letteratura è ampia nel dimostrare la possibilità di collaborazioni, stabili o ad hoc, tra duetti di artisti che si “associano” per la realizzazione di una opera particolare, che avrà la comune paternità di entrambi.
Si affaccia al mondo della arti visive la ampia tematica del DROIT DE SUITE (diritto di seguito), una specie di “royalty” che, come nella musica, nel cinema e perfino dell’industrial design, l’autore dell’opera percepisce ad ogni transazione economica successiva in percentuale sul compenso pagato dall’utente finale, quello nelle cui mani il diritto di autore “si esaurisce” secondo la chiara definizione degli studiosi del diritto. Chissà se in un futuro prossimo, che la manovra Monti sembra avvicinare di un ulteriore passo, abbandonato il contante e la sua inconfessabile fascinazione per la non tracciabilità e (?) tassabilità, anche la elaborazione creativa di un’opera d’arte altrui, potrà essere compensata con un diritto di seguito che associerà i due autori tra di loro e le loro connesse elaborazioni creative, salvi diversi accordi (scritti) tra di loro.  Per certi aspetti, rispetto alla ipotesi del contenzioso legale, sembra una prospettiva di civiltà e di giustizia cui pensare, oltre questa prima “boutade”.
Paolo Bergmann è avvocato esperto in diritto d’autore