Secondo autorevoli commentatori economici di diverse nazioni viviamo in una crisi finanziaria a causa degli alti debiti che ciascun paese ha contratto.

Sono nel mirino i cosiddetti PIGS, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, ma non ce la passiamo bene neanche noi italiani. Facendo un passo indietro di qualche anno ci si rende conto che per salvare le banche da un sicuro fallimento (too big to fail era il motto negli States) i governi hanno deciso di correre ai ripari emettendo nuovo debito e conferendo prestiti e contributi al sistema bancario al fine di evitare la catastrofe. Ora sono le stesse banche, semplificando al massimo il ragionamento, che ci dicono che siamo troppo indebitati e per questo motivo non hanno fiducia negli stati che ieri le hanno salvate. Ma la fantasia dei banchieri non si ferma a questo: sembra che ci sia chi propone di garantire i debiti con patrimonio culturale.

Intendiamoci, i debiti devono essere coperti da asset positivi, altrimenti saremmo al fallimento, ma bisogna chiedersi se il patrimonio culturale abbia le caratteristiche giuste da consentire un significativo abbassamento del tasso di interesse.

Il Colosseo, la Sagrada Familia, il Partenone, sono considerati beni fungibili? Se l’Italia non paga il debito, conferisce ai debitori una quota del Colosseo? Qualche biglietto di ingresso? Che senso avrebbe? A parte queste folkloristiche considerazioni, la cosa che mi sembra più grave è l’ascesa di una classe dirigente, che proviene dal mondo bancario e della finanza, che non fa alcuna differenza tra valori monetari e valori socio-economici.

Tradurre tutto in moneta, è un esercizio fin troppo facile. Fare politiche, pur necessarie, di risanamento dei bilanci pubblici, di nuova ed efficace regolazione dei mercati finanziari, di ridimensionamento e ristrutturazione del settore bancario ad una dimensione che restituisca alle banche il compito di raccogliere il risparmio e di dare credito a chi richiede risorse finanziarie, sarebbe il dovere di questa classe dirigente. Confondere queste politiche con le strategie di conservazione, fruizione e valorizzazione dei beni culturali, è un errore da principianti.

Giulio Stumpo è economista