Arte e tecnologia costituiscono ormai una coppia collaudata e, sembrerebbe, sempre più affiatata con numerosi casi di sinergiche collaborazioni anche in Italia: per costruire spazi di visita virtuali, per rendere ancora visibile ciò che non esiste più, per avere ovunque informazioni personalizzate.  I progressi compiuti dalle tecnologie interattive negli ultimi anni sul fronte della fruizione culturale sono incredibilmente affascinanti, anche per i fruitori più tradizionalisti.

Eppure nell’epoca dei location based services, delle meraviglie proposte usando i tag RFID, delle realtà aumentate, del gaming museale, del WIFI 4G si può assistere ancora a furti milionari come quello messo in atto pochi giorni fa ai danni del Kunsthal di Rotterdam. Un colpo eclatante riportato da tutti i maggiori quotidiani internazionali così come era stato per quello al Museo Munch a Oslo nel 2004, o alla Collezione Bührle di Zurigo nel 2008.

Casi che purtroppo sono solo la punta mediatica di un iceberg fatto di migliaia di opere trafugate ogni anno oltre che dai musei, dalle chiese, dalle dimore private, dalle biblioteche – spesso di casa nostra – e che alimentano il terzo mercato illegale del mondo (forse anche per questo motivo è stato presentato proprio oggi il volume “Uomini e Tecnologie per la protezione dei Beni Culturali” al MiBAC)

In un’intervista rilasciata qualche tempo fa al Corriere della Sera il vicepresidente della fondazione Hruby –   dedicata alla protezione di siti ed edifici d’arte – dichiarava che, per quanto riguarda l’Italia, “le ultime tecnologie sono le grandi assenti e si va avanti con sistemi tradizionali, poco più sicuri dei vecchi lucchetti”. Se è davvero così, perché? Questione di costi di applicazione? Questione di difficili adeguamenti delle strutture museali? Di scarso interesse in termini di visibilità, di marketing? Di complicato connubio con fruizione e conservazione?

E speriamo che le tecnologie per difendere il patrimonio a disposizione delle “guardie” non lo siano poi  anche dei “ladri”.

Martha Friel è docente di marketing delle organizzazioni culturali, IULM, Milano