‘Massima visibilità , minimo investimento’. Questa, in uno slogan, la filosofia del nuovo marketing. Già  da qualche anno, le strategie di promozione pubblicitaria e di diffusione del brand non si accontentano più di invadere i canali tradizionali con spot, manifesti, tormentoni e gadgets, rischiando di passare inosservati, sommersi dalla marea dell’information overload. Per catturare l’attenzione e intercettare nuove fette di mercato, le aziende rimpolpano le proprie campagne con azioni shock, usando mezzi inediti e anticonvenzionali. Come spesso succede quando un settore è in crisi, la nuova linfa e un’ispirazione rinfrescante vengono pescate dal vulcanico mondo dell’underground. Come la moda, la musica e l’arte contemporanea, anche il marketing oggi guarda alla strada, prendendo in prestito segni e linguaggi della comunicazione urbana. Multinazionali come la Nike, la Toyota e la Nokia si infiltrano nella vita quotidiana dei potenziali consumatori con una comunicazione capillare, insolita, a volte persino abusiva. Come? Con graffiti, adesivi, murales, performance.
L’ultimo caso in ordine di tempo è opera della Toyota, che per lanciare un nuovo modello di automobile destinata al pubblico giovane, ha pagato decine di studenti newyorkesi per passeggiare in una nota piazza della città  con il marchio della macchina -la Scion- tatuato sulla fronte. La Nokia ha acquistato cartelloni e li ha offerti in pasto ai migliori writer in circolazione, ha tappezzato Roma e Milano di stickers enigmatici e ha sguinzagliato per le città  un esercito di video-giocatori intenti a smanettare con il suo ultimo cellulare. Le radici di questa pratica, battezzata, a causa della sua irruenza, guerriglia marketing, affondano nelle teorie dello statunitense Jay Conrad Levinson, che ha messo a punto una serie di tecniche e continua a studiare i casi più interessanti e innovativi.

Naturalmente non mancano le polemiche, e muovono da considerazioni molto diverse tra loro. I consumatori si sentono accerchiati, le amministrazioni pubbliche spesso non gradiscono (e richiamano all’ordine le aziende), gli attivisti e gli artisti di strada, saccheggiati ed emulati, si dividono tra indifferenza e atteggiamenti canzonatori. Quel che è certo è che le più azzeccate azioni di marketing non convenzionale escono ancora dal cilindro di artisti e cultural jammers -che hanno naturalmente tutt’altro scopo- e che le aziende dimostrano di avere ancora molto da imparare, limitandosi spesso a ricalcare formule ormai svuotate dell’originaria carica eversiva.
Un esempio? Vienna, ottobre 2003. Il Nikeground Infobox, una costruzione trasparente allestita in Karlplatz, annuncia l’imminente ridenominazione della piazza in Nikeplatz, in onore della multinazionale dell’abbigliamento sportivo. Dopo centinaia di telefonate allarmate alle autorità  e alla Nike, la verità  viene però a galla. Si tratta dell’ultima provocazione del gruppo di media artists 0100101110101101.ORG, impegnati in un’operazione da loro definita boomerang marketing. Corredata da manifesti, volantini e un efficace sito web, dove campeggia il progetto per un monumento al ‘baffo’ della Nike. Alto 18 metri e rivestito di plastica rossa, ottenuta riciclando le suole delle scarpe da ginnastica. Il mese scorso, dopo una breve battaglia legale, l’azienda americana getta la spugna e rinuncia a perseguire il gruppo, originariamente accusato di uso illecito del marchio. Secondo i ben informati, sembra addirittura che un loro rappresentante abbia fatto a 0100101110101101.ORG un’offerta per l’acquisto dell’operazione”¦

www.guerrigliamarketing.it
www.gmarketing.com
www.0100101110101101.org/home/nikeground<br