L’Italia custodisce in sé gran parte di ciò che il Paese è sempre stato. Non sappiamo se sia merito della capacità  creativa, dei favori del clima e della natura, del passaggio di genti di tutti i tipi, dei comuni e delle Signorie, del Rinascimento o del Barocco. Non sappiamo se sia grazie ad una storia che è fatta di popoli legati al lavoro della terra, o ancora per il fiorire -più in ritardo, rispetto al resto d’Europa- della moderna industria. La cosa certa è che il Belpaese ci appare oggi un contenitore di beni di tale livello che qualunque bellezza -culturale o naturale- diventa, per abitudine o sovraesposizione, poco più che uno sfondo ben disegnato.
Tuttavia oggi, forse per effetto di un ripensamento più lucido delle ricchezze del nostro Paese in un momento di forte crisi economica, risorse meno conosciute come la cultura rurale e quella protoindustriale sono in corso di rivalutazione. Si è aperto un filone di interesse verso il nostro recente passato, legato senza dubbio alla necessità  del nuovo stato federale di riorganizzare i territori pianificando attività  di riconversione economica e industriale, e recuperando, per quanto possibile, l’identità  rurale di piccoli comuni ancora legati a micro-produzioni agricole. La riscoperta della fase di sviluppo proto-industriale, e più in generale di una certa “cultura del lavoro”, sta diventando oggi non solo una curiosa eccezione, ma un vero e proprio trend turistico.
Sono molte le organizzazioni che si muovono verso la promozione di questi settori. Ad esempio l’associazione di cultura di viaggio Outis -per non citare l’inaffondabile Touring Club Italiano– dà  alcune brillanti indicazioni in proposito, dedicando un intero settore al cosiddetto “turismo industriale”. Così, dando una veloce scorsa, veniamo a sapere che in Sardegna -terra conosciuta oggi più per i vip della Costa Smeralda che per le sue risorse culturali- è stato istituito un Parco Geominerario con l’obiettivo di adibire le zone a centri di ospitalità  turistica, attraverso la valorizzazione di vecchie miniere dimesse. E’ significativo ricordare a questo proposito che, proprio in Sardegna, il Programma Operativo Regionale ha dedicato una voce specifica al recupero di aree ex industriali dal 1997, riconosciuto dall’Unesco nel 1998.
Allo stesso modo, nel vicentino si punta a rafforzare il valore del carattere proto-industriale di Schio, dove è stato organizzato un Outdoor Museum of Industrial Heritage, con percorsi dedicati alla visita delle fabbriche di lana, del Nuovo Quartiere Operaio, dei canali, mulini, miniere, e del villaggio industriale di Piovene Rocchette. Un intervento che, partendo dalla divulgazione di un patrimonio storico, per mezzo di attività  turistiche, didattiche e di laboratorio, intende contribuire a lanciare un nuovo concetto di fruizione del territorio. Qualcosa di simile avviene già  da parecchio tempo ”“ e anche qui con un intervento di patrocinio dell’Unesco e del FAI – per il famoso villaggio di Crespi D’Adda, tra Bergamo e Milano: un meraviglioso centro operaio voluto nel 1878 da Cristoforo Benigno Crespi, imprenditore tessile di Busto Arsizio, e ancora praticamente intatto. Un esempio di conservazione di una comunità  ideale di operai ”“ che ancora vi abitano ”“ e che “apre” le porte alla visita di quanti vogliano conoscere le origini degli insediamenti produttivi legati ai mestieri e alle pratiche delle nascenti industrie.
Insomma, si punta sulla rivitalizzazione di un settore cercando allo stesso tempo di lavorare sul sottile filo conduttore che lega il tecnico al tecnologico. In un certo senso, un approccio comparato non può che essere benefico e rafforzare l’interesse del visitatore che, nell’immersione in un determinato periodo della storia delle idee, si trova a confrontare aspetti della contemporaneità, a tratteggiare i percorsi della trasformazione della cultura di un territorio. Validi esempi di questo ideale connubio li abbiamo nel Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia, con interventi di collezione, archiviazione e conservazione di documenti, e un programma tendenzialmente interdisciplinare che consente al fruitore un passaggio contaminato da stimoli diversi tramite laboratori multimediali, audiovisivi, grandi exhibit e strumenti interattivi. Altrettanto innovativo, il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna, in cui prevale l’aspetto dell’applicazione delle tecnologie più divulgative nell’offerta di percorsi didattici e di conoscenza di lavori e sistemi produttivi spesso in stretto riferimento alla storia del territorio.
L’aspetto didattico sembra essere il canale privilegiato per il rilancio di questo tipo di turismo. Il ricorso ad applicativi di comunicazione di ultima generazione è utile per attirare l’attenzione di generazioni che prediligono la capacità mediatica del messaggio piuttosto che il confronto accademico tradizionale. L’esperienza, in questo caso, è di tipo ludico, con possibilità di ri-creare i processi del passato per mezzo del potenziale di strumenti futuribili, gli unici in grado, almeno per le nuove generazioni, di comunicare il reale valore del sistema-fabbrica, fino a deviare, almeno così sulla carta, ogni possibile ricaduta sugli altri segmenti dell’industria turistica. Il passato torna a proporsi, dunque. E lo fa con nella veste di un anziano progenitore della società del futuro.

www.outis.org
www.touringclub.it
www.villaggiocrespi.it
www.iperbole.bologna.it/patrimonioindustriale
www.minieredisardegna.it