Pensando a come descrivere il pubblico che oggi si rivolge a musei, aree archeologiche, mostre ed eventi culturali in genere le strade da percorrere si rivelano molteplici.
Quella della definizione per caratteristiche sociodemografiche, condotta tramite somministrazione in larga scala di questionari, successivamente elaborati, e quella della delineazione di un profilo del pubblico grazie ai comportamenti. In quest’ultimo caso le azioni di indagine sono certamente di genere diverso, e possono integrare la ricerca quantitativa con la ricerca qualitativa, condotta con strumenti come focus group, interviste in profondità e dialogate, indagini osservanti, per citarne solo alcuni. Non intendiamo tuttavia stendere in questa sede una disamina dei singoli metodi, per i quali rimandiamo alle risorse bibliografiche in calce. Cercheremo invece di mettere in luce un bisogno. Quello di raggiungere un’idea concreta dell’esperienza di un visitatore o, se vogliamo, di un turista culturale.
Proviamo a sintetizzare alcune caratteristiche descrittive, provenienti da numerosi studi e ricerche che raccontano i comportamenti del pubblico qui in esame. Tra questi spicca di certo il reddito superiore alla media, e quando non è così, la disponibilità verso proposte di tipo culturale, con una propensione durante la vacanza ad una spesa media giornaliera (pro capite) di 101 euro (contro quella del turista generico che si attesta sui 67 Euro).
Questo tipo di pubblico ama abbinare alla visita lo shopping, soprattutto se legato all’artigianato artistico o alla produzione enogastronomica locale e di qualità ; ha un alto livello di istruzione; è composto in maggior percentuale da donne; si concentra perlopiù nelle fasce di età non giovanile. Inoltre va considerata la dimensione prevalentemente sociale con cui si effettua la visita del museo, o in generale l’esperienza di tipo culturale (questo riscontrato anche dall’analisi dei fenomeni Festival della letteratura di Mantova, o della filosofia di Modena, per fare solo i primi esempi). Da notare anche una certa tendenza alla visita d’impulso, ossia alla scelta non programmata di un museo o di una mostra, dovuta a particolari che attraggono l’attenzione e invitano a scoperte improvvise. In più emerge anche il profilo di un visitatore esigente, abituato ad aspettarsi alti livelli di qualità del servizio anche nell’ambito della cultura.
Queste note offrono un ritratto interessante: ci aiutano a comprendere il fenomeno del turismo culturale, ci segnalano un bisogno di socializzazione dell’arte, ci avvisano delle alte aspettative dei pubblici culturali.
Affianchiamo a tutto ciò altre considerazioni. Immaginiamo le incertezze, la confusione, l’entusiasmo, la curiosità , lo slancio, la noia, la ricchezza che ognuno di noi prova, come ventaglio di emozioni, dopo una mostra o una visita culturale. Ma soprattutto osserviamoci nell’affrontare scale faticose, immersi nella lettura di segnaletiche complesse, di didascalie non accessibili per motivi grafici e di linguaggio, di pannelli interessanti ma spesso troppo lunghi o con dei tagli eccessivamente specialistici. Immaginiamoci mentre gestiamo i nostri tempi d’apprendimento, di conoscenza, di ricerca, di esperienza estetica, secondo i suggerimenti del percorso museale, della guida, dell’operatore didattico, ma anche sulla base delle nostre associazioni, suggestioni e conoscenze. Ricordiamoci le sensazioni diverse legate al nostro corpo: la fame, la sete, il freddo il caldo, i piedi che fanno male.
A conclusione di questo esercizio di raffigurazione delle nostre stesse esperienze e opinioni, abbiamo davanti agli occhi non un generico pubblico, impersonale ancorchè ben descritto da ricerche ad hoc, ma dei veri e propri individui, delle persone, che sono fisicamente e mentalmente dentro l’esposizione e che interagiscono con il messaggio o con l’opera d’arte.
Aspetti questi che difficilmente possono emergere solo utilizzando le consuete metodologie di ricerca di tipo quantitativo, ma che più probabilmente possono essere riscontrati in lunghi periodi di dialogo con il pubblico e di osservazione di come esso vive il museo o gli eventi culturali.
In che modo? Con i metodi usati in Italia ma soprattutto all’estero, con le ricerche qualitative o con le indagini osservanti e, diciamo in generale, con le esperienze di ricerca che prevedono integrazioni di metodi e di fasi diverse e un coinvolgimento attivo della struttura.

Immaginando un breve vademecum, si potrebbe così sintetizzare:
– non aver fretta di ottenere tutto in tre mesi: quella è l’esigenza del politico non del ricercatore
– utilizzare il know how interno (i custodi per esempio o gli educatori sono sempre dei grandi conoscitori dei tic del pubblico, dei pregi e dei difetti del museo)
– ricordare che non sempre a ricerca costosa corrisponde utilità dei risultati – chiedere la collaborazione attiva del pubblico, strutturando brevi interviste, dialoganti e intorno ad un caffè (con l’incentivo magari di biglietti gratuiti del museo o di omaggi del bookshop)
– ricordare che il ricercatore può essere anche un mediatore di conoscenze, un attivatore di consapevolezza o un facilitatore di condivisione

Queste note ci portano all’esigenza di ripensare anche i modi in cui si affrontano gli investimenti in conoscenza nel settore culturale, dove forse partire da una sistematizzazione e da una messa in rete delle esperienze aiuterebbe a procedere con minore fatica. In ogni caso l’obiettivo da raggiungere è non accontentarsi di contare il pubblico. Al contrario, far sì che esso possa contare.

Note bibliografiche
AA.VV., L’espansione dell’arte, Navigator, Edizioni Lotus;
E. Hooper -Greenhill “L’evoluzione dei modelli comunicativi nei musei d’arte” in a c. di C. Bodo, Il museo relazionale, Fondazione Agnelli, Torino, 2004;
Federculture, Primo Rapporto Annuale, 2002
G.P. Fabris, Il nuovo consumatore verso il postmoderno, Franco Angeli, 2003 A.Bollo, Le due facce della fruizione museale, sintesi della ricerca condotta nel 2003
sui visitatore dei musei lombardi, http://www.fizz.it/argomenti/pubblico/2003/bollo_1.htm
M. T. Balboni Brizza, “Il museo come forma complessa”, in Nuova museologia, n. 3, 2000
N. Satta, “Conoscere i comportamenti dei visitatori per comunicare: il caso del Museo Nazionale della scienza e della tecnologia di Milano”, articolo pubblicato su www.fizz.it, aprile 2004 (http://www.fizz.it/argomenti/pubblico/2004/satta1.htm)
P. Corbetta, La ricerca sociale: metodologia e tecnica, Il Mulino, Bologna, 2003

Focus group e indagini osservanti
Il focus group è una tecnica di ricerca che nasce negli Stati Uniti ad opera di due sociologi degli anni ‘40 del Novecento, K. Levin e R. Merton, al fine di focalizzare un argomento e far emergere le relazioni tra i partecipanti. L’indagine osservante è diretta a registrare ed interpretare i comportamenti di fruizione dei visitatori di un museo. Si serve, come strumento principale, proprio dell’osservazione del pubblico.

Noemi Satta è consulente di marketing per i musei e per i territori. Intreccia a queste attività quella delle metodologie di sviluppo partecipativo. Sulle stesse tematiche è anche formatrice. Collabora con enti e istituzioni, come free lance porta avanti i suoi progetti affiancandosi a società o creando gruppi di lavoro ad hoc.

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