Si trovano sui francobolli di posta prioritaria apposti negli uffici postali, sui documenti di viaggio di alcune agenzie turistiche e in altri oggetti. Ricordano vagamente dei codici a barre, anche se invece di svilupparsi in lunghezza hanno una forma quadrangolare. Sulle prime non sembrano avere nulla a che spartire con il mondo digitale e vengono spesso stampati su materiale cartaceo. Ma a ben vedere quell’alternanza di spazi pieni e vuoti ricorda la sequenza di presenza/assenza di segnale, tipica del linguaggio binario.
Non è propriamente un codice a barre, ma un particolare tipo di icona che ha la capacità  di puntare a risorse internet i telefonini dotati del giusto software decodificatore.
Il suo nome è semacode.

semacode e le sue tecnologie
Inventato poco più di un anno fa da Simon Woodside, semacode è un software che produce un linguaggio iconico che permette di switchare in maniera pressoché immediata dal telefonino a internet. Come funziona? Poniamo il caso di avere un qualsiasi indirizzo internet. Con il suo sistema di codifica, semacode trasforma l’URL in una matrice di punti neri e bianchi (chiamata datamatrix) che può essere stampata e riprodotta su qualsiasi tipo di oggetto. Chiunque abbia un telefonino capace di navigare in internet e dotato di fotocamera e software opportuno, può scattare una foto alla datamatrix e il browser del telefonino verrà  indirizzato direttamente sul sito web corrispondente. Senza digitare nulla. Semacode trasforma di fatto il vostro cellulare in uno strumento di accesso diretto alla rete.
Se semacode è stato il primo progetto a proporre una tecnologia in grado di integrare un’applicazione legata a internet con le potenzialità  del telefonino, altri hanno sfruttato la stessa idea per dare origine ad una serie di programmi che esaltano la possibilità  di switchare dallo spazio reale allo spazio informativo della rete.
ShotCode ad esempio nasce con l’esplicito scopo di arricchire contenuti offline che altrimenti sarebbero statici. L’esempio che si può vedere dalla demo presente sul sito indica la possibilità  di acquistare i biglietti di un concerto semplicemente scattando una foto con un telefonino al diagramma posizionato sul cartellone del concerto, collegandosi direttamente al sito internet che gestisce la vendita. Mobot, invece, estende questo concetto fino a rendere sempre più sofisticato il collegamento tra il mondo reale e internet. Grazie ad un sofisticato algoritmo di riconoscimento delle immagini, Mobot riesce collegare un’immagine a un sito internet anche in assenza di simboli speciali da fotografare con il telefonino. Questo lo rende particolarmente utile per strategie di comunicazione basate sul branding, perché semplicemente inquadrando un’immagine o un logo di una società  si può visitare il sito internet, scaricare suonerie, wallpaper e qualsiasi contenuto sia reso disponibile in rete.

progetti
Dando a tutti la possibilità  di produrre il proprio codice, semacode si è rapidamente trasformato in una modalità  alternativa diffusa per lo sfruttamento del mare di risorse che internet mette e disposizione di navigatori e nomadi tecnologici. Esistono infatti diversi progetti che impiegano le possibilità  di questa tecnologia ad una vasta gamma di applicazioni creative. E tutte hanno per protagonista la città .
Uno dei progetti più interessanti è senza dubbio Semapedia, che permette di trasformare le voci della più grande enciclopedia comunitaria della rete, Wikipedia, in una serie di codici che possono essere usati come strumento per avere maggiori informazioni su edifici di valore storico. Alexis Rondeau e Stan Wiechers, autori del progetto, invitano gli internauti a produrre i propri codici da apporre in giro per le città del mondo, così da trasformare lo spazio urbano in un vero e proprio spazio informativo, quasi come se i semacode fossero dei silenti ciceroni digitali.
Se invece di trasformare gli edifici pubblici in enormi link di Wikipedia, si preferisce un altro tipo di messaggi, allora in questo caso si può utilizzare Semanote. Sviluppato da uno dei creatori di Semapedia, Stan Wiechers, il sito mette a disposizione un applet che permette di tradurre in versione semacode qualunque tipo di messaggio. In questo modo, nelle idee dell’autore, si trasforma l’internauta in un tagger senza bombolette spray, armato solo del proprio cellulare. E di una stampante.
Diversi sono i giochi urbani che vedono semacode come protagonista, come le cacce al tesoro in cui gli indizi sono rappresentati da codici posti in punti strategici di una zona particolare.
Il progetto Eruv, battezzato con un nome ebraico, è basato sulla medesima tecnologia. Secondo il Talmud, eruv è la parola che indica il confine dentro cui si trova lo spazio che condiviso da una comunità ebraica. Tradizionalmente l’eruv veniva eretto usando dei pali collegati fra loro da corde, mentre in questa versione immateriale, si usano dei semacode. In questo caso per ricostruire il percorso tradizionale dell’eruv che cingeva la penisola di Manhattan a New York.
Ciò che accomuna le diverse forme di semacode con i progetti descritti è la volontà di creare uno spazio ibrido in grado di trasformare la città in un enorme ipertesto comandabile via telefonino. L’esperienza della navigazione in internet è ormai un’esperienza quotidiana e comincia ad emergere con sempre maggiore evidenza la volontà di abbattere le barriere fra il mondo reale e quello digitale. Anni fa questo era il sogno della realtà virtuale, che però non ha portato a soluzioni interessanti. Ora è il momento delle tecnologie che usano il telefono cellulare come strumento per spostarsi dalla rete alla realtà. E viceversa.
Questa situazione ricorda alcune scene del film Matrix in cui i personaggi entravano e uscivano dalla matrice grazie all’uso di cabine telefoniche e telefoni cellulari. E se ci era sembrato solo un artificio narrativo, oggi dobbiamo ammettere che si trattava di una visione molto più lungimirante di quanto avremmo immaginato.

www.semacode.org
www.shotcode.com
www.mobot.com
www.semapedia.org
www.merkwelt.com/people/stan/semanote

Davide Bennato è ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma “La Sapienza”. Si occupa di studi sociali della scienza e comunicazione pubblica della tecnologia. Fra le sue pubblicazioni: Reti e processi comunicativi nella globalizzazione (1999); Reti. Comunicazione e infrastruttura (2002); Gli archivisti di Babele. Privacy e informazioni in rete (2002), Le metafore del computer (2003).