Intervista a Maria Cristina Venanzi

Nei momenti in cui il territorio, specie quello cittadino, si trasforma, si innesca sempre una situazione difficile per coloro che lo abitano. Il disagio dei cantieri, la paura della novità , lo scetticismo e lo spaesamento sono gli effetti più immediati. In che modo la vostra società si propone di mitigare gli esiti negativi delle mutazioni territoriali?
Non si tratta di mitigare gli esiti negativi delle mutazioni -questo, sempre che sia possibile, esula dalla competenza della comunicazione- ma di “accompagnare” il processo di attuazione di un intervento di trasformazione, il cui esito si presume positivo per il territorio, con attività di comunicazione che diano ai cittadini strumenti per comprendere e opportunità per partecipare. Spesso infatti la sfiducia, la diffidenza, l’irritazione non derivano da un’opposizione ragionata, ma dalla mancanza di un’informazione corretta, tempestiva e preventiva e dall’assenza di un clima di positivo coinvolgimento emotivo.
Un intervento “classico” della nostra società prevede la progettazione -molto prima dell’apertura dei cantieri- di un piano di comunicazione di massima che individui i diversi pubblici impattati e cui ci si intende rivolgere, pianificando per ciascun pubblico gli strumenti e le azioni da attivare in relazione alla tempistica dei lavori e al budget a disposizione.
Il piano di comunicazione costituisce l’intelaiatura di riferimento all’interno della quale procedere con una progettazione esecutiva in corso d’opera, in relazione sia ai frequenti cambiamenti e “colpi di scena” che caratterizzano generalmente l’evoluzione di un grande cantiere, sia ai contributi progettuali che possono venire dai soggetti locali con cui è indispensabile costruire un’atmosfera di fiducia e collaborazione.
A questo scopo nel nostro staff sono presenti diverse competenze: da quelle classiche di comunicazione (copy, grafica, multimedialità e audiovisivi, relazioni con i media) alla capacità di estrarre in modo quasi maieutico le informazioni dai tecnici e renderle comprensibili ed interessanti per i non addetti ai lavori, dall’attitudine alle relazioni interpersonali fino alla capacità di fornire una sorta di “assistenza sociale” quando si tratta di operare in contesti urbani difficili.

Com’è nata l’idea dei “cantieri evento”?
Il concetto di cantiere evento è stato sperimentato per la prima volta nel 1994 in Francia dall’impresa di costruzioni Dioguardi -del cui gruppo Grm faceva allora parte- per la realizzazione di un parcheggio interrato sulla storica piazza dei Celestini a Lione (Céléstins chantier événement).
In linea con la tradizione di impegno sociale dell’impresa barese, nel cantiere evento di Lione hanno trovato per la prima volta una sintesi diverse esperienze condotte negli anni precedenti, dai Laboratori di quartiere all’adozione di scuole in aree urbane degradate.
Il cantiere si è così integrato con la città attraverso una serie di iniziative centrate su tre parole-chiave: informazione, per spiegare ai cittadini che cosa si stava costruendo e come; educazione, per coinvolgere i bambini facendoli sentire protagonisti, attraverso laboratori di progettazione, costruzione e animazione teatrale; formazione, per avviare al mondo del lavoro alcuni giovani disoccupati attraverso una scuola-cantiere.
Da quel momento l’impresa ha sempre caratterizzato i suoi cantieri di una certa importanza come cantieri evento, attivando di volta in volta, in relazione alle caratteristiche del cantiere e del contesto circostante, iniziative specifiche ma sempre basate sugli stessi principi informatori.
A partire dal 1996 la progettazione e gestione di cantieri evento è divenuta la missione specifica di Grm e dal 1999 il termine “cantiere evento” è marchio registrato Grm.

Qual è il progetto di cui andate più fieri, e perché?
Forse proprio il cantiere evento dei Celestini, perché ha rappresentato un atto di fortissima innovazione e perché grazie alla risonanza che ha avuto ha contribuito a far nascere in Italia presso le amministrazioni pubbliche la consapevolezza che è possibile ribaltare l’immagine tradizionale dei cantieri, da fonte di disagio in opportunità di conoscenza, di dialogo, di costruzione di consenso. Oggi il termine cantiere evento è entrato nel linguaggio comune di chi si occupa di comunicazione territoriale, e tutto ciò è nato da quella prima intuizione.

Cosa significa oggi “comunicare il territorio”?
Significa sposare l’interesse della collettività con l’interesse di imprese e committenti, pubblici e privati: il coinvolgimento dei cittadini infatti stimola il senso di appartenenza ai luoghi, educa alla manutenzione urbana, previene o mitiga i conflitti, facilita un regolare svolgimento dei lavori.

In che modo si possono coinvolgere i cittadini in prima persona?
Far partecipare i cittadini già al processo di progettazione -attraverso tecniche specifiche di consultazione principalmente di origine anglosassone- è il modo migliore per coinvolgere, ma naturalmente non sempre è possibile, né opportuno.
E’ sempre opportuno invece, una volta che il progetto sia definito, comunicarlo con strumenti e linguaggi -sia verbali che visivi- adatti per un pubblico di non addetti ai lavori. Ma è fondamentale comunicare anche il cantiere, che sempre presenta elementi sia di problematicità che di interesse, in termini di organizzazione, tecnica, spettacolarità. Per quanto riguarda le problematicità, gli strumenti che usiamo più spesso sono i tavoli periodici con le rappresentanze dei gruppi di interesse -spesso portatori di conoscenze locali che progettisti e imprese non hanno-, l’informazione preventiva porta a porta su fasi dei lavori che comportano disagi o modifiche nelle abitudini e nei percorsi e i punti informativi dedicati e presidiati da operatori della comunicazione.
Per quanto riguarda la valorizzazione del cantiere, non c’è limite alla creatività: dai “balconi” di osservazione alle visite guidate, reali o virtuali; dal trattamento decorativo/informativo delle recinzioni agli spazi espositivi; dai siti web dedicati agli eventi di animazione intorno e dentro il cantiere, ovviamente compatibilmente con le esigenze di sicurezza.

Come è cambiato il tessuto urbano negli ultimi anni?
Francamente non saprei come rispondere a questa domanda, più di pertinenza di un progettista che non di un comunicatore. Per definizione noi operiamo in luoghi urbani in trasformazione. Negli ultimi anni abbiamo lavorato moltissimo a Torino, la città che credo in Italia abbia vissuto il mutamento più radicale: dalla creazione di nuove infrastrutture -il Passante ferroviario con l’interramento dei binari, che ha ricucito due parti della città prima divise, e la metropolitana- alla riqualificazione delle piazze e dei mercati, dalla costruzione di nuovi quartieri in aree industriali dismesse, come Spina 3, alla rivitalizzazione di quartieri degradati come Mirafiori nord o Porta Palazzo grazie ai programmi Urban.

Riferimenti:
www.grmsit.com

www.urbanitalia.net
www.avventuraurbana.it