Il Museo Italiano è oggi un luogo da visitare, non da vivere. A nessuno viene in mente di andare al Museo e comprare i cartoncini augurali di Natale. Nessuno va al ristorante di un Museo. Nessuno usa un museo come un luogo di esposizione di altri manufatti. Al Metropolitan Museum di New York tutto ciò è fattibile e piacevolissimo. Stesso dicasi per il MOMA o il Guggenheim. Questi luoghi sono parte integrante della vita della città , ci si fa shopping, ci si incontra socialmente e, così facendo, si sostiene l”˜istituzione.

Senza arrivare oltreoceano prendiamo ad esempio un paese Europeo, la Gran Bretagna. In Gran Bretagna esiste un’istituzione chiamata il National Trust. Arcinota, e soprattutto molto amata dai Britannici, la sua mission è raccolta in poche e sintetiche parole “for ever, for everyone” (per sempre, per tutti). E’ vero che l’Inglese come lingua serve ammirevolmente alla sintesi dei concetti ma la chiarezza di questa frase non è applicabile ad alcuna Istituzione Italiana.
Andando avanti e leggendo alcuni contenuti del sito (www.nationaltrust.org.uk) ci si imbatte immediatamente in una serie di informazioni. L’associazione è non profit, preserva e protegge non solo monumenti nazionali ma anche le coste della Gran Bretagna e la bellezza delle sue verdi campagne. Con candore disarmante si afferma che non è solo visitando gli edifici restaurati e preservati che l’associazione si mantiene in vita. La sopravvivenza è garantita da volontari e dalle imprese ad esso collegate. Si noti la parola “enterprises”. Andando oltre : “The Trust invests over £160 million a year in the nation’s environmental infrastructure and works with over 40,000 companies, including 2,000 specialist conservation businesses.” Ovvero il National Trust investe all’anno 160 milioni di sterline, lavora con più di 40,000 aziende e con circa 2000 specialisti nel business della conservazione. Se per un attimo dimentichiamo il soggetto e guardiamo alle cifre esse potrebbero essere riferite ad una Azienda di grandi dimensioni.
Andiamo avanti. Sotto la voce Trading Activities (attività commerciali) si listano le seguenti iniziative: Shops ovvero negozi, situati non solo nelle proprietà preservate ma anche in 25 luoghi di grande attrazione commerciale, Restaurants and Tea rooms ovvero ristoranti e sale da té (140 per essere precisi), Holiday Cottages, ovvero case di vacanza, circa 300 su tutto il territorio nazionale, nonché una vera e propria organizzazione di viaggi, che offre week end brevi, crociere ed altro in linea con l’immagine di qualità e cultura del Trust.
Per ultimo alcune cifre. “We protect over 700 miles of coastline in England, Wales and Northern Ireland. In total we look after 617,500 acres (250,000 hectares) of countryside, moorland, beaches and coastline” ovvero si proteggono 700 miglia di coste, e 250,000 ettari di territorio. Ed inoltre: “Amongst the historic properties in the Trust’s care are 166 fine houses, 19 castles, 47 industrial monuments and mills, 49 churches and chapels, and 35 pubs and inns”. Ovvero fra le proprietà storiche del Trust sono inclusi 166 case nobiliari, 19 castelli, 47 monumenti industriali ed opifici, 49 fra chiese e cappelle e 35 pubs.
Per concludere : “An estimated 50 million people visited the National Trust’s open-air properties in 2004.Our pay for entry properties were visited by more than 12 million people in 2004. The Trust now has more than 3.4 million members.” Ovvero circa 50 milioni (!) di persone hanno visitato le proprietà a cielo aperto nel 2004. Dodici milioni di persone hanno visitato luoghi a pagamento e l’associazione conta su tre milioni e quattrocentomila soci. No comment.

Viene lecito porsi una domanda. Perché noi no? Perché non amiamo il nostro Paese? Perché non ci curiamo di esso? Secondo chi scrive il vero problema è nella mancanza di volontà da parte delle Istituzioni di considerare questo museo all’aria aperta che è l’Italia come qualche cosa che deve vivere, prosperare, deve essere gestita con metodi moderni da esperti del settore, attenti si all’arte ma consapevoli che mantenerla e gestirla è un fatto costoso che va finanziato e non è sicuramente lo Stato quello che può affrontare un carico simile.
Sopravvive inoltre nella mentalità comune il sospetto che privati o associazioni non profit non siano “adatti” culturalmente a gestire il patrimonio nazionale. Basta guardare il FAI per smentire clamorosamente questa affermazione. Il FAI conta oggi 70,000 soci e 26 splendide proprietà e combatte una battaglia solitaria e coraggiosa per proteggere e rivalutare i luoghi belli del nostro paese. Ma non viene male al cuore a pensare ai 3,4 milioni di associati Britannici contro i settantamila Italiani, quando la popolazione dei due paesi non è dissimile?
E quindi la domanda è: da dove cominciamo? Da uno Stato che legiferi coraggiosamente e deleghi un ente, una associazione ad un progetto pilota finalizzato alla gestione sperimentale di marketing di un Museo Italiano. Si potrebbe provare e rimandare ogni giudizio ai bilanci di esercizio a medio termine, ovvero cinque anni dopo. Chi scrive è convinta che saranno molto più in salute di quelli odierni per il bene dell’Ente stesso. E l’arte non verrà sicuramente svilita o offesa se, invece dei souvenir da quattro soldi dei tombaroli pompeiani, sarà il museo ad offrire riproduzioni a marchio proprio, accurate in ogni particolare.

Approfondimenti:
Brand, Licensing & Merchandising@Musei.it, di Daniela Venturi (pdf)