Abbandonate in seguito alla progressiva terziarizzazione della città  postmoderna, rimaste bloccate all’interno del dilagante spazio urbano, queste ex zone industriali stanno progressivamente recuperando una dimensione pubblica attraverso le occupazioni (rave e CSOA) e le riconversioni in centri polifunzionali.
I processi di innovazione e reinvenzione, partiti per iniziativa delle sottoculture giovanili, sono stati assorbiti dall’establishment culturale che ne ha colto le potenzialità  economiche. Esemplare è il caso del Gazometer di Vienna, primo impianto pubblico in Europa per la produzione del gas, entrato in funzione nel 1899 e rimasto attivo fino al 1981. Dal 1993 la fabbrica dimessa è periodicamente occupata dai memorabili raves della XXX Production. Cinque anni dopo i gasometri vengono sgomberati per fare spazio ai cantieri per la loro trasformazione in un nuovo complesso plurifunzionale di stampo commerciale.

Spesso non è possibile paragonare le forme di riappropriazione, spontanee ed autogestite da un lato, organizzate e sostenute da ingenti investimenti economici dall’altro. Si passa da esempi di istituzionalizzazione dal basso come quello del Link di Bologna, nato dall’occupazione di ex magazzini farmaceutici poi concessi in affitto dall’amministrazione comunale, al caso estremo di istituzionalizzazione dall’alto, ossia la realizzazione della Tate Modern di Londra voluta dal governo Labour. E’ altrettanto difficile formulare un giudizio di valore sull’ appropriazione delle pratiche sottoculturali periferiche da parte della cultura mainstream. Se, infatti, l’omologazione delle istanze più innovative della cultura giovanile sembra essere una limitazione alla creatività , talvolta è solo grazie all’intervento pubblico che tanti spazi altrimenti destinati all’obsolescenza vengono sottratti al dilagare dello sprawl e riconsegnati alla collettività .

Ora che il processo è giunto alla maturità  si assiste però a un fenomeno che sembra il punto di congiunzione della tendenza, dove la ex fabbrica, spazio di produzione industriale, ritorna factory, un luogo che è allo stesso tempo laboratorio e centro culturale. Numerosi sono infatti gli esempi di aree industriali dismesse convertite in studi, gallerie e laboratori, dove la community degli artisti può lavorare a stretto contatto innescando processi di interazione, collaborazione e scambio. Si pensi alla Fabbrica del Vapore di Milano, all’Old Truman Brewery di Londra o al nuovo Radialsystem di Berlino. E se anche il fenomeno affonda le sue radici in occidente, lo sviluppo nell’era postindustriale si orienta naturalmente nella direzione della meta-factory, come dimostra, ad esempio, la Fabbrica 798 di Pechino. Complesso industriale costruito intorno agli anni 50, il cui nome si riferisce al distretto militare di appartenenza, la Fabbrica 798 è ora sede di librerie, gallerie, atelier, club, mostre e studi, frutto dell’azione del movimento artistico underground che va impadronendosi dei simboli della Cina rivoluzionaria.

La trasformazione di spazi industriali in centri culturali dunque contiene l’avanzata dell’indistinto urbano in una doppia accezione: strutturale, costringendo le aree dimesse a far esplodere il loro potenziale, ritornando ad essere luoghi fortemente connotati in senso identitario, capaci di innescare un  processo di rinascita delle aree circostanti, ma anche concettuale, dando la possibilità  di agire nuovi spazi, di sperimentare nuovi percorsi, di formarsi nuove identità , grazie a multiformi spazi della cultura.

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