Intervista a Jean-Luc Michaud, direttore dei servizi cultura e comunicazione della città  di Valentigney.

Com’è nata l’idea del progetto Terrains Cultivés?
L’idea di Terrains Cultivés è nata da una indagine tra i lavoratori del sociale nella città  di Valentigney. Numerosi lavoratori immigrati, turchi, magrebini, arrivati all’età  della pensione, si ritrovavano senza un’occupazione e avevano sviluppate delle patologie legate a questo problema. Abbiamo quindi deciso di lavorare sulla memoria degli anziani, e poi sulla valorizzazione della memoria vivente del territorio, quindi su tutti i 29 comuni (in totale, 120.000 abitanti) che compongono questa agglomerazione.
Il problema era: “Come possiamo ricostruire un legame sociale con il territorio in difficoltà  partendo dalla riconoscenza di coloro che lo abitano?”

Come si è evoluto il progetto dalla sua nascita a oggi?
Dal 2003 abbiamo elaborato una diagnostica del territorio per identificare le risorse, gli attori, i progetti in costruzione o esistenti e per misurare le motivazioni di ogni attore a costruire insieme un progetto sul territorio. Un forum aperto al pubblico nel febbraio 2004 ha riunito più di 80 partecipanti: amministratori di enti locali, rappresentanti delle comunità  sociali, artisti, educatori. Ciò ha permesso di porre le basi per una costruzione condivisa, e identificare i bisogni legati all’accompagnamento del progetto. Da questo momento è nato Terrains Cultivés: progetto iscritto nel quadro delle politiche della città . Le tappe della formazione/accompagnamento degli attori sono state: l’identificazione del bisogno, il lavoro su progetto, il posizionamento sul territorio, la ricerca documentata, il ruolo degli abitanti, i questionari, il metodo di intrattenimento, la trascrizione, la restituzione, la valorizzazione, l’archiviazione.

Quali strumenti avete previsto par la raccolta di queste memorie intangibili?
Da un lato, la formazione dei “collettori” della memoria: 20 giornate di formazione dal 2004, che hanno riunito una trentina di partecipanti, con un doppio obiettivo: il primo di tipo tecnico, ovvero la metodologia del progetto memoria e la sua messa in opera (in particolare, la raccolta, la trascrizione e la valorizzazione); il secondo implicito: quello dell’interazione.
Molti progetti comuni sono nati in questo spazio di scambio e formazione. La vera ricchezza è stata proprio nella varietà  dei partecipanti; da spazio di formazione siamo presto arrivati a spazio di costruzione comune. La memoria ha forse anche delle virtù federative”¦ La cultura del lavoro in rete esisteva già  prima di Terrains Cultivés, in particolare con gli attori socio culturali e artistici iscritti nel ramo culturale del contratto cittadino. Ciò che è stato insolito è la partecipazione di nuovi attori, molto consapevoli, accanto agli attori già  coinvolti nella vita politica della città .
Io mi occupo di coordinarlo nei tempi con l’aiuto di uno studio specializzato in progetti di memoria e territorio: Territori, Identità  e Sviluppi di Roubaix, diretto da Pierre Wolkowinski.

Quali professionalità  si sono andate creando intorno al modo di conservare e trasmettere le memorie collettive?
Nuove professioni come quella del mediatore della memoria vivente, che lavora all’interno dei servizi di archiviazione. La sua missione è la costruzione della memoria orale sulla base di interviste con i testimoni, intorno ad un tema legato al territorio ed alle sue attività . Ad esempio la memoria operaia del tessile, attività  oggi completamente scomparsa, ma per la quale alcuni operai sono ancora testimoni viventi. Prima della loro scomparsa conserviamo la loro memoria orale trascritta e consultabile grazie ai nuovi mezzi di registrazione e archiviazione. Altre professioni utilizzano la memoria come strumento per migliorare la qualità della vita: animatori per la terza età, persone che vivono in case di riposo; in questo caso sono spesso i racconti di vita che permettono di mantenere queste persone in un certo spazio sociale. La memoria trova anche il suo posto nei grandi programmi di rinnovamento urbano, consentendo di partecipare ad un processo di “lutto” legato alla trasformazione dei territori. Infine il mondo delle arti, dove la memoria costituisce uno dei vettori più forti e sensibili legati alla valorizzazione. Ma attenzione: non siamo fabbricanti di commemorazioni, non organizziamo delle odi al passato ma siamo piuttosto legati ad una memoria sociale al servizio del presente e del futuro. Non è questione di rendere folkloristica la memoria, non è questo il nostro scopo!

Quali sono gli eventi ed i prodotti più importanti creati intorno al progetto?
Uno degli elementi forti è la costituzione di una rete di attori provenienti da diversi ambienti. Si tratta di un valore fondamentale per il territorio. Viene poi il tempo della valorizzazione, attraverso conferenze, libri, spettacoli dal vivo, mostre fotografiche… insomma, tutti i campi artistici sono coinvolti. Ciò che è più importante, forse, è il modo in cui queste memorie vengono restituite ai portatori di memoria, ai testimoni stessi. Questo lavoro di riconoscimento costituisce il valore aggiunto di questo progetto. Non si “ruba” la memoria ad un testimone, quando questo si racconta, la sua storia ha effetti anche sugli altri. Ecco allora l’importanza sia del contenuto ma anche del modo in cui viene veicolato.
Per quanto riguarda gli eventi, gli incontri nazionali “Sfide della memoria e costruzione dei territori di domani” svoltisi a Montbéliard lo scorso novembre, sono serviti da un lato per far conoscere il progetto, ma anche per analizzarne lo sviluppo e soprattutto prevedere per il progetto un futuro di ricerca più ampio.

Quali sono i problemi riscontrati in questi anni e quali i metodi per affrontarli?
Il primo problema è quello legato alla folklorizzazione della memoria. C’è voluto tempo e spiegazioni per superare questa banalizzazione. Come spiegare ad un amministratore locale che l’utilizzo della memoria vivente può accompagnare lo sviluppo del territorio sul piano economico, sociale, culturale e turistico? Anche in questo il lavoro dei ricercatori è stato determinante. Consentono di legittimare questo approccio grazie all’aiuto di esperti etnologi, sociologi ma anche urbanisti ed artisti… il tempo della valutazione è il momento ideale per rendere conto pubblicamente e dare spiegazioni su alcuni punti che potrebbero essere poco chiari.

Quali sono le prospettive per il futuro soprattutto a livello europeo e quelli gli effetti positivi sul territorio?
A livello locale la comunità di agglomerazione del comune di Montbéliard ha creato una struttura, la “Casa dei mestieri della città”, legata all’università, cosa che consentirà già nel 2007 di proseguire nel sostegno alle azioni della memoria e di sviluppare dei progetti di formazione e di ricerca. E’ in questo quadro che prevedo delle cooperazioni a livello europeo. Molti paesi sono già coinvolti in questo tipo di approccio del territorio, potremmo quindi condividere le nostre esperienze intorno all’idea che l’uso della memoria può accompagnare il mutamento dei territori.

E quali gli effetti positivi sulla valorizzazione del territorio?
Per dei territori in mutamento che escono dall’era industriale è molto importante fare un lavoro di diagnostica, attraverso lo studio delle tracce lasciate nella memoria del passato industriale, facendole passare da memoria e patrimonio e storia. Quindi di permettere al territorio di vedersi in modo diverso, di mettersi in prospettiva elaborando e superando il lutto per il glorioso passato. Il secondo, è la conoscenza di una dinamica collettiva al servizio di un territorio che lega delle famiglie di attori che non hanno l’abitudine di lavorare insieme. Infine possiamo dire che la memoria permette di costruire delle politiche diverse sia sul piano culturale che economico.
Un esempio su tutti, quello del Capodanno dei Bulloni. Questa manifestazione si svolge nella notte del 31 dicembre nelle strade della città ed è stata immaginata sulla base della memoria dell’industria automobilistica del territorio. La popolazione si è riconosciuta in questa festa: bulloni, ferro, fuoco, macchine folli che accompagnano il passaggio al nuovo anno. Questa forma di appropriazione è determinante per fare degli abitanti i primi ambasciatori del territorio. Non stiamo parlando di rendere competitivi dei territori in perdita, ma di creare una seduttività grazie agli abitanti stessi, i veri intenditori della loro terra.

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