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I videogiochi costituiscono ormai una presenza quotidiana che incide non solo sull’occupazione del tempo libero, ma anche sulla socializzazione di un pubblico sempre più maturo, che ormai da tempo non è più composto da soli adolescenti.
Questa tendenza emerge con forza nei Massive Multiplayer Online Role Playing Game (MMORPG): ambienti in tre dimensioni all’interno dei quali i giocatori diventano parte di un mondo sintetico, tipicamente di ispirazione fantasy, in cui migliaia di persone connesse con i loro computer da tutto il mondo interagiscono quotidianamente attraverso i loro avatar per condividere esperienze straordinariamente ricche, che non si limitano solamente all’aspetto ludico.
Relazioni sociali, interazioni, comportamenti collettivi che sorgono spontaneamente tra i giocatori, ma che non sono previsti dagli sviluppatori, sono al centro delle dinamiche di questo tipo di videogiochi. L’enorme successo di pubblico che i MMORPG hanno riscosso negli ultimi anni (basti pensare ai quasi nove milioni di utenti di World of Warcraft, il titolo più giocato), ha attirato l’attenzione di numerosi accademici, decisi a indagare gli aspetti sociali, culturali ed economici di questi mondi.
Uno dei ricercatori più attivi nello studio sociale dei MMORPG è Nick Yee, dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Comunicazione dell’Università di Stanford.
Negli ultimi sei anni egli ha realizzato ricerche prevalentemente di tipo quantitativo, consultabili sul sito del progetto Deadalus, coinvolgendo oltre quarantamila giocatori di MMORPG. Attraverso l’utilizzo di questionari online basati su domande a risposte multiple, Yee ha raccolto dati demografici dei giocatori, informazioni sulle loro motivazioni e sulle influenze che queste esperienze online hanno sulle loro vite.
La sua ricerca, continuamente arricchita da nuove survey, ha dimostrato come questo tipo di videogame abbia una capacità attrattiva trasversale, sia per quanto riguarda l’età , sia per il genere (anche se i giocatori di sesso maschile rappresentano ben l’85% dei partecipanti). Studenti universitari, giovani lavoratori, casalinghe di mezz’età e persino pensionati interagiscono negli stessi ambienti di gioco e, sebbene li utilizzino per scopi e con motivazioni differenti, per molti le esperienze avute all’interno di questi mondi risultano significative ed importanti in termini sociali e di coinvolgimento emotivo.
Un approccio metodologico diverso è stato seguito da T.L. Taylor. Professore Associato presso il Center for Computer Games Research della IT University of Copenhagen, Taylor ha realizzato uno studio frutto di oltre sei anni di ricerca qualitativa, sin da quando, nel 1999, cominciò a giocare a Everquest, da molti considerato il primo titolo a garantire una dimensione davvero di massa nel mercato occidentale a questo genere di videogame.
Nel corso degli anni, la ricercatrice si è immersa in questo ambiente attraverso un metodo etnografico, utilizzando osservazione partecipante e interviste in profondità per capire la ricchezza della cultura che si sviluppa in spazi sintetici come Everquest. Uno degli obiettivi di Taylor è stato quello di dimostrare come questi ambienti siano interconnessi con sistemi di valori, forme di identità e reti sociali che si possono incontrare normalmente al di fuori del gioco.
Esistono fenomeni che sono unici in entrambi gli ambiti, e fenomeni che invece si sovrappongono. Secondo la ricercatrice quello che succede in questi spazi è spesso reale, poiché i partecipanti, dotandolo di significati, lo rendono tale. Questi sono solo due esempi di come nelle comunità accademiche internazionali lo studio di questo fenomeno, nei suoi aspetti sociali e culturali, sia più che mai vivo e proficuo. Un fenomeno sociale e globale che difficilmente può continuare ad essere considerato soltanto un semplice gioco.
Il Sito di Deadalus