Anonimo e diffuso, familiare e originale, il design ci circonda costruendo e trasformando il nostro paesaggio del quotidiano e costituendosi come nostra seconda natura, in qualche modo intangibile, ma altrettanto impattante sui consumi e in grado di esprimere un potenziale interminabile per la trasformazione dell’habitat in cui viviamo.
Muovendosi dai significati diretti espressi dalla relazione di forma e funzione, gli oggetti del quotidiano, in questo senso, possono raccontarci di nuovi significati in relazione ai contesti d’uso, trasformando luoghi comuni e nozioni condivise di abitare.
La nostra stessa conoscenza del mondo è mediata dall’uso di oggetti, che incorporano nella loro artificialità relazioni sociali, significati comunicativi, valori. Il design in questo senso ha il compito di oggettivarne le trame creando forme ed estetiche in cui riconoscerci nello sguardo quotidiano.
Da qui l’interesse di una giovane generazione del design alle ritualità e alle gestualità minime che ci circondano e con le quali ci relazioniamo con il mondo circostante. Un popolo minore di piccoli oggetti che non vediamo perché nascosti nella loro ordinaria semplicità , ma che costituiscono il nostro paesaggio fisico materiale e l’immaginario collettivo incorporeo: l’intelligenza del quotidiano è un sapere spesso non codificato di cui bisogna avere attenzione per comprenderne i significati nascosti e complessi.
Si avverte qui la revisione del ruolo sociale del progettista e del progetto tout court come fenomeno sociale diffuso e cifra della contemporaneità , laddove il paradigma dell’industria e della serialità non riesce più a contenere la complessità e la pluralità dei fenomeni connessi. Nuovi ruoli tutti da reinventare, tra materiale e immateriale, interazione e comunicazione, servizio e prodotto, esperienza e visione di scenario, locale e globale.
Il design esce dall’industria e dall’idea paradigmatica di progetto moderno per affermare diffusamente la sua presenza in ogni manifestazione estetica e sociale. Muta lo stesso ruolo della tecnologia: non più esposta come un valore di per sé con una sua estetica che incute timore, la ritroviamo nascosta negli oggetti del quotidiano con cui intrattenere dimestichezza confidenziale. La tecnologia cioè assume un valore per il suo significato relazionale e il design cerca di operare sull’esperienza intrattenuta in quella zona liminale di interfaccia tra soggetto ed oggetto per esplorarne le modalità di dialogo.
Con le parole di De Certau: “ad una produzione razionalizzata, espansionista e al tempo stesso centralizzata, chiassosa e spettacolare, ne corrisponde un’altra, definita “consumo”: un’attività astuta, dispersa, che però s’insinua ovunque, silenziosa e quasi invisibile, poiché non si segnala con prodotti propri, ma attraverso modi di usare quelli imposti da un ordine economico dominante.” (M. De Certau, 1990)
Nello sguardo sul quotidiano, il design si fa allora interprete di gesti e comportamenti imprevedibili con alto valore progettuale, che eludono i vincoli imposti dalle strutture formali, ma altrettanto dotati di un’alta capacità creativa nascosta che si manifesta nell’uso ordinario, individuando le possibili evoluzioni degli oggetti d’uso quotidiano con nuove idee in grado di caricare di nuovo senso i gesti comuni di ogni giorno. Osservazione etnografica, comportamento, consumo, progetto e produzione quasi si confondono rivelando atteggiamento ludico, casualità , impredicibilità , ricerca, gesto avanguardistico depurato però dall’ideologismo dei movimenti storici, piuttosto inglobando pluralismo eclettico e complessità dei linguaggi contemporanei, e muovendosi tra provocazione situazionista e dialettica contaminante per riflettere criticamente sulla tradizione storicizzata del progetto industriale.
Oggetti che raccontano storie attraverso e al di là dell’uso, mostrando spesso il processo di cui sono il risultato, un processo mai lineare ma fatto di continui rimandi e citazioni.