Attraversare un territorio, viverlo e farlo proprio è un’esperienza che trasforma il ruolo tradizionale dello spettatore-testimone verso una sua radicale partecipazione umana e personale. Il modo di guardare a se stessi viene in questo caso modificato. Questa probabilmente è l’esperienza che più ha segnato i partecipanti al workshop tenuto da Mario Rizzi nella città di Prato durante Networking 2007. L’essere testimoni e partecipi di una determinata realtà sociale costringe a rileggere questa realtà e se stessi con occhi nuovi.
Dopo una rapida presentazione che ha permesso ai partecipanti di presentare il proprio lavoro e percorso, durante il primo incontro del workshop è stato dato ampio spazio a un confronto di idee, cercando di individuare gli interessi del gruppo e i temi sui quali lavorare. Il tema del laboratorio era uno dei sette luoghi contemporanei del conflitto alla base dell’intero percorso di Networking 2007, ossia l’idea di “identità ” come luogo in costruzione al centro di rappresentazioni e processi spesso divergenti e contrapposti. Luoghi differenti appunto, da indagare, sondare e costruire. Luoghi che da subito sono diventati il focus della discussione iniziale. Come comprendere l’identità della città di Prato? E’ questa narrabile da un’unica grande forma onnicomprensiva? Oppure questa identità è fatta di una somma molteplice di differenze? La ricerca, iniziata da questa discussione, si è subito trasferita nella città : corpo a corpo con i suoi abitanti, le contraddizioni, i conflitti.
Il lavoro si è così spostato dallo spazio deputato alla manifestazione, a strade, negozi, fabbriche e abitazioni. Sono emersi in tutta la loro forza semantica i luoghi del commercio all’ingrosso di abbigliamento: i cosiddetti ”˜pronto moda cinesi’. Il quartiere industriale e commerciale della città è divenuto in pochi anni un importante centro a livello europeo di vendita di capi di abbigliamento a grossisti, soprattutto a venditori di mercati. I capi di abbigliamento, prevalentemente prodotti a Prato da operai con passaporto cinese, raccontano bene la prosecuzione del viaggio iniziato in Cina attraverso modelli perfettamente ”˜integrati’ con l’ultima moda europea, ma spesso con taglie piccole che rivelano probabilmente i corpi su cui sono stati tagliati. Da questa prima identità contraddittoria è nata Confezione-identità , l’opera defilè presentata all’inaugurazione del workshop con una sfilata degli abiti avuti in prestito dai pronto moda, presentati da un ventenne cinese della città con una scenografia video che raccontava il percorso fatto dai partecipanti per cercare gli abiti.
Da un percorso parallelo è scaturita anche l’opera Vuoi diventare cinese? Ecco come, centrata sull’immagine che gli adolescenti cinesi della città cercano di dare di se stessi all’esterno. Questo lavoro è consistito in una raccolta di interviste e di materiale iconografico (poster, riviste, giornali) realizzato dai partecipanti per le strade della città . L’opera si è compiuta con la presentazione di un decalogo per diventare cinese (un decalogo ”˜per lui’ e uno ”˜per lei’) scritto sulle indicazioni degli intervistati, che comprende il modo di abbigliarsi, comportarsi, intrattenere rapporti sociali e truccarsi. Gli effetti di tale decalogo si sono resi visibili nella prova che gli autori dell’opera hanno sperimentato su se stessi durante l’opening.
Di identità in costruzione ed in bilico tra diverse origini ha parlato anche il lavoro Kertenkele: una confessione intima, un dialogo tra tre ragazze, una turca, un’italiana e un’altra di origini austriache. Le tre autrici si sono trovate intorno al tavolo da pranzo di una di loro e si sono confrontate su tutto ciò di cui delle giovani donne possono parlare: il sesso, la famiglia, il futuro, la politica… L’obiettivo da presa delle autrici per questa volta si è rovesciato e si è girato verso gli aspetti più intimi e personali di loro stesse, ma non per farne un racconto personale e una celebrazione del proprio ego quanto piuttosto per registrare sulla propria pelle fratture sistemiche e quella sottesa somiglianza che l’altro porta sempre con sé.
L’ultimo lavoro prodotto, dai quattro sottogruppi operativi del workshop, è stato La casa del Burilli. L’identità della città è stata questa volta declinata nella storia umana e professionale di un pittore ottantenne che ha legato tutta la sua vicenda personale alla città di Prato. I partecipanti si sono recati presso lo studio del pittore e gli hanno chiesto di poter curare una sua mostra all’interno dell’esposizione finale. L’incontro-scambio si è poi concretizzato con una audio intervista, il racconto fotografico del percorso ed il ritratto che il pittore ha voluto realizzare di una partecipante al workshop. Un modo per i giovani artisti per vedersi con occhi differenti e vedere la città ed il proprio lavoro come un tutt’uno indissolubilmente legato.