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Riemerse dalle macerie, nella drammatica realtà del 1945, le città italiane manifestano con dolorosa evidenza la tragedia che il Paese ha vissuto e i problemi che a esso si pongono; ovviamente il più impellente e dibattuto è il problema “casa”.
Per questo motivo Frascati si è dimostrata un “naturale” oggetto di studio, in particolare per l’Ateneo di Roma Tor Vergata, con il Dipartimento di Ingegneria Civile.
La cittadina dei Castelli Romani, tema di ricerca di dottorato dell’autore dell’articolo su “L’edilizia residenziale pubblica della ricostruzione a Frascati”, costituisce un caso emblematico per la misura delle distruzioni prodotte dai bombardamenti dell’aviazione alleata durante il secondo conflitto mondiale: alla fine della guerra l’Ufficio Tecnico conta 1580 alloggi (il 50% delle abitazioni) completamente distrutti e l’importo totale dei danni subiti dal patrimonio immobiliare viene calcolato in circa 4 miliardi e 400 milioni di lire dell’epoca. Gli anni compresi tra il 1945 e il 1948 sono anni di transizione, nei quali le dolorose esperienze del lungo conflitto sono ancora vive, ma soprattutto è viva la speranza di un profondo rinnovamento e di un’autentica partecipazione alla ricostruzione intese come un dovere civile. Si privilegia su tutto il diritto alla casa – o alla terra – come bene supremo da garantire e da tutelare. Nell’immediato dopoguerra – a partire dal 1946 – sono l’Unrra Casas ed il Genio Civile ad attuare i primi interventi a favore dei senza tetto di Frascati, che ammontano a quasi il 90% della popolazione.
l’Unrra Casas costruisce un primo piccolo complesso di otto case isolate a due piani nell’area sotto Fontana Vecchia – a sud dell’ospedale S. Sebastiano, tra le aree delle storiche Ville Sora e Belpoggio – e un successivo insediamento nella zona di Cocciano; il Genio Civile realizza una serie di edifici sempre su via di Fontana Vecchia, nel tratto oggi denominato via S. Giovanni Bosco. Il Piano di ricostruzione della Città , approvato con decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 31 ottobre 1945, inizialmente riguarda soltanto il centro storico; l’espansione edilizia su nuove aree si pianifica con le successive varianti: il concetto base è di ricostruire il tracciato urbano preesistente nel centro della città e di creare nuovi quartieri periferici dislocati nelle possibili direzioni di sviluppo edilizio.
La ricostruzione viene affidata in concessione all’Ente Nazionale Appalti Concessioni Opere Pubbliche (ENACOP), ordinando all’Ente stesso la compilazione dei progetti di vari lotti, quali, ad esempio, quelli realizzati nella zona dell’Armetta e su via S. Giovanni Bosco. Frascati è stata, inoltre, teatro della sperimentazione di una delle più importanti e diffuse esperienze italiane di realizzazione di edilizia sociale, ovvero del cosiddetto piano Ina Casa.
Dopo gli anni di intenso dibattito architettonico successivi alla fine del conflitto, nel 1949 il senatore Fanfani elabora il Piano per l’incremento dell’occupazione operaia con l’obiettivo di risolvere una parte dei problemi occupazionali e abitativi dei ceti sociali più deboli. Per la gestione del piano viene istituita l’INA Casa che realizza dal 1949 al 1963 – coinvolgendo un alto numero di architetti e urbanisti – diversi quartieri, nuclei e case praticamente in ogni provincia italiana. Casi certamente minuti e meno noti sono i due interventi realizzati nella città di Frascati, che potremmo definire minori rispetto alle più famose e importanti realizzazioni romane, ma sono comunque degni di attenzione: tra i progettisti del piccolo quartiere Ina Casa di via Fausto Cecconi si annoverano figure di spicco dell’architettura romana di quegli anni quali Clemente Busiri Vici, Roberto Nicolini e Cesare Pascoletti; ancora due esponenti di un certo rilievo della scena architettonica capitolina, Giulio Roisecco e Angelo Di Castro, redigono rispettivamente il progetto urbanistico e il progetto architettonico del quartiere INA Casa di Cocciano II.
Tutti questi interventi hanno contribuito in misura notevole a determinare l’immagine urbana di Frascati così come ancora oggi ci appare, con apporti che – pur nelle ridotte dimensioni e nell’economia delle tecnologie adottate – rivelano una cura progettuale, un’attenzione alla relazione con l’ambiente e una finezza esecutiva non sempre riscontrabili nell’edilizia residenziale successiva.
Dai quartieri INA Casa, infatti, si passa all’espansione, dagli anni Sessanta in poi, con le sue diverse forme di edilizia speculativa, sovvenzionata e anche abusiva; ma questa è praticamente cronaca ed esula dall’argomento delle nostre considerazioni.
Nota: Articolo pubblicato in Vivavoce – Rivista d’area dei Castelli Romani