La rete è stato il primo strumento di gestione museale consortile – per utilizzare un termine generico diffuso negli anni Settanta – oggetto di teorizzazione e di definizione, almeno nel nostro territorio. L’idea che i musei italiani possano connettersi in rete risale, in particolare, al dibattito che si sviluppò negli anni Settanta e più diffusamente negli anni Ottanta in ambito strettamente culturale in seguito a riflessioni sulle caratteristiche del patrimonio storico-artistico italiano e sullo stato di abbandono in cui versavano molti dei piccoli musei locali, essenzialmente a causa delle scarse risorse che gli enti pubblici potevano destinare alla loro amministrazione e valorizzazione.
La proposta di dare vita a collaborazioni tra musei consentiva, infatti, di connettere tra loro i singoli e frazionati patrimoni museali contribuendo alla loro valorizzazione e a quella dell’intero territorio e, al tempo stesso, di garantire lo svolgimento delle attività di conservazione e valorizzazione attraverso la ripartizione di costi fissi e il raggiungimento di economie di scala. In seguito al dibattito, alle riflessioni e allo studio, anche delle esperienze internazionali già avviate, si diffuse, in alcune aree del territorio, la sperimentazione di differenti forme di gestione consortile tra le quali certamente la rete rappresenta lo stadio più rudimentale. In effetti, procedendo con una ricognizione sistematica sul territorio italiano delle forme di collaborazione tra musei, emergono due elementi di grande interesse: la varietà delle possibilità riscontrate e la difficoltà di interpretare in modo univoco il concetto stesso di “rete” e la sua declinazione in “sistema”, “distretto”, “sistema culturale integrato”.
La complessità rilevata a livello puramente teorico ha trovato un’eco profonda nel campo della applicazione pratica delle collaborazioni tra musei sul territorio; in molte regioni, infatti, si assiste alla proliferazione di reti, sistemi, parchi culturali, percorsi culturali, ecomusei, distretti, che spesso non vanno oltre la scelta di condividere strumenti promozionali come, ad esempio, quello di una card museale o di individuare itinerari alternativi a quelli tradizionali. La gestione consortile dovrebbe implicare, infatti, uno sforzo ulteriore da parte dei singoli musei nel definire piani anche pluriennali di attività culturali da svolgere in comune, nel perseguire politiche culturali condivise, in breve, nell’aver individuato forme di collaborazione che interessino totalmente o parzialmente le attività di conservazione e valorizzazione dei singoli patrimoni.
Considerate le molteplici forme esistenti nonché le loro distinzioni interne, la definizione di “rete” o di “network” più convincente è quella proposta da Montella il quale parla di “collaborazione stabile fra organizzazioni autonome”, dove ogni termine assume un significato complesso nell’individuare la condivisione non occasionale ma continuativa di attività fra organizzazioni indipendenti. In tale ottica la questione tassonomica diventa del tutto marginale a vantaggio di una interpretazione sostanziale che privilegi i rapporti tra le organizzazioni. In effetti, poca importanza riveste il fatto che le collaborazioni assumano la denominazione di rete, sistema o distretto, al contrario sarebbe opportuno che i legami e le attività condivise avessero un carattere gestionale e lo scopo principale fosse quello di consentire ai musei di raggiungere quegli obiettivi che rappresenterebbero traguardi troppo ardui e, soprattutto, finanziariamente impossibili, per le singole organizzazioni.

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