Già negli ultimi anni, la prospettiva di marketing è diventata più umana. Un approccio inizialmente improntato alla persuasione che si è lentamente evoluto nel concetto di seduzione e che – infine – ha raggiunto l’idea di relazione. Se da un lato c’è interesse a costruire relazioni, dall’altro c’è una forte attenzione che riguarda il rapporto tra i consumatori. Per esempio, nel migliore caso possibile, il cliente può instaurare con la marca un ottimo rapporto basato sulla fiducia e sul rispetto, fino a diventare un fedele amante del prodotto (e per traslato anche dell’azienda). Il consumatore si trasforma da semplice cliente a evangelista della marca, il cui scopo è quello di illustrare ad amici e conoscenti le meraviglie del prodotto. È facile incontrare, per esempio, utenti Macintosh tanto soddisfatti del mondo Apple da diventare evangelisti dell’azienda; molte “conversioni” da Pc a Mac nascono proprio grazie a un amico appassionato. Se questo è uno degli esempi più di spicco del panorama, non significa che per creare effetti positivi a livello di marca, sia necessario avere degli evangelisti. Indipendentemente dalla passione, ogni cliente (potenziale ed effettivo) fa parte di una rete di relazioni; l’individuo è integrato in una maglia sociale complessa e viene a contatto quotidianamente con molte altre persone. La consapevolezza di una rete sociale, permette all’azienda di non sottovalutare il singolo consumatore: non è più una goccia d’acqua in un oceano di numeri, ma un soggetto che può attivare conoscenze in caso di necessità.
Si tratta di un’arma a doppia faccia per l’azienda; in caso di esperienza positiva si creano le stesse dinamiche di evangelizzazione, ma in caso di esperienza negativa i danni di immagine possono essere amplificati.

Queste dinamiche di “passaparola” – da sempre esistiti fin dalle comunità più ristrette – hanno oggi un’eco straordinaria grazie all’internet e ai servizi web che mettono in relazione le persone. Per esempio, social network come MySpace o Facebook sono luoghi ideali per stringere nuove relazioni: ogni utente ha un profilo personale e una lista di amici a cui è collegato e con cui può comunicare. E proprio i social network sono l’applicazione web che più attira l’attenzione dei pubblicitari. Le informazioni personali dei profili sono – infatti – dati preziosi per il marketing che assume così un approccio comportamentale (behavioral marketing), proponendo inserzioni pubblicitarie modellate non su una profilazione socio-culturale del target di riferimento, ma sulla complessa personalità del singolo utente registrato.
Secondo i dati diffusi a febbraio 2008 da Google, però, questo modello non è sufficiente per conquistare i potenziale cliente.
Come si è detto, è importante instaurare – mantenere – una relazione con il cliente e capire anche le relazioni che tesse l’individuo nel quotidiano. Hugh McLeod indica con l’espressione social object tutto ciò che crea conversazione: può essere un film come “The Matrix” oppure un prodotto come l’iPhone di Apple; in generale, ogni lovemark è sempre un social object. Da un punto di vista del marketing, ogni azienda dovrebbe puntare a creare social object, al fine di generare il più possibile conversazioni; un social
object vive di e nelle relazioni.
Anche i prodotti fisici possono essere quindi social object, attori sociali con un ruolo all’interno della comunità. Gli oggetti sono infatti portatori di senso che rafforzano la nostra identità. Per questa ragione gl oggetti con cui scegliamo di circondarci assumono diversi livelli di scopo. Il primo livello è quello che chiamiamo valore d’uso e cioè la funzionalità propria di un oggetto, l’uso principale a cui è destinato.
Questa prima fase di analisi prende in considerazione l’oggetto in sé e per sé. Il secondo livello racchiude due sfere: quella cognitiva e quella affettiva. Il valore cognitivo rappresenta le informazioni veicolate e lo sforzo cognitivo richiesto per rielaborarle; ovviamente cambia a seconda della complessità dell’oggetto con cui interagiamo. Il valore affettivo comprende, invece, i sentimenti e i ricordi congiunti a un oggetto. In entrambi i casi, protagonista è il rapporto di interscambio con l’individuo. Il legame che si crea è dovuto al fatto che l’uomo tende facilmente a rispecchiarsi in ciò che incontra e ad antropomorfizzare anche ciò che non è umano. Il terzo e ultimo livello riguarda l’interazione con l’ambiente socio-culturale. Parlare del valore sociale di un oggetto significa identificare il ruolo che ricopre all’interno della società e delle comunità. In questa fase è utile quindi l’inserimento in un contesto e l’interpretazione della rete di relazioni, per cui l’oggetto diventa a tutti gli effetti un attore sociale. Alla luce di questo, non ha più solo una realtà materiale ma anche una, non meno importante, dimensione immateriale.
L’aspetto immateriale comprende sia i valori psicologici che quelli sociali, ma in che modo questi vengono veicolati? È la stessa interfaccia progettuale del design che permette il dialogo e il feedback, ma non solo. Dal punto di vista del marketing, anche la comunicazione e le scelte che coinvolgono il prodotto e la marca in generale fanno parte del complesso sistema che consolida emozioni e informazioni legate all’oggetto. Nonostante questi aspetti siano essenziali per i meccanismi di acquisto, il design resta comunque il principale canale di comunicazione diretta con l’utente; produce stimoli e suggerisce risposte cognitivo-affettive. A seconda delle reazioni che l’oggetto provoca, si possono individuare tre tipologie di design, così definite da Donald Norman: design viscerale, che fa appello all’istinto e alla bellezza ideale, design comportamentale, basato su usabilità e funzionalità, design riflessivo, che crea un legame a lungo
termine basato su un messaggio di prestigio. La progettazione di un oggetto deve, di conseguenza, tenere conto dei diversi livelli di attivazione emotiva oltre al semplice, ma importante, fattore funzionale.
L’antropologo Lionel Tiger declina il modello four pleasures, adatto a molti prodotti di consumo come l’iPod – e ancora di più l’iPhone – di Apple. L’estetica e le associazioni che vengono attivate dall’oggetto possono essere classificate in quattro tipologie di piacere. Il physio-pleasure, fisio-piacere, è quello che deriva dai sensi e dal rapporto fisico con l’oggetto, come la piacevolezza della forma e del contatto con iPhone; lo psycho-pleasure, psico-piacere che riguarda la soddisfazione psicologica di un compito portato rapidamente a buon fine, come l’interfaccia software e la semplicità di utilizzo; il socio-pleasure, socio-piacere, che appartiene alla sfera di interazione e di identità sociale, proprio come gli auricolari bianchi Apple facilmente riconoscibili; in ultimo troviamo l’ideo-pleasure, ideo-piacere, che identifica la più astratta forma di piacere che soddisfa l’utente su un livello di ideali e di impegno morale.
Nell’interpretazione di Norman, il piacere di un oggetto è strettamente legato alla natura del design, per cui i piaceri derivanti dai sensi sono stimolati dal design viscerale, ma anche in parte da quello comportamentale; quest’ultimo è anche la ragione principale di un piacere psicologico. Il piacere sociale è invece legato sia all’aspetto riflessivo del design sia a quello comportamentale in quanto costruiscono intorno all’oggetto una identità sociale. L’ultimo tipo di piacere, quello ideale, risiede nell’aspetto del design più astratto, quello riflessivo; la motivazione è che, maggiore è l’astrazione, maggiore può essere l’immedesimazione nell’oggetto. È l’icona il livello più alto di astrazione, ma se non viene curata diviene un segno freddo incapace di comunicare. Solo attraverso una progettazione dell’oggetto completa – che coinvolga almeno quattro dei cinque sensi – si aprono le porte a un nuovo tipo di marketing che non si affida più ai messaggi pubblicitari, ma che tende a creare relazioni attraverso oggetti ed emozioni.

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Nota: La versione integrale di questo articolo è pubblicata in www.ticonzero.info