digitalizzazioneIl tanto dibattuto “modello Italia”, fulcro essenziale delle strategie di gestione dello Stato e l’impegno di quest’ultimo ad invadere anche la sfera di proprietà privata dei beni culturali in materia di tutela, ha acceso, nel corso degli anni, numerosi quesiti circa l’inadeguatezza di un sistema ribattezzato “all’italiana”. Si è puntato il dito contro l’invadenza del controllo pubblico in funzione del superiore interesse di tutti i cittadini, sottolineando la funzione sociale e civile dei beni in questione: in questo senso si è diffuso un certo malumore circa una cultura della conservazione che troppo spesso ne sacrifica in parte la valorizzazione in termini economici a beneficio della salvaguardia integra del patrimonio. Se si analizza più da vicino la questione, il patrimonio “latente” rappresenta una ricchezza che in Italia ancora viene vista in un’ottica passiva e quindi non redditizia. E’ il caso dei depositi di grandi musei: sono davvero delle potenziali “riserve auree” da sfruttare in maniera adeguata? E soprattutto esistono le condizioni in Italia per fare tale salto di qualità? Dall’estero spuntano nuovi modelli in cui il visitatore riveste un ruolo cardine nell’attività espositiva del museo: la cultura “on demand” sta prendendo piede nel nord Europa (il museo Pontus Hulten a Stoccolma o la biblioteca “Idea Store” in Inghilterra), mostrando un maggiore orientamento al mercato e alle esigenze che esso manifesta. Sicuramente frutto di una struttura di gestione più flessibile di quella italiana, in cui i privati hanno più spazio a disposizione per intervenire, la cultura self service è rappresentativa di una nuova dimensione della valorizzazione in termini di sfruttamento delle ricchezza di un paese per un ritorno economico dei beni esposti. Qui risiede il forte elemento di criticità del contesto italiano, una rigidità che si risolve in soluzioni temporanee, in cui si annoverano esempi di turnazione delle opere per dare spazio anche a quelle non esposte (per citarne due esemplari, MART e galleria Borghese): da un lato tamponano il problema degli spazi espositivi limitati, dall’altro rinfrescano i non floridi bilanci museali, contribuendo in parte a dare visibilità anche al patrimonio latente.
Eppure anche la dimensione della virtualità rappresenta una risorsa importante per far trasmettere cultura e far comprendere meglio la natura e il valore del nostro ricco patrimonio; e perché no, rendere attivo ciò che giace nei depositi, coniugando sia l’esigenza comunicativa di interfacciarsi con l’utente sia quella di tipo educativo, frutto del ruolo di istituzione culturale. Orientati in questa direzione troviamo una serie di progetti di catalogazione digitale delle opere, sia a livello europeo che nazionale. Tra i primi è d’obbligo citare il progetto MINERVA, giunto ormai alla sua fase conclusiva, nato nell’ambito del Piano di azione e-Europe con l’obiettivo di costituire una rete di Ministeri della Cultura degli Stati Membri dell’Unione Europea avente lo scopo di discutere, comparare e armonizzare le attività sviluppate nel settore della digitalizzazione del patrimonio culturale europeo. A livello nazionale vi è l’ambizioso ARTPAST, promosso dal Mibac per raggiungere l’intento di realizzare piattaforme digitali attraverso avanzati strumenti informatici che rendano i dati condivisi e accessibili non solo agli studiosi e agli addetti della Pubblica Amministrazione, ma anche ad un pubblico più esteso. Nello specifico il primo obiettivo di ARTPAST (Catalogazione) consiste nella digitalizzazione delle schede e delle foto del patrimonio storico-artistico e nel conseguente popolamento del Sistema Informativo Generale del Catalogo (SIGeC). Il Polo Fiorentino, in cui nei soli depositi degli Uffizi si ammassano quasi 3000 opere, ha accolto da qualche anno entrambi i progetti, qualificando l’operazione per la sua funzionalità di acquisire il maggior numero di informazioni sulle opere in possesso: è già stata avviata una efficace azione di messa in rete delle opere esposte (5 progetti sono al momento attivi come servizi on line per consentire la ricerca sulle opere d’arte), completa anche di un archivio fotografico e storico (in fase di attivazione). Resta aperta la questione dei depositi, che, forse, anche una strategica campagna di prestiti e movimenti di opere potrebbe rivitalizzare (solo 261 per l’anno 2006). Sicuramente la tecnologia rappresenta la nuova frontiera verso una reale valorizzazione dei beni e un effettivo sviluppo dei territori; utilizzarla significa inoltre vincere la difficile battaglia di scetticismo a cui essa è associata se applicata al nostro ricco patrimonio culturale.

Riferimenti:
F. Antinucci, Musei Virtuali, Editori Laterza, 2007
A. Masoero, Nuova galleria on demand, Sole24Ore, domenica 1 giugno 2008
A. Cherchi, L’Azienda cultura chiede meno Stato e più concorrenza, in Sole24Ore, lunedì 25 febbraio 2008
www.minervaeurope.org
www.artpast.org
www.polomuseale.firenze.it
www.internetculturale.it