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Al contrario, non solo il pubblico era interessato a sentire la voce degli attori, ma a molto, molto di più…dal momento dell’introduzione del sonoro nel cinema il rapporto tra l’immagine e il sonoro ha subito innumerevoli trasformazioni e declinazioni. Nel corso degli anni si è assistito all’introduzione dei videoclip musicali (che seguono il processo inverso: sono immagini per una musica preesistente); alla videoarte che spesso ha utilizzato come “colonna sonora” capolavori della musica elettroacustica del Novecento (per esempio, Bill Viola con le opere del compositore francese Edgard Varèse); le pubblicità, che via via hanno fatto un uso sempre più sofisticato non solo di un accompagnamento sonoro ma anche di effetti sonori (quelli che rientrano nella disciplina cosiddetta del sound design); i videogiochi, che dall’iniziale e semplice jingle sono arrivati oggi ad avere vere e proprie soundtrack ad opera di grandi artisti (per esempio, il musicista brasiliano Amon Tobin che ha firmato le musiche per il videogame “Splinter Cell. Chaos Theory”, diventato poi un vero e proprio album a se stante).
Fondamentale in questo campo è stato “L’audiovisione”, testo del 1990 ad opera del critico e compositore francese Michel Chion. La successiva intensa opera di divulgazione di cui lo stesso Chion si è fatto promotore ha contribuito ad attirare l’attenzione sul complesso rapporto tra immagine e suono nel campo del multimediale. Si tratta infatti di un rapporto complesso e unico, che a torto si è ridotto per molto tempo all’equazione immagine= opera d’arte e suono= accompagnamento musicale, colonna sonora. Non esiste una “colonna sonora”, sostiene Chion, poiché l’utilizzo del suono legato all’immagine genera un prodotto nuovo, altrettanto unico: l’audiovisivo.
Così, il cinema non si vede, ma si “audiovede”. La presenza del sonoro cambia geneticamente l’essenza dell’immagine, dà vita ad una natura unica e nuova, che non corrisponde alla mera sovrapposizione dei due elementi: suono e immagine.
A partire dagli studi di Michel Chion l’attenzione verso il rapporto tra suono e immagine si è rivolta ad altri ambiti, ed è oggi uno dei più coinvolgenti e interessanti spunti di discussione sia per gli artisti che per il pubblico, per la creazione di un’opera multimediale così come per la sua fruizione.
Non solo cinema, dunque, ma anche performance multimediali, live set che comprendano Vjing e Djing, videogiochi e videoarte.
La serata conclusiva del Festival Futuro Presente si è prestata ad una riflessione proprio sul tema del rapporto suono immagine con le performance di Koan01 (video) con Ootchio (musica) e di Pfadfindereri (video) con KrsnSkate (Djset). Due performance di carattere molto diverso, l’una rivolta alla sperimentazione e alla ricerca, l’altra destinata al ballo, nel più classico dei Djset. Ma caratterizzate entrambe dal rapporto tra suono e immagine.
Nella musica su supporto di oggi questo rapporto costituisce un tema scottante. L’evoluzione della tecnologia consente infatti innumerevoli interrelazioni tra i due mezzi espressivi, e l’attenzione spesso rivolta al luogo della performance, l’interazione con lo spazio pubblico, con l’architettura, non fa che introdurre un altro mezzo espressivo (lo spazio esterno, appunto) in un rapporto già complesso. Il dibattito contemporaneo verte principalmente su due questioni: cosa distingue una performance audiovisiva da un concerto tradizionale? E ancora: quali elementi caratterizzano l’esperienza audiovisiva, e dove si collocano questi elementi – dalla parte del pubblico che fruisce dell’opera d’arte oppure dalla parte dell’artista (o meglio degli artisti) che la creano?
Nel suo intervento per la sezione Incontri del Festival Futuro Presente, l’artista spagnolo Francisco Lopez ha voluto sottolineare l’importanza dell’esperienza sensoriale e il limite della modalità del concerto quando si ha a che fare con generi artistici su supporto: musica elettroacustica, installazioni d’arte.
Lopez richiede al pubblico delle sue performance elettroacustiche di bendarsi gli occhi per poter fruire solamente del suono, “tagliando fuori” il senso della vista. Si tratta di una provocazione, che vuole sottolineare da parte dell’artista come il suono goda dello stessa importanza goduta dalle immagini in una società che dell’immagine fa il mezzo espressivo d’elezione. Siamo bombardati da informazioni visive, che per la maggior parte scorrono senza senso davanti alla nostra retina, senza lasciare traccia. Così, nel tentativo di riprendere possesso dell’udito, Francisco Lopez propone una modalità di ascolto totale, assoluta. Allo stesso modo il “concerto” tradizionalmente inteso non è la strada giusta per vivere una vera esperienza, quella resa possibile dall’arte digitale e dai mezzi tecnologici contemporanei.
Basta quindi “togliere” il senso della vista per ottenere una performance strettamente “sonora”? E nello stesso modo basta “aggiungere” la vista o l’udito (dunque il suono o l’immagine) per ottenerne una multimediale, multisensoriale? L’arte contemporanea si interroga quotidianamente, ma la risposta, se torniamo al concetto di audiovisione di Michel Chion, sembra essere negativa. Il prodotto audiovisivo nasce come prodotto artistico a sé stante, così come il prodotto solamente sonoro nasce come prodotto acustico. Tuttavia, è bene ricordare che i nostri “cinque sensi” non sono separati radicalmente, ma agiscono olisticamente fornendo contemporaneamente elementi che si sovrappongono per costituire la percezione. Quando l’opera d’arte esce dallo studio dell’artista e si mette in gioco nel rapporto con il pubblico, quello che nasce è sempre un rapporto complesso, multisensoriale e unico. L’artista oggi deve fare i conti con le possibilità invasive e performative della tecnologia, che trasformano ogni esperienza e ogni performance in un evento unico. Si tratta di una sfida che la tecnologia rende sempre più complessa, e per questo fondamentale.