damien-hirstLa “sfida” di Damien Hirst, probabilmente ben calcolata, sicuramente d’effetto, porta alla ribalta in modo sufficientemente mediatico, la dimensione dell’arte e del mercato, del sacro e del profano, della purezza del gesto artistico con il prosaico della dimensione monetaria, in questo caso milionaria (sia che si tratti di euro o di sterline).  Il suo caso è paradigmatico: lo sfacciato ricorso alle case d’asta e la dichiarata volontà di vendere, e sfruttare il mercato, dicono del rapporto contraddittorio, alle volte ambiguo, altre ben sfruttato dagli stessi artisti a proprio favore, del sistema dell’arte contemporanea.
Un sistema strettamente collegato, negli ultimi anni in modo sempre più massiccio, ad un mercato fiorente. L’opera d’arte contemporanea è, infatti, diventata bene rifugio dalle fluttuazioni poco rassicuranti della borsa, con acquisti effettuati nel campo che, nel giro di dieci anni, hanno portato a decuplicare il proprio valore. Il sistema si è evoluto nel corso del tempo, fino a all’avvento dell’art advisory, servizio nato alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti, generalmente in forza alle banche, ma anche in strutture autonome, che si occupa di fornire consulenza ai detentori di ricchi portafogli da investire in tutti i settori dell’ arte e del collezionismo. Investimenti di vantaggio anche perché le opere d’arte contano su una fiscalità favorevole in quanto non sono considerate tasse sulle plusvalenze derivanti dalle compravendite, e gli acquisti non devono essere denunciati nella dichiarazione dei redditi.
La consapevolezza di queste dinamiche è, in fondo, un vantaggio che molti artisti, i più quotati senz’altro, volgono a proprio favore trasformandosi da “vittime” in sapienti manovratori. Lasciando anche che, scoprendo le regole del gioco, gli artisti più giovani e talentuosi abbiano modo di giocare in modo tutt’altro che moralistico alle proprie regole, consapevoli che gallerie e case d’asta possono servire allo scopo.
Tutto questo, in fondo, traspare dalle iniziative di Hirst, e senza troppi giri di parole: arte contemporanea è anche mercato, giro d’affari, oggetto di investimento: fingere che non sia così è probabilmente utopico e vagamente ipocrita.