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Intervista a Vincenzo Sanfilippo dell’associazione Il Campo dell’arte
Tentando di operare una riflessione sugli spazi atipici in cui è possibile che si esprima l’arte contemporanea – a volte anche con felicissimi esiti-, incontriamo ambiti e modi a volte contrapposti, a volte convergenti ma sempre in continua modificazione tanto da non essere possibile una definizione coerente.
Alcuni topos come “inserire creatività nei territori”, “gli artisti nella comunità”, “altri luoghi e altri modi per la produzione di manufatti artistici”, “strategie creative per la crescita e lo sviluppo” ecc. sono ormai di pubblico dominio ma, in ogni caso, l’arte e la cultura più in generale possono effettivamente costituire un importante strumento per la creazione di valore pubblico, contribuendo alla definizione dell’identità dei territori, all’incremento dello sviluppo e della qualità della vita.
Il superamento della dualità arte – non arte, artista – non artista, che una cultura ancora legata ad una estetica modernista tende a riaffermare, si ottiene occupando gli spazi interstiziali della città e del territorio e agendo con azioni concrete disseminate nel tessuto urbano metropolitano.
Uno spazio fisico, reale, pulsante, che può essere uno straordinario terreno di sperimentazione per un approccio al fare creativo caratterizzato da interdisciplinarità, multidisciplinarità, polimaterialità, senza necessità di “firma in calce”, è senza dubbio il teatro.
Esempi, ormai ampiamente studiati e storicizzati, di notevole valore per l’apporto dato alla ricerca di nuovi modi espressivi, ne abbiamo molti, basti pensare ad alcune esperienze del cubismo e del futurismo dove l’integrazione tra testo, azione, costumi, suono, recitazione, movimento, luci, contribuisce a concretizzare la fusione tra arte e vita, a realizzare l’”opera totale” proprio sulla scena teatrale come profetizzato da Giacomo Balla e Fortunato Depero che così scrivono sul Manifesto della “Ricostruzione futurista dell’Universo”: ”Noi futuristi vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’impercettibile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto.”
Conseguente alla pubblicazione del manifesto è sicuramente l’invenzione del “complesso plastico”, struttura che assembla i più svariati materiali e dotata di congegni elettromeccanici all’avanguardia. Essa segna il punto più avanzato della ricerca plastica di allora realizzando una completa frattura con l’oggetto artistico tradizionale e che successivamente Depero farà irrompere nello spazio scenico rendendolo protagonista di una seconda forte cesura con la tradizione.
Meno chiaro risulta il panorama dell’invenzione teatrale oggi alla luce della quasi totale assenza di programmazione di spettacoli basati su testi contemporanei, in particolare sul territorio dei Castelli Romani dove alle carenze accennate si somma la quasi totale mancanza di spazi e programmazioni adeguate.
Abbiamo quindi rivolto due domande a Vincenzo Sanfilippo che ha curato l’apparato scenografico dello spettacolo “Dora Maar, musa inquieta di Picasso” scritto e interpretato da Luisa Sanfilippo proposto anche in spazi atipici proprio sul nostro territorio.
Quindi Vincenzo non è stata una scelta dettata da necessità, per la mancanza di altri spazi, quella di proporre lo spettacolo in un ambiente rurale e naturale?
Open space, letteralmente lo spettacolo all’aperto, non chiuso nei luoghi deputati dei teatri di tradizione esclude a priori le convenzioni dei luoghi teatrali con il loro armamentario di scenotecnica che fa da supporto ai codici spettacolari. Così superati i luoghi teatrali convenzionali della drammaturgia, di riflesso sono superati i termini “platea, palcoscenico e scenotecnica” strumenti dell’allestimento del teatro di tradizione.
L’open space theatre proprio per il progetto in corso d’ubicazione “en plein air”, nello spazio della Fondazione Il Campo dell’Arte nell’area dei Castelli, innesca un presupposto di controllo complessivo della scrittura teatrale dove, di volta in volta, il luogo della rappresentazione, il rapporto con il pubblico, la collocazione dell’azione scenica, la “trasgressione” di un allestimento non omologato, l’invenzione verbale e linguistica, costituiscono una messa in causa radicale non solo del fatto teatrale in sé, ma della comunità che lo fruisce e produce.
Quale sinergia può realizzarsi tra spettacolo teatrale e spazio rurale e naturale?
Le questioni progettuali del fare teatro, non dipendono più dal luogo deputato “teatro”, perché esse, proprio nel momento in cui scelgono di operare nei “non luoghi teatrali” del decentramento, devono nel proprio progetto dimenticare la tradizionale scenotecnica.
Pertanto un organico progetto di teatro open space non può che scaturire dalle contingenze del luogo, in quanto politica del territorio diventando così strumento collettivo d’appropriazione di cultura che va reinventato continuamente non certamente per energia spontaneista, o per espansioni di sperimentazione fine a se stessa, ma come ipotesi di lavoro culturale scaturite da richieste di base.
Didascalie immagine:
Fortunato Depero – Grattacieli e Tunnel, 1930. Tempera su carta, cm 68×102. Museo d’Arte Contemporanea di Trento e Rovereto.
Nota: Articolo pubblicato in Vivavoce – Rivista d’area dei Castelli Romani