piano-casa-e-terremotoIn queste ore si stimano i danni e purtroppo si contano le vittime della tragedia che si è abbattuta sull’Abruzzo, ma l’eco del dibattito sul provvedimento del Governo finalizzato a sostenere il settore dell’edilizia fa emergere la domanda: “che cosa avrebbe autorizzato il decreto del Governo?”
La parola d’ordine con il quale quel provvedimento era stato promosso era autorizzare gli interventi in deroga; eppure c’era un’eccezione e riguardava proprio “la normativa relativa alla stabilità degli edifici e di ogni altra normativa tecnica”, e dunque tutto ciò che riguarda le costruzioni da realizzare in zona sismica. Per questa ragione, in attesa di avere una mappatura dei danni meno segnata dall’emotività, non credo sia utile continuare a guardarsi indietro (alla bozza di decreto circolato), ma al lavoro che le regioni devono fare in queste settimane per tradurre in pratica i contenuti dell’accordo trovato con il Governo.
Rispetto ad esso – in considerazione del fatto che i centri storici sono già fuori dal campo di applicabilità dell’accordo – non è sufficiente concentrare l’attenzione sulle aree che le regioni sceglieranno di escludere, e dunque su quale parte (e quota) della domanda d’intervento solvibile (ritenuta generalmente abbastanza consistente) riterranno necessario ed opportuno contenere.
Occorre, piuttosto, guardare a quella domanda non solvibile – o comunque con dei livelli di convenienza decisamente bassi – che riguarda una parte consistente del nostro territorio e del suo patrimonio edilizio (i piccoli centri delle aree interne per esempio) che non solo sarà meno conveniente e più difficile ricostruire, ma che sarà ancor più difficile mantenere e mettere in sicurezza. Si guardi il caso dell’Abruzzo.
Rispetto a questo problema sarebbe opportuno, dunque, che le regioni, nelle leggi che stanno per predisporre sulla base dell’accordo con il Governo, non si limitassero a delimitare le aree nelle quali non consentire la realizzazione degli interventi di ampliamento o di sostituzione edilizia di cui si discute, ma che, sulla base delle conoscenze disponibili sul rischio sismico, tracciassero una mappa dei territori da mettere in sicurezza individuando le risorse per partecipare ad interventi in queste aree. Un’idea in proposito potrebbe essere quella di istituire degli appositi fondi pubblici finalizzati alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza del patrimonio, finanziabili in parte con una quota dei proventi (il gettito aggiuntivo dei tributi comunali, regionali ma anche erariali se si pensa alla possibilità di lasciare alle regioni una quota dell’IVA connessa) degli interventi di ampliamento/ammodernamento del patrimonio edilizio, ipotizzando dunque dei trasferimenti compensativi dalle aree nelle quali sarà possibile e conveniente realizzare questo tipo di interventi alle zone nelle quali, invece, si hanno serie difficoltà a trovare le risorse necessarie, anche solo per manutenere e mettere in sicurezza il patrimonio edilizio esistente.